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In cammino. Poesie migranti

6 Mar

in camminoPer molti lettori, il nome di Michael Rosen è immediatamente legato a quell’albo ormai classico che è “A caccia dell’orso”. In realtà l’autore britannico comtepla, tra la sua vasta produzione, molte opere poetiche e alla poesia sono anche dedicati parecchi dei video che potete trovare sul suo canale youtube o sulla pagine dedicata nel suo sito. Rosen ama giocare con le parole e molta della sua produzione poetica deriva anche al mix linguistico in cui è cresciuto, in una famiglia di emigrati ebrei russi e europei da diversi Paesi di cui, anche nelle liriche raccolte in questo testo, ricostruisce in parte le vite e i percorsi intrecciandoli con le nuove rotte dell’emigrazione e le storie dei migranti dei giorni odierni. Come lui stesso indica nella prefazione, ha ricostruito da adolescente la storia degli zii morti in Germania durante l’Olocausto così come di quelli che invece erano partiti e avevano cercato di vivere altrove; una storia di migrazione che può essere simile a quella di molti lettori, invitati a ripercorrere le storie delle generazioni precedenti e a tracciare le rotte dei membri delle loro famiglie.

La raccolta è divisa in macro argomenti, in gallerie di ritratti che riguardano famiglia e amici, la guerra “gli emigranti in me” e poi le nuove rotte e le condizioni dell’emigrazione nel mondo di oggi. I versi e la forma poetica sono utilizzati per il loro potere: permettono di pensare, di dire, ma anche di lasciare in sospeso, di dare voce a domade che non hanno probabilmente risposte troppo precise, ma che sono comunque necessarie.

Questo libro sta qui in questo giorno in cui molti si ritrovano a manifestare su quelle linee geografiche che segnano sulle carte i confini dell’Italia con altri Paesi, a est come a ovest, e che sono oggi luoghi di passaggio sulle rotte dei migranti dove sovente si rischia di perdere la dignità della persona umana. Sta qui oggi perché, come scrive Rosen, “tutti noi siamo cittadini del mondo, e questa casa non dovrebbe essere delimitata da confini. Casa è dove la trovi”.

Michael Rosen – ill. Quentin Blake, In cammino. Poesie migranti (trad. di Roberto Piumini), Mondadori 2021, 133 p., euro 16

Sempre pronti

16 Set

l lettori conoscono Vera Brosgol per Anya e il fantasma, sempre apprezzato; la ritrovano ora in questo fumetto autobiografico in cui ha ricostruito, aggiungendo ai suoi ricordi i racconti dei suoi famigliari, l’avventura al campo estivo tanto agognato e decisamente diversa da quel che si aspettava. L’autrice ritrae se stessa bambina, trasferitasi negli Stati Uniti dala Russia a cinque anni; la sua famiglia, la mamma che sta studiando per ottenere un lavoro migliore, e i due fratelli minori, e l’atmosfera in cui cresce: da un lato la frequentazione della comunità e della chiesa russa, dal’altra il confronto con le compagne di scuola, da cui si sente emarginata e inevitabilmente diversa. Tutte le altre parlano dei campi estivi, di quanto siano fantastici e così, quando scopre di poterne frequentare uno per immigrati russi, in parte finanziato dalla chiesa ortodosa, convince la madre a mandare lei e il fratello e passa il mese di giugno a preparare i bagagli, convinta che lì troverà chi le somiglia. Contrariamente al previsto, il fratello reticente si troverà a meraviglia, mentre lei finisce nel campo delle ragazze più grandi: è la piccola, viene rimproverata per l’accento nel parlare russo, non conosce le regole non dette, il bagno è un terribile capanno nel bosco. Insomma, non resta che implorare di venirla a prendere, mentre invece la mamma decide di prolungare il soggiorno di due settimane per poter valutare al meglio una vataggiosa offerta di lavoro.

Il fumetto è molto ironico, ma soprattutto crudelmente onesto e il lettore è inevitabilemente portato a parteggiare per la protagonista e a sentirsi al suo fianco sempre, nella disperazione come nella scoperta del valore della vera amicizia.

Vera Brosgol, Sempre pronti (trad. di Michele Foschini), Bao Publishing 2019, 256 p., euro 19, ebook disponibile per iOS, Android, Kobo e Kindle.

Montreuil 2018

6 Dic

Il Salon du livre et de la presse jeunesse di Montreuil ha chiuso lunedì 5 dicembre la sua 34ma edizione e, con 179.000 visitatori, batte tutti i record precedenti (qui avete tutti i dati e un bilancio di questa edizione). Ormai assestato su una formula vincente che permette l’accesso gratuito regitrandosi on line e favorisce non solo le classi, ma soprattutto la presenza delle famiglie nel fine settimana (il salone si svolge tradizionalmente dal mercoledì al lunedì, quest’ultimo giorno dedicato specie nel programma di incontri ai professionali come insegnanti e bibliotecari), ha dovuto vedersela nelle settimane precedenti l’apertura con la polemica montata intorno alla presenza tra gli stand di McDonald, con tanto di lettera aperta degli autori capeggiati da Claude Ponti.

Orfano dello spazio dedicato alla produzione digitale dopo il triennio in cui il salone era stato partner del progetto Transbook ora terminato, non ha saputo dare altrettanta visibilità a chi si occupa di app e ebook, per cui erano presenti solo alcuni editori o sviluppatori di piattaforme – come L’apprimerie e Picobo, piattaforma danese sbarcata in Francia con una scelta di qualità tra i prodotti degli editori che stanno aderendo – “persi” tra gli stand d editoria cartacea. Molto spazio invece per le riviste dedicate a bambini e ragazzi, un ambito in Francia sempre più variegato e di qualità (da Graou a Georges, da Baika a TétrasLire a Topo, per citarne alcune davvero belle). Programma ricco di incontri e occasioni di incontro e dédicaces, come sempre, sviluppato secondo il tema portante dedicato a “Nos futurs” e declinato, nello spazio delle mostre, in cinque verbi di azione che invitavano autori e illustratori a confrontarsi coi ragazzi e tutti i visitatori a costruire un sguardo nuovo sul futuro.

Di questo, come delle Pépites che hanno premiato i migliori libri, dirò sul numero di inizio nuovo anno di Andersen; mi preme invece sottolineare come il Salone abbia dato un grande spazio al tema dell’immigrazione, dell’accoglienza, aprendo lo sguardo su quello che sta succedendo e che ci interroga pressantemente ogni giorno. Uno dei verbi scelti era “trasformare”: trasformare lo sguardo attraverso storie e immagini che testimoniano i drammi di oggi, per alzare lo sguardo verso un futuro da costruire insieme. Nello spazio espositivo al piano interrato un grande muro presentava al visitatore riproduzioni di pagine di albi su questi temi e un altro muro è stato offerto a Encrages, un’associazione che si occupa da anni di promozione della lettura e dell’immagine, coinvolgendo nella attività anche un pubblico definito “in precarietà” e che sta facendo molti laboratori con gli immigranti e i richiedenti asilo, cercando visibilità attraverso le immagini. Il muro  ha visto succedersi immagini e manifesti realizzati per diverse occasioni, per dire, mobilitare, prendere parte, denunciare. Sulla loro pagina FB trovate un riassunto in immagini della loro presenza al Salone, compresa la tavola rotonda di lunedì dove Carole Chaix ha coinvolto  autori e illustratori impegnati come Magali Attiogbé o Ramona Badescu, già presente al festival estivo Passeur d’humanité.

Legandomi a questo tema, vi metto sotto gli occhi allora un solo libro a testimoniare quest’edizione del SLPJ: è Rue de Quatre-Vents, scritto da Jessie Magana e illustrato da Magali Attiogbé per Les Éditions des Éléphants. Ogni doppia pagina rappresenta l’immagine di una stessa strada in anni diversi, dal 1890 al 2018. Ogni pagina di destra porta un’aletta sovrapposta e apribile che racconta uno o più personaggi che compaiono nell’illustrazione; sono persone arrivate in Francia per motivi diversi e che stanno cercando un loro posto. Ci sono tante nazionalità diverse e c’è un testo conclusivo dove si sottolinea che nessuno lascia il proprio Paese per caso e come la Francia non abbia mai smesso, dalla fine del diciannovesimo secolo, di vedere la propria popolazione arricchirsi di persone venute da un altrove differente e spesso difficile. Si sottolinea l’accoglienza nel rispetto dei diritti umani e si ricorda che un francese su quattro ha almeno uno dei nonni nato in un altro Paese. Il personaggio che apre la galleria è Marco, con la sua fisarmonica: è un “macaroni” arrivato dal’Italia per lavorare in fabbrica, rispettato dai colleghi per il suo coraggio. Qualche anno dopo ecco un altro italiano, Giovanni, fuggito dal fascismo che lo perseguita per le sue idee libertarie. Questo libro parla ai francesi, ma dice anche agli italiani di ricordarsi di quanti loro connazionali sono partiti per luoghi più o meno vicini in anni più o meno lontani.

Scelgo questo libro e queste azioni del Salone come un segno. Se nel 2015 era l’atmosfera tra gli stand senza bambini e classi a riflettere l’attonimento di una città a pochi giorni dagli attentati, quest’anno Parigi riflette il momento particolare che si vive qui (e che rimbalza altrove e che porta il pensiero a scene italiane, tedesche e spagnole dove non si arriva per ora a tanto, ma dove sicuramente una certa rabbia potrebbe essere incanalata nei modi che si vedono qui a vantaggio di movimenti estremisti come l’iberico Vox ad esempio). Sabato in metro ci guardavamo attoniti, noi sconosciuti gli uni agli altri, ma accomunati da un unico pensiero verso l’uomo col suo gilet colorato che andava evidentemente all’assembramento per la manifestazione dei gilet jaunes e che portava in mano un’ascia, con la stessa naturalità con cui altri porterebbero un quotidiano o una baguette. Ora la città si prepara a vedere probabilmente – dicono così le ultime notizie – nelle sue strade i mezzi blindati tra due giorni.

Saper alzare lo sguardo, provare a dire, a condividere attraverso testi e illustrazioni, essere insieme per una causa giusta mi sembra importante, ogni giorno di più. E farlo attraverso quello che è il mestiere di molti di noi (che scrivono, disegnano, insegnano, fanno promozione della lettura) anche. Scrive Stéphan Servant in un testo per il SLPJ: “Chi inventa altri futuri, altri mondi possibili oggi se non la letteratura? Un tempo la politica proponeva un mondo diverso, ma si è ripiegata sul termine immediato, bloccata nel regno dell’immediatezza. La letteratura offre un respiro, apre ad altre forme di pensiero, considera altri scenari futuri. Il futuro presentato nei romanzi per adolescenti non è ridente, ma allerta sul pericolo di certe scelte; è possibile sempre – ci dicono questi romanzi – prendere un’altra strada. Lo dicono anche i racconti della tradizione. Sì, ci sono dei pericoli in un mondo pieno di draghi, orchi e fantsmi e i sentieri possono essere pieni di trappole. Ma ciò non impedisce di sventarli”. Un albo come “Rue de Quatre-Vents” che ricorda – con qualità e senza alcuna retorica anche nella sua ultima riga -come sia possibile ancora e sempre accogliere, è importante.

Bambini nel mondo

9 Mar

Si intitola “Bambini nel mondo” la nuova collana di Giralangolo e ci sembra di buon auspicio, perché sono libri per i bambini che vanno e andranno nel mondo, per i bambini (e i loro adulti) che si guardano intorno e si fanno domande. I quattro albi illustrati parlano di temi grandi come l’immigrazione, la povertà, il razzismo, i conflitti globali: parole “grosse” e scenari complicati che vengono resi a misura di una lettura da fare da soli oppure insieme, resi più vicini dal testo che si rivolge direttamente a chi legge e cerca di interloquire anche con i suggerimenti di approfondimenti on line e altrove (altri testi, altre informazioni da cercare in libreria, in biblioteca) che si trovano a fine volume.

I libri hanno il pregio di aiutare i bambini, e prima di loro sicuramente i grandi a cui si rivolgono chiedendo spiegazioni, a trovare le parole per dire, per riflettere su quel che si coglie in tv, sui media, nelle conversazioni. Si spiega allora la situazione dei rifugiati e l’iter che seguono per essere riconosciuti; si parla di conflitti grandi e piccoli, di forme di razzismo quotidiane, di cosa può determinare la povertà di una famiglia. Si invita a fare: a pensarci su, a farsi un’idea, a essere cittadini attivi nel proprio intorno.

In cosa a questa settimana dove molti si sono interrogati – probabilmente più del solito – su come la pensano le persone intorno e su cosa – paura, rabbia, modo di guardarsi intorno – porti a certi scenari politici, questi libri ci sembrano validi strumenti per provare a guardare insieme ai bambini cosa succede nel mondo, per parlarne e per confrontarsi e così continuare a crescere insieme, nel rispetto, nel confronto.

Tutti e quattro sono illustrati da Hanane Kai.

Ceri Roberts – Hanane Kai, Il razzismo e l’intolleranza (trad. di Anselmo Roveda), EDT Giralangolo 2018, 32 p., euro 13,50

Louise Salisbury – Hanane Kai, I conflitti globali, (trad. di Anselmo Roveda), EDT Giralangolo 2018, 32 p., euro 13,50

Louise Salisbury – Hanane Kai, I rifugiati e i migranti, (trad. di Anselmo Roveda), EDT Giralangolo 2018, 32 p., euro 13,50

Louise Salisbury – Hanane Kai, La povertà e la fame, (trad. di Anselmo Roveda), EDT Giralangolo 2018, 32 p., euro 13,50

Di qua e di là dal mare

23 Feb

Nel 2012, Carlo Marconi pubblicava per Emme edizioni Lo stato siamo noi, una raccolta di rime sui dodici primi articoli della Costituzione italiana, nati dal lavoro in classe con i suoi alunni della scuola primaria. Anche questa volta, lo spunto viene dal confronto in classe e, ancora una volta, la filastrocca diventa la forma scelta per rendere più vicino un tema sempre e sempre più quotidiano. Sono ventuno, una per ogni lettera dell’alfabeto, come la parola che dà il titolo a ciascuna, messe in fila come a voler dare un ordine, a cercare un filo anche tra lo scombussolamento che certe immagini creano, che certe domande provocano. Ci sono rime baciate e alternate; riflessioni intorno a parole come casa, lingua, barcone e zattera; ci sono soprattutto le illustrazioni di ventiquattro artisti differenti, a dire l’importanza della diversità e a fare di questo volume anche un catalogo di stili e di visioni. Verso il fondo c’è una doppia pagina illustrata da Gianni De Conno che, dalla sua assenza, illumina ancora una volta l’opera a cui viene accostato: c’è un faro acceso nel suo disegno ed è significativo che stia al fondo, dopo la zeta, dopo che tutto si è detto e non servono più parole, ma un rassicurante fascio di luce.

Come la precedente, anche questa raccolta di filastrocche servirà probabilmente come spunto per molti lavori in classe.

Carlo Marconi, Di qua e di là dal mare. Filastrocche migranti, Edizioni Gruppo Abele 2018, 80 p., euro 12

Bruciare la frontiera

6 Feb

Premessa: questo libro è costruito su e intorno a luoghi, storie e persone che hanno fondato e fondano quel che sono. Appena aperto, rivela una cartina: è segnata la Val Roya, la valle francese che da Ventimiglia sale al Colle di Tenda, poi le vallate occitane italiane con alcuni punti essenziali in territorio cuneese come il Col Ciriegia e quello delle Finestre, Borgo San Dalmazzo, il colle della Maddalena e ben più su, ormai in provincia di Torino, Bardonecchia e la Valle Stretta (potrebbero starci anche Nevache e Briançon giusto al di là del confine e credo siano luoghi di cui avete sentito parlare, ultimamente). Quei luoghi lì, tra Roya e vallate cuneesi, sono casa, dove sono nata e molte delle storie che il libro cita, prime tra tutte quelle degli ebrei che nel settembre 1943 da Saint-Martin-Vésubie cercarono salvezza in Italia, quelli che si salvarono e quelli che li salvarono, quelli internati nel campo di Borgo e partiti sui carri bestiame verso Fossoli, ecco quelle storie fanno parte del quotidiano perché sono nipote di una delle persone che ha lavorato per anni per portarle a conoscenza e, col tempo, sono diventate in qualche modo storie di famiglia, per quel meccanismo che ti fa sentire prossimo e caro chi la cui vita ti è affidata per farne memoria. Cammino sovente sui sentieri di Grimaldi e de La Mortola, sulla riga di confine affacciato sul mare tra Ventimiglia e Mentone, quei sentieri che gli ebrei percorrevano per cercar salvezza durante la Seconda Guerra mondiale e che oggi tanti immigrati tentano (e se uno si chiama da sempre Passo della Morte non è a caso): sono i sentieri dei contrabbandieri e dei passeurs, quelli che Francesco Biamonti sapeva a memoria e che ha messo nei suoi romanzi. So la storia della Valle Roya, italiana e poi francese; di un paese come Briga diviso in due Stati diversi e in tre province differenti, dividendo le famiglie, i campi, i pascoli e le greggi. So gli occhi a capocchia di spillo e la forza di Cédric Herrou, il contadino di Breil, da mesi accusato dallo Stato francese per il suo aiuto ai migranti insieme all’associazione Roya Citoyenne che prende parte in Val Roya e ormai non solo più lì; so la vista sul mondo che Enzo guarda da Grimaldi Superiore; so le meraviglia della Valle delle Meraviglie e non è un bisticcio di parole. So anche di quella curva subito dopo Fanghetto, dove la valle si fa Francia e dove c’è il posto di blocco della gendarmerie che rallenta le auto in salita dal mare: devo avere la faccia da contrabbandiera visto che ogni volta mi fermano; non chiedono documenti, ma sempre e solo di aprire il cofano. Sempre.

Sono cose mie, insomma.

Ecco allora, questo è lo sfondo di un romanzo che parla di ragazzi che cercano di passare il confine: Fra e Kappa camminano sui sentieri intorno al confine rifacendosi a storie di anni precedenti, guidati da una lettera del nonno che parla di una sua esperienza che ha a che fare con l’emigrazione in altri anni ; Abdullah dalla Tunisia cerca di arrivare in Francia dove Céline, conosciuta on line, lo aspetta, anzi viene a cercarlo (in motorino per tutta la Val Roya e poi sulla Maddalena, ragazza, parbleu!). Le loro storie raccontano dei poliziotti alla frontiera, di quelli che battono le carrozze dei treni che oltrepassano i confini, dei cartelli in più lingue che chiedono ai migranti di non provare a arrampicarsi sopra i convogli o ad avventurarsi nella neve pena il rischio di rimanere fulminati o assiderati; raccontano di speranze, dignità umana, storia che si ripete nel tempo e che rende ancora più assurda la cronaca quotidiana dell’oggi. Un libro che fa testimonianza della realtà.

Però, visto che cerchiamo di essere onesti, lo diciamo: come il precedente dello stesso autore, questo è un romanzo costruito per parlare di certi temi e per metterci gli echi storici (il memoriale di Borgo, Cédric, i passeurs della Val Susa di tanti anni fa, il campo di Ventimiglia, i migranti ai Balzi Rossi e via così). Per cui vi può dare, come il precedente appunto, spunti per affrontare questo tema, al di là della valenza narrativa che ha in sé. Se poi cercate altre esperienze e leggete in francese vi consiglio Passeur di Raphaël Kraft, in cui il giornalista francese ripercorre coi migranti i sentieri tra Mentone e Ventimiglia. E poi di andarvi a rileggere Biamonti, in particolare “Vento largo”, con Varì che riprende a fare il passeur e elenca i “suoi” migranti: “Non abbiamo mai lasciato nessuno di qua del confine”.

Di certo ce n’è, anche in questo romanzo, per iniziare una riflessione sul confine, su quel che significa un tratto che ha senso geograficamente, su cosa vuol dire invece per chi ci vive intorno e lo attraversa normalmente, legalmente, per andare a scuola, al lavoro e non lo sente. Né nella lingua né nelle persone né nei luoghi. Crescere in terra di confine (soprattutto qui, dove la lingua unisce) significa anche questo: sapere che quella linea geografica non apparitene al sentire quotidiano e che gli elicotteri che lo pattugliano, braccando chi lo passa, suonano assurdi.

Carlo Greppi, Bruciare la frontiera, Feltrinelli Up 2018, 169 p., euro 13

Clandestino

18 Ott

Colfer e Donkin, con Giovanni Rigano, hanno già lavorato insieme all’adattamento a fumetti di Artemis Fowl; qui invece danno corpo a una nuova storia, che prende spunto da tante voci e tante storie diverse , da ricerche e interviste sul campo che convergono nella singola storia di Ebo per dare un volto a chi affronta il deserto, il mare, il rovesciamento dei barconi pur di arrivare in Europa. Ebo ha dodici anni e vive in un villaggio del Ghana, ha una voce splendida per cui è noto a tutti, e un fratello che improvvisamente scompare: è partito per raggiungere l’Europa, dove vive la sorella di cui non hanno più notizie. Ebo non ci sta a rimanere solo ad aspettare e così raggiunge Agadez senza perdere la speranza di trovare Kwame: viene premiato e insieme i due partono. Il racconto procede per capitoli in cui Ebo – mentre è in mare su un gommone, poi su una nave più grande – torna indietro col ricordo e ripercorre la strada, le difficoltà, gli imprevisti, le fortune e le persone che ha incontrato. Gli autori riescono così a dare uno spaccato di storie diverse, di tanti tipi di speranza e di obiettivi e di un catalogo di destini: famiglie divise, persone che cadono dal camion che non si ferma a riprenderle, scafisti, trafficanti di uomini, motori che si fermano, barche che si rovesciano, vite salvate e vite affondate.

Il risultato è un racconto credibile che permette al lettore di avere di fronte tante testimonianze vive, una narrazione-documentario che ha dalla sua la forza dell’immagine e del fumetto, che sceglie di essere minimo (solo l’essenziale, nei dialoghi e nei pensieri di Ebo) e per questo vincente.

Eoin Colfer – Andrew Donkin – ill. Giovanni Rigano, Clandestino (trad. di Tommaso Varvello), Mondadori 2017, 140 p., euro 14

Il re del cielo

5 Lug

In questo libro c’è una storia detta dal testo e poi ci sono altre storie che si intrecciano per rimandi vari: c’è un bambino innanzitutto che vive in Inghilterra e che prova grande nostalgia per l?italia, suo Paese d’origine, di cui gli mancano il sole, le fontane e il profumo di vaniglia del gelato della nonna. Non si sente a casa in un posto che gli pare estraneo nei colori e che sente lontano perché la lingua è differente. Poi c’è il signor Evans che allena i piccioni a percorrere distanze sempre più lunghe, che li iscrive alle gare e che punta su “re del cielo”, convinto che diventerà un campione grazie all’energia e alla potenza delle sue ali. C’è la storia di questo piccione, capace di volare da Roma fino a casa; quella del bambino che sta cercando un posto suo; quella del signor Evans che ha lavorato per anni in miniera e adesso adora guardare verso il cielo; c’è la difficoltà di ambientarsi in un posto nuovo e di sentirlo proprio; c’è l’accenno al ruolo dei piccioni viaggiatori in guerra come portatori di messaggio. Ci sono storie che si intrecciano, come nel volo degli uccelli, nelle traiettorie che disegnano in alto, tenendo sempre fissa la direzione.

Il testo è di Nicola Davies di cui i lettori conoscono molti libri divulgativi editi principalmente in Italia da Editoriale Scienza e che, in questo caso, ci dà prova della propria versatilità per altro testimoniata (lo potete vedere dal suo sito) dalle diverse opere narrative di cui è autrice. La natura, come l’illustrazione diventano parti integranti di una storia: le matite di Laura Carlin regalano contorni, particolari, paesaggi; danno voce a quel che intorno intorno al protagonista, intorno al volo. A proposito dell’illustratrice, non perdetevi le sue ceramiche: fate scorrere la vetrina fotografica e beatevi!

Il testo è in stampatello maiuscolo.

Nicola Davies – ill. Laura Carlin, Il re del cielo (trad. di Sara Marconi), Lapis 2017, 56 p., euro 14,50

La galleria degli enigmi

20 Mar

Ho apprezzato molto, lungo e non felice titolo dell’edizione italiana a parte, L’incredibile caso dell’uovo e del Raffaello scomparso edito da Fabbri due anni fa; ora un nuovo romanzo della stessa autrice ripropone gli azzeccati ingredienti del precedente: una approfondita conoscenza della storia dell’arte, in particolare pittorica, una protagonista divertente e intraprendente, un’ottima ambientazione storica. Se nel primo libro il lettore camminava nella New York contemporanea con rimandi al periodo della Seconda Guerra Mondiale, qui c’è la Grande Mela del 1928 e del 1929, con il fermento sociale, l’immigrazione, i contrasti politici (si è in piena campagna elettorale per l’elezione a sindaco che vedrà trionfare Hoover).

La dodicenne Martha vive con la madre e due fratelli gemelli, il padre sempre in giro per i suoi spettacoli di vaudeville; è una ragazzina dalla risposta pronta, curiosa, ma anche attenta e piena di domande e non riesce a tenere a freno la lingua nella scuola rigidamente cattolica che frequenta. Ha una certa tendenza a combattere gli stereotipi e i ruoli di genere, cominciando dalle questioni bibliche che la sua insegnante sottopone alle allieve e il suo costante contraddire – a ragione peraltro – le costa l’espulsione. La madre le prefigge un duro ingresso nel mondo del lavoro e la sistema come lavapiatti nella grande dimora in cui è a capo dei domestici: la casa di Mr. Sewell, proprietario di uno dei maggiori quotidiani, grande sostenitore di Hoover e dell’etica del guadagno. La casa nasconde una sorta di mistero: la signora Sewell, una ricca ragazza che prima del matrimonio ha viaggiato molto e scandalizzato la società statunitense con comportamenti giudicati non adatti a una donna, vive reclusa all’ultimo piano, circondata da quadri preziosissimi, mangiando sempre le stesse cose, prigioniera della pazzia di cui tutti sono a conoscenza. Se si aggiunge che il valletto ha strani comportamenti, che in casa esplode una bomba lanciata dall’esterno e che nella galleria apposita arrivano a rotazione dei quadri inviati dalla signora Sewell, la fantasia di Martha non può mettersi in moto. Proprio aiutata dal valletto Alphonse, un italiano che si finge francese, ex insegnante di latino e greco immigrato da poco, scopre le storie dei miti che sono raffigurati nei quadri e ne coglie il significato: sono messaggi inviati da Rose Sewell per denunciare la propria prigionia e l’avvelenamento a cui è lentamente sottoposta.

Laura Marx Fitgerald trova posto per descrivere grandi biblioteche e collocazioni Dewey, per parlare delle Metamorfosi di Ovidio e del melting pot della società newyorkese dell’epoca, per dire di cinema, di politica, di lotta di classe e di affermazione del ruolo della donna; racconta la storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, regalandosi la licenza di dare un fratello a Vanzetti per potergli dare un ruolo di primo piano (e a me, che dalla terra di Vanzetti vengo, ciò è particolarmente caro). L’affresco dell’epoca, la fotografia che ne nasce è dettagliata e viva, ribolle di fermenti rivoluzionari e di scoperte: per Martha la verità sul proprio amato papà, su come vanno le cose nel mondo e su com’è la sua città fuori dal quartiere in cui vive.

L’autrice è abilissima non solo a dare mille informazioni e ad approfondire su arte e letteratura, ma ancora una volta disegna un personaggio anziano assolutamente verosimile e fantastico: se nel precedente romanzo era il nonno della protagonista, qui è Martha stessa che accoglie il lettore alla soglia delle cento candeline, parlando in modo caustico, veritiero e imperdibile della sua condizione di vecchia. Sempre lei del resto, dichiara di aver imparato che se si chiede la verità ad un adulto si ottiene di solito una storia; lei vuole raccontare la verità sui fatti a cui ha preso parte; ne fa nascere un splendida storia di verità che non potete far mancare ai lettori amanti di misteri e di colpi di scena.

Il sito dell’autrice dove è possibile vedere insieme alcuni dei quadri “prestati” alla galleria di Rose, quelli che usa per tramettere messaggi a Martha, e saperne di più in personaggi e immagini degli anni Venti.

Laura Marx Fitzgerald, La galleria degli enigmi (trad . di Maria Concetta Scotto di Santillo), Fabbri 2017, 268 p., euro 15,90

Il sogno di Youssef

30 Apr

YOUSSEF coverAspettavo da tempo un libro così, meraviglioso e toccante già nella dedica iniziale: “A tutti i bambini che scappano dai buchi neri delle guerre dei grandi. Ai loro sogni appesi tra cielo, terra e mare”. Basterebbe solo questo, forse. Ma Isabella Paglia ci regala un testo poetico, prima duro e poi dolce, più rarefatto nella parte finale. Lo accompagnano illustrazioni bellissime, nel racconto di un dettaglio dove si condensa la disperazione, nella coralità di eventi più grandi che i bambini subiscono senza comprendere.

È un libro per i nostri piccoli, certo. Ma non lascerei al riparo gli adulti, bisognosi, loro sì, di una “storia” reale per tornare a commuoversi.

Già sotto il titolo, pagina iniziale, il dettaglio di una ciabattina da bimba, come le tante, troppe, viste al tg, nella cronaca dell’ennesimo naufragio. L’amicizia tra due bambini, interrotta dalla guerra e dalla partenza di lei. Maryam e Youssef, sognatori di mare e avventure. Il mare lo vedono la prima volta quando arriva a separarli. Sebbene abbia il ritmo di una ninna nanna, non è benevolo, ma misterioso e scuro.Per chi resta cadono le bombe, portando lutti e disperazione. Di Maryam non si sa più nulla, ma Youssef coltiva ogni giorno il sogno di riabbracciarla. Da qui in avanti il libro abbandona la cronaca e diventa una favola, irreale, certamente, un sogno con un risveglio in cui i desideri si avverano.

L’immagine dell’abbraccio alla conclusione del libro dovrebbe campeggiare in ogni scuola, biblioteca, asilo. Semplicemente due bimbi che si stringono, dopo aver visto l’inferno. L’empatia più vera, quella che si è persa tra burocrazie, calcoli di quote, costruzione di muri.

Il sito di Isabella Paglia; il blog di Sonia ML Possentini.

Isabella Paglia – ill. Sonia MariaLuce Possentini, Il sogno di Youssef, Camelozampa 2016, 32 p., euro 15