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Carve the mark

18 Mar

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In una galassia percorsa da una forza vitale chiamata corrente, ogni uomo possiede un dono, un potere unico e particolare, in grado di influenzarne il futuro

Cyra è la sorella del brutale tiranno che regna sul popolo shotet. Il suo dono, che le conferisce potere provocandole allo stesso tempo dolore, viene utilizzato dal fratello per torturare i nemici. Ma Cyra non è soltanto un’arma nelle mani del tiranno. Lei è molto più di questo. Molto più di quanto lui possa immaginare. Akos è il figlio di un contadino e di una sacerdotessa-oracolo del pacifico popolo di Thuvhe. Ha un animo generoso e nutre una lealtà assoluta nei confronti della famiglia. Da quando i soldati shotet hanno rapito lui e il fratello, l’unico suo pensiero è di liberarlo e portarlo in salvo, costi quel che costi.
Nel momento in cui Akos, grazie al suo dono, entra nel mondo di Cyra, le differenze tra le diverse origini dei due ragazzi si mostrano in tutta la loro evidenza, costringendoli a una scelta drammatica e definitiva: aiutarsi a vicenda a sopravvivere o distruggersi l’un l’altro. (sinossi dal sito dell’editore)

Veronica Roth torna con un nuovo romanzo e una nuova serie dopo Divergent, e lo fa portandoci in un universo sci-fi completamente diverso dai suoi libri precedenti.
Il discorso dei doni, poteri che nessuno conosce fino all’adolescenza, ricorda molto il bellissimo e poco conosciuto libro di Ursula Le Guin, intitolato appunto I doni, e come nel romanzo dell’autrice di Agata e Pietra Nera, il riferimento all’età di passaggio, al momento dell’affermazione della propria personalità è fondamentale per capire le vicende di Cyra e Akos. I due protagonisti infatti sono schiacciati da quello che gli altri vogliono per loro e addirittura da due “fati” che non lasciano loro la libertà di immaginarsi un futuro. Proprio attraverso questa lotta per manifestare la loro vera natura, saranno in grado di arrivare a definirsi, ma soprattutto a conoscersi e ad accettarsi. Un romanzo in cui ci sono molti spunti, difficile da definire solo come di fantascienza o di avventura, perché l’azione lascia spesso spazio all’introspezione e alle riflessioni dei protagonisti.

Veronica Roth, Carve the Mark – I predestinati (trad. R. Verde), Mondadori, 2017, 427 pp. 

Sibilla nel cappello

11 Nov

sibillaSibilla  un pesce-gatto centenario che vive in lago ed è al centro della disputa tra due ragazzini: Tito, che vuole catturarlo per invitare tutto il paese a mangiarlo nel ristorante del padre, e Mimmo, che cerca in ogni modo invece di evitare che finisca in trappola, sabotando la gabbia apposita, cercando in tutti modi di allontanarlo dal pericolo. Poi c’è un matto che gira per il paese con una torre di quattro cappelli in testa, si chiama Gigi e non si ricorda da dove viene. A osservarli dalla finestra è la protagonista, confinata nella casa della nonna – che proprio sul lago affaccia – a causa dei pessimi risultati scolastici.

In questo racconto lungo dove ciascuno ha un nome, persino il pesce-gatto, a non rivelare il suo è proprio la protagonista che narra in prima persona. Se ne attribuisce uno diverso in ogni situazione, prendendoli a prestito dalle compagne di classe, a seconda delle capacità che vorrebbe avere o del comportamento che vorrebbe imitare. Poi da quella finestra si stacca, per entrare nel vivo dell’azione, per prendere parte, per mettersi in gioco. Per scoprire che va bene essere se stessi e dire finalmente, a voce alta, il proprio vero nome.

Particolarmente suggestive le illustrazioni di Andrea Mongia, che si ritrovano anche in un’altra recente uscita della medesima casa editrice, “Passi di cane” di Alberta Nobile, racconto giallo sempre con le medesime caratteristiche di alta leggibilità grazie al carattere apposito.

Il sito dell’autrice.

Luisa Mattia – ill. Andrea Mongia, Sibilla nel cappello, biancoenero 2015, 58 p., euro 8

Io sono nessuno

18 Set

1675-Sovra.inddChi ha apprezzato la bravura di Jenny Valentine in La signora della scatola, edito da Rizzoli nel 2008, non può non rallegrarsi di questa nuova pubblicazione; la sorpresa sarà anche maggiore una volta assaporata la trama del nuovo libro, incalzante e con un finale inaspettato e giusto (proprio a fagiolo, verrebbe da dire) supportata nella versione italiana da una traduzione che vorrei spingermi a dire magistrale: rende infatti perfettamente credibile la voce del protagonista che narra in prima persona, rende il lettore attento e partecipe e fa di questo testo uno di quelli perfetti da leggere ad alta voce: l’incipit o altri brani durante un incontro di lettura, ma verrebbe quasi voglia di dire a qualcuno: “Ascolta, ti leggo una cosa bella, ti regalo una storia forte e tanto verosimile da renderla vera”.

La voce di Chap ci dice del suo sentirsi nessuno, solo e pieno di rabbia in un centro per adolescenti difficili; ci dice di come sia stato facile innamorarsi della possibilità di avere una famiglia, un passato, una casa, delle persone che ti vogliono bene tanto da non smettere mai di cercarti e di pensarti; ci racconta di come in pochi minuti abbia colto al volo l’occasione offerta dagli assistenti sociali: la fotografia di un ragazzo scomparso due anni prima, la somiglianza ai limiti dell’incredibile, la tranquilla certezza di quegli operatori che vedono quel che a loro interessa vedere, un ragazzo ritrovato.

Così Chap indossa i panni di Cassiel Roadnight, incontra sua sorella e scivola dentro una vita fatta di una grande casa in campagna, una madre, un fratello, un cane da portare a spasso. Ma quel che pareva la salvezza, quello che per anni ha desiderato non è altro che un incubo: a ogni passo, ogni domanda, ogni sguardo altrui che si posa su di lui Chap teme di essere scoperto. E l’incubo si trasforma in trappola: cos’è davvero successo al ragazzo di cui ha preso l’identità? E perché gli somiglia fisicamente così tanto?

La bravura di Valentine sta nel consegnare al lettore una situazione in divenire: tutto ciò che è stato nella vita di Chap lo si scopre pian piano, mentre il ragazzo tenta di affrontare la nuova vita secondo gli insegnamenti del nonno con cui è cresciuto, ripercorrendo il proprio passato e tentando di farsi largo nella sensazione ormai sclerotizzata di sentirsi un nessuno senza certezze, senza legami, senza origini. La bravura sta nel fare del romanzo un mistero da risolvere, nel tenerne alta la tensione e regalare un finale in cui improvvisamente i pezzi di due puzzle diversi si rivelano provenienti dalla medesima scatola. Il tutto ragionando su cosa significhi essere se stessi, sui rapporti familiari, sulle apparenze e la realtà, sul voler bene che è spesso gesto, silenzio, modo di essere.

Non penso ci possa essere lettura migliore per questo inizio di ripresa di anno di attività. Un romanzo da non perdere, assolutamente.

Jenny Valentine, Io non sono nessuno (trad. di Marina Rullo), 238 p., euro 17 [la quarta di copertina dà disponibile l’ebook che però non è a oggi reperibile su nessun store on line… riprovate]

Io sono io

7 Ago

 Io sono io è un bellissimo viaggio nel mondo di un bambin* che attraverso gli incontri costruisce la sua personalità, senza perdere la sua componente originaria.

Il protagonista all’inizio dell’albo è vestito di un pallido grigio, ma quando  incontra le persone che gli sono vicine (la mamma, il babbo, il fratello, il nonno, il vicino di casa, il gatto etc. etc.) e fa con loro una qualche attività, di ognuna prende un pezzo, un colore, un tessuto e lo aggiunge a sé, trasformandosi così in un arlecchino multicolore. Quando poi i colori volano via, il piccolo scopre di portarli tutti dentro il cuore.

Una storia che si presta molto alla lettura ad alta voce e al gioco di riconoscere a chi appartengono i tessuti e gli oggetti che il protagonista si porta addosso.

Bellissime le illustrazioni, ricche di particolari, invitano alla ricerca e al soffermarsi sulla pagina ad ammirare le tante scene.

Tutto il testo è in stampatello maiuscolo

Maria Beatrice Masella – ill. Jacobo Muniz, Io sono io, Leone Verde 2015, pp. 48, € 13,9

L’orso che non c’era

19 Gen

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Tra le righe di questo libro, tra gli alberi che accolgono il lettore fin dall’inizio si nasconde un prurito che, gratta gratta, diventa un orso il quale scopre di avere una tasca nella pelliccia e ci trova un foglietto che lo interroga: chi è? Sarà proprio gentile, felice e persin bello come suggerisce l’appunto? Domande che vanno ad aggiungersi a quella che il peloso animale si era posto quando aveva preso coscienza di esser diventato, da prurito, orso: è il primo orso o forse l’ultimo; insomma era solo nei paraggi oppure no? La soluzione, come sempre di fronte ad una domanda di vitale importanza, è mettersi in ricerca e quindi in cammino, nella foresta, ascoltando il silenzio, incontrando curiosi altri animali, accentando un passaggio, fischiettando, contando senza bisogno dei numeri, rendendosi conto che tra i punti cardinali figurano certamente anche “pranzo, colazione, giusto, sbagliato”.

Cerca cerca l’orso, tra le erbe, i rami e le piante che Erlbruch disegna; impara, riconosce e felice poi si fa l’occhiolino: trovato! 😉

Da leggere insieme, ad alta voce; occasione per andare a riprendere gli altri testi illustrati da Erlbruch e proporli ai lettori, visto che affrontano proprio le grandi domande della vita.

Il sito dell’autore, compositore e drammaturgo.

Oren Lavie – ill. Wolf Erlbruch (trad. Silvia Manfredo), L’orso che non c’era, e/o 2014, 48 p., euro 12

Frédéric smarrito tra i suoni

19 Ago

frederic smarrito tra i suoniUn romanzo di formazione che mi è sembrato quasi indispensabile in un percorso per lettori della scuola secondaria di secondo grado, in cui Denis Lachaud riprende un tema già trattato in un romanzo scritto tredici anni prima e tradotto sempre da 66THAN2ND (“Imparo il tedesco”, 2013): la costruzione dell’identità attraverso la scoperta e l’apprendimento di una lingua. Se nel primo romanzo la lingua era un veicolo che permetteva al protagonista di appropriarsi della storia della propria famiglia (le colpe rimosse, i segreti relativi alla Seconda Guerra Mondiale), in questo il linguaggio diventa una lettura del mondo circostante, che permette di mappare e di prendere una direzione facendo luce in quel senso di smarrimento e di estraneità dettato dal momento del diventare adulti.

Il diciassettenne Frédéric è smarrito nella vita, come se non esistesse per lui un punto fermo. Il suo essere crogiuolo di lingue e origini differenti lo destabilizza perché non offre radici: suo padre è svizzero e sua madre francese; lui è nato a Parigi e ha vissuto – per via del lavoro paterno – a Oslo e a Berlino ed ora sta per trasferirsi a Tel Aviv con la famiglia. A differenza del fratello e della sorella minori che appaiono ben saldi nelle loro piccole personalità in via di crescita, Frédéric ha un solo appiglio sicuro: il dittafono da cui non si separa mai, unico strumento utile a decifrare quel che gli altri dicono, grazie alla possibilità di ascoltare e riascoltare ancora.

“Imparare una lingua mi ha sempre permesso di scoprire come devo guardare il mondo in cui vivo”. Così il ragazzo studia l’ebraico, che va in senso contrario nella scrittura rispetto a quelle che conosce, che non ha possibilità di coniugare il verbo essere al presente. In ebraico si può essere al passato e al futuro; al presente si vive, si pensa, si mangia, si viaggia, si incontra: al presente si diventa. E la lingua diventa modo per conoscere la città, intervistando i passanti sulla base di un semplice questionario che domanda loro quali lingue parlino e quale sia il loro territorio (come ci sente al di fuori, com’è cambiato nel corso del tempo). Che parli con degli sconosciuti o con i vicini di casa (la signora Lev arrivata dalla Germania, con cui parla tedesco; i coniugi Masri arrivati dal’Egitto, con cui parla francese), con i loro figli nati  Tel Aviv e poi emigrati a loro volta o che cerchi la presenza degli arabi tra le strade che frequenta, Frédéric cammina in una città costruita sulla sabbia, mettendosi poi in viaggio verso Gerusalemme e verso l’incapacità di vivere in un luogo altro che non sia il suo corpo.

Le illustrazioni in copertina sono di Julia Binfield.

Denis Lachaud, Frédéric smarrito tra i suoni (trad. di Sergio Claudio Perroni), 66THAN2ND 2014, 246 p., euro 16, ebook euro 7,99

Olivia e le principesse

17 Gen

Confesso subito: ho un folle debole per Olivia che posso considerare il mio personaggio di carta preferito, forse a braccetto con Zigo Zago. Perché Olivia è eccessiva, combattiva, priva di mezze misure, passionale, sempre se stessa anche quando è difficile.

In questo nuovo albo, dalla sua corazza a righe rosse che l’accompagna nei momenti divertenti come in quelli dei pensieri profondi, la maialina disegnata da Ian Falconer si presenta al lettore in preda a una forte crisi di identità: non solo non sa più chi è, ma non vuole assolutamente uniformarsi all’aspirazione massima delle altre maialine, cioè diventare una principessa e soprattutto di rosa vestita, sia che ci presenti a una lezione di danza sia che si vada a una festa di compleanno, dove – ovviamente – lei è arrivata in marinière e ballerine modello Audrey Hepburn, con tanto di pseudoKelly rossa al braccio.

Olivia sa che le alternative sono possibili e varie (principesse indiane, cinesi, africane) e che lo stile moderno di Martha Graham le si addice di più, ma soprattutto sa che ci si può presentare alla festa di Halloween mascherata da facocero. E non, come si può pensare o come viene scritto, per farsi notare, per essere “bastian contrario” a ogni costo, ma per essere se stessa. Perché mettersi addosso del velo rosa quando si potrebbe diventare una spia in pigiama a righe, quando la parte che si preferisce della storia di Cappuccetto è il momento in cui tutti vengono divorati e soprattutto quando si aspira a un grado ben più alto tra i ranghi reali? Olivia cara, la regina Vittoria sarebbe fierissima della tua allure. Chapeau!

P.S. Quando Olivia sbuca in classe in forma di facocero la traduzione italiana le fa dire di aver fatto un effettone. Il pari francese dice: “J’ai fait mon petit effet”; mi sembra molto molto molto oliviesco!

Il sito di Olivia.

Ian Falconer, Olivia e le principesse (trad. B. Ponti), Nord-Sud 2013, 32 p., euro 13,90

La scimmia

21 Ott

scimmiaBruno è una scimmia, vive allo zoo e a furia di guardare le persone che lo guardano comincia ad interessarsi ai loro vestiti, a pensare che vorrebbe essere una persona, mangiare nei ristoranti, guidare l’auto. Piano piano comincia a capire la loro lingua e a riprodurla e poi prova a fischiare con una foglia, come ha visto fare ad un bambino. Bruno riflette (che è come pensare, ma forte ed è bello): se gli uomini prima erano scimmie, forse anche lui ha una possibilità. Bruno finisce al telegiornale, fenomeno di scimmia che fischia, e gli uomini se lo portano via: impara a suonare il sax, mette le scarpe e indossa i vestiti. Fa il gioco riflesso nelle illustrazioni del frontespizio: una scimmia dal pelo bianco che quasi sparisce, quasi si annulla dentro e dietro agli abiti, ai cappelli, alle cravatte, tentando di essere umano. Ma non lo sarà mai e questa certezza accompagna peraltro la consapevolezza di non essere solo una scimmia. Bruno è Bruno, e non è solo.

Un albo sulla ricerca della propria identità, sul senso di solitudine che si prova quando ci si dimentica che qualcuno come te c’è. Un albo da inserire nelle bibliografie degli illustrati da utilizzare anche con i lettori più grandi. Un albo le cui illustrazioni lasciano incanto, dando materia alle espressioni dei corpi e dei sentimenti, alle stoffe, ai panneggi, persino alle note musicali. Un albo su cui on line, nelle scorse settimane, tanto abbiamo visto scritto, polemizzato, sbrodolato: ci piace però guardarlo e pensare a queste storie, a queste pagine, nel modo in cui il lettore le prende in mano. Come la storia di Bruno che cerca sé stesso e che trova la definizione perfetta di sé, l’unica possibile, quella essenziale. Cosa che manca a molte persone, che devono per forza definirsi con la loro professione, il loro ruolo sociale, la loro posizione nel mondo. E non come se stesse.

Il sito di Gianluca Folì e il sito di Davide Calì.

Davide Calì – Gianluca Folì, La scimmia, Zoolibri 2013, 40 p., euro 20

Blu come me

15 Ott

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Ci sono molti modi di parlare di diversità; quella raccontata in questo libro è una diversità di genere, ma potrebbe essere una qualsiasi sensazione di sentirsi diverso, quella narrata dal coniglio giallo nato in mezzo a una famiglia a pelo bianco in un bosco di aceri rossi: quella diversità che si vede, che chi ti sta intorno e ti vuole bene chiama “essere speciale” e che quando fuori invece te la fanno pesare non ti pare poi proprio bella, la tua specialità.

Ma prima ancora di essere una storia che passa un tema particolare, quella raccontata in questa pagine è una storia bella, lieve come la brezza e le foglie che contiene, ricca di poesia nel suo dire il mondo attraverso i colori e insieme la voglia di capire, di scoprire, di mettersi in viaggio. Perché è questo quello che il coniglio fa quando trova, sulla collina di aceri rossi, una foglia blu: incantarsi davanti al prodigio e decidere che non potrà dormire finché non avrà trovato una spiegazione a quell’apparire.

La poesia sulle pagine la fa il testo che si lega alle illustrazioni di Francesco Pirini, altrettanto lievi a ritrarre le espressioni quasi reali e tangibili del coniglio, a pettinarne il pelo come i prati della collina percorsa dal vento, a disegnare i blu della notte e le ombre del bosco. Poi perdetevi nei particolari, come il segno sulla roccia che identifica il sentiero 🙂 Una meraviglia, insomma.

Il sito di Ivan Canu e quello di Francesco Pirini.

Ivan Canu – Francesco Pirini, Blu come me, Coccole Books 2013, 24 p., euro 10

Ogni giorno

10 Giu

1706533_0Non sarò mai costretto a definire me stesso a partire da qualcun altro. Non soffrirò mai la pressione delle occhiate, il fardello delle aspettative dei genitori. Ai miei occhi ogni individuo si presenta come la parte di un tutto, e io posso concentrarmi su quel tutto meglio di chiunque altro. Non sono accecato dal passato, né motivato dal futuro. Mi concentro sul presente perché è la sola dimensione che sono destinato a vivere.

Come sarebbe la vita se ogni giorno ci svegliassimo in un corpo diverso? Se ogni giorno fossimo delle persone diverse o meglio se prendessimo in prestito il corpo di sconosciuti per vivere un giorno al loro posto. Questo è il punto di partenza del  romanzo di David Levithan, questa è la vita di A.

Ogni mattina non sa in chi si risveglierà la sua coscienza, sa solo che durerà fino alla mezzanotte, quando verrà spostato in un altro corpo. Durante la sua permanenza deve cercare di non modificare o danneggiare troppo la vita del suo ospite, deve interferire il meno possibile. Fino a quando non incontra Rhiannon e decide di stravolgere la routine del suo ospite per passare una giornata con lei. Può l’amore esistere nella vita di A? E’ possibile per lui amare ed essere amato?

Un libro che contiene moltissimi temi, dall’identità di genere al rapporto con il proprio corpo e con quello che rappresenta per noi e per gli altri. Un romanzo delicato e appassionante che sembra fatto per un eventuale sequel.

David Levithan, Ogni giorno (trad. Alessandro Mari), Rizzoli 2013, euro 15, ebook, € 9,99