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Le catastrofi del giorno

13 Dic

Catastrofi-del-giornoNuovo romanzo della svedese Jackert, sempre ambientato nel quartiere dell’Obse come il precedente. Questa volta la protagonista è un’undicenne informatissima e cosncia dei pericoli che possono esserci in giro: nel cibo, per strada, nelle persone. Ti possono rapire, fare a pezzi, puoi essere investito, cadere, sbattere la testa, respirare aria inquinata, mangiare cibo avvelenato… Majken conosce le percentuali e le probabilità di una sacco di catastrofi, sfighe e tragedie che possono capitare a chiunque in qualunque momento; le anota sul diario, ritaglia trafiletti di giornali, controlla i germi, non mangia fuori casa, non accetta cibo da sconosciuti, tiene alla larga compagni e potenziali amici e assilla la mamma per andare a vivere in campagna. Ovviamente tutte questa maniacali manie che la fanno risultare a tratti insostenibile e insopportabile hanno una causa e una motivazione precisa e servirà un cane, brutto e puzzolente, in affido per qualche settimana dal canile a far sì che cominci ad aprirsi al mondo, a parlare con estranei (una vecchietta senza dentiera, un ometto con un occhio di vetro, ma anche un suo compagno di scuola), a capire di aver paura del passato più che del futuro e trasformi l’estate in una possibilità.

Ovviamente il fatto che questo libro parli di cose come l’interno di una vagina (è importante sapere come siamo fatti dentro, sentenzia la protagonista) e si chiuda con l’esimia, sorridente frase “Che estate di merda”, ce lo fa apprezzare particolarmente. Viene dal nord, oviamente, e ben venga!

La copertina è di Alessandro Baronciani. Libro ad alta leggibilità.

Cilla Jackert, le catastrofi del giorno (trad. di Samanta K. Milton Knowles), Camelozampa 2020, 176 p., euro 11,90

Veglia su di me

4 Dic

veglia su di meNevica forte in questo momento e non posso trovare storia più appropriata. Ho sempre apprezzato i titoli della collana Gusci dell’Accademia nazionale di anta Cecilia, spesso poco conosciuti e poco presenti nelle biblioteche, nonostante siano accompagnati da un cd che presenta la storia e le tracce musciali ad essa legati (ora sostituiti da un codice prensente nel libro per ascoltare la playlist on line) e quindi preziosi tra le proposte di lettura. La collaborazione con la casa editrice Curci young permetterà sicuramente a questo progetto di avere maggiore visibilità, come meritano le storie di qualità che presenta, ciascun libro legato a un particolare strumento musicale.

A Matteo Corradini tocca il pianoforte, intorno a cui cuce una storia di rapporti tra adulti e ragazzi, di avere cura, di far fronte alla necessità della verità. I genitori di Dora sono musicisti, il papà suona il pianoforte in club jazz la sera e la mamma è via da tanto per le sue tournée. Dall’alto dei suoi dodici anni, Dora attraversa i giorni con indipendenza, il mazzo delle chiavi di casa con cui può entrare e uscire a piacimento, un ruolo preciso da rispettare a scuola e il desiderio di battersi perché le cose siano giuste (e poco importa se il preside la chiami sobillatrice). Ma cosa sia giusto a volte è difficile da definire, basta un diverso angolo da cui guardi le cose a cambiare tutto, basta considerare la parte per il tutto o viceversa.  Quando arriva in buca una lettera della madre, Dora comincia a porsi domande e a cercare rapida la risposta, che ha un indirizzo preciso e apre a un mondo nuovo, a una realtà inaspettata. Un romanzo che dice come si debba far attenzione a non lasciare che un solo gesto definisca una persona, che a volte è possibile sperimentare, che la notte può essere buia, ma passerà. E “chissà quali orme lascia il cuore nella neve”.

In questo libro ci sono due gatti con lo stesso nome, i freni a mano da fare sulla neve ghiacciata e una via intitolata ai Martiri della Didattica a Distanza (!); c’è una ragazzina che si scopre figlia di due di cui sa ben poco; c’è il rapporto dei ragazzi con gli adulti che non fanno parte della tua famiglia di sangue, ma che ti accompagnano e segnano la tua vita, come nel caso di Dora, la sua insegnante di sostegno e l’anziano vicino di casa. C’è quel che le persone dicono di stesse, che non è la realtà, ma forse poi, in fondo, la vera verità a cui si aspira.

Nelle pagine finali un approfondimento storico e tecnico sul pianoforte a cura di Paola Pacelli e un glossario dove scoprire che caviglie e martelletti non sono solo parti del corpo umano! Nella playlist online, la voce narrante è di Amanda Sandrelli e le musiche di Orazio Sciortino.

Matteo Corradini – ill. Lucia Scuderi, Veglia su di me, Curci / Accademia nazionale di Santa Cecilia 2020, 90 p., euro 15

I tre funerali del mio cane

18 Nov

tre funeraliQuesto racconto lungo è una bella dimostrazione di come sia possibile fare una narrazione godibile e a tratti divertente ruotando praticamente solo intorno a un argomento che di allegro pare non avere nulla: un funerale. Babino, il cane del protagonista, è morto investito da un’auto e il ragazzino, insieme ai tre amici più cari e alla sorellina, cerca di preparare un funerale degno, pur dovendo, causa disguidi vari, ricominciare da capo tre volte.

Il racconto è in prima persona: Nemo racconta il dolore, la tristezza e poi il suo amore per Morgana; parla di super-eroi e ascolta gli amici riproporre i momenti felici con Babino, ma anche dire cose schifose che fanno sorridere. La capacità di Guéraud sta proprio lì: saper dare voce a Nemo e mettersi ad altezza ragazzino di fronte a un tema come la morte: si parla di un cane, ma le tappe di questo inizio di lutto sarebbero le stesse se si trattasse di una persona; l’autore riesce a dire la crudeltà del dolore e la dolcezza del ricordo inserendolo in un tempo quotidiano, nel caldo del pomeriggio, nella pausa della partita di pallone e rendendo così sulla pagina quel che la morte semplicemente è, una parte della vita.

Molti avranno la tentazione di far finire questo libro tra i libri “utili”; non sarebbe male se invece finisse tra le proposte di lettura senza motivo se non perché si lascia leggere bene e facile. E se volete proprio trovarci un tema, che sia amore, cane, amici.

Guillaume Guéraud, I tre funerali del mio cane (trad. di Flavio Sorrentino), Bianconero 2020, 79 p., euro 10

Tess e la settimana più folle della mia vita

27 Ott

beisler-woltz-tess-Si è fatto divorare, questo romanzo. Ha lasciato una scia di luce, facendo risplendere le sfaccettature della vita, con le paure, le novità, la quotidianità e gli imprevisti. Mi è parso molto bello, e onesto e spiazzante come può esserlo – penso a molti adulti che lo leggeranno – un romanzo che riesce a parlare per parecchie pagine di funerali, in cui un protagonista riflette sulla morte cercando di convincersi ad allenarsi ad essere triste, che inanella cose strambe proprio come amano i due ragazzini che vi spadroneggiano e che dice la potenza della verità, quella che stravolge tutto come un tornado o forse no, perché semplicemente permette di dire e di essere con sincerità.

Una settimana di vacanza su un’isola rischia di diventare noiosa perché, sbarcati da poche ore, ecco che il fratello di Samuel si rompe una gamba. Ma lui non ha fatto i conti con Tess, dagli occhi di pagliuzze dorate, alta, intraprendente, che non chiede mai scusa e che volteggia nell’aria dicendo cose tipo: “Ho appena ballato un valzerino!”. Samuel balla, non solo quel valzer, ma tutta la danza che Tess intreccia per i giorni successivi, fatta di pianificazioni, imprevisti, attese, desideri e disastri. Perché Tess ha scoperto il nome del padre che non ha mai conosciuto e con uno stratagemma lo ha invitato sull’isola, per studiarlo e capire se possa piacerle e se lei può andare a genio a lui, adulto che ignora da undici anni di essere genitore.

Questa storia si può anche ascoltare in versione digitale grazie all’app leggieascolta Beisler.Appuntamento ai prossimi libri di Anna Woltz e alla versione cinematografica di questo romanzo pluripremiato, già presentata al Filmfestspiele di Berlino e al Giffoni Film Festival 2019: ecco il trailer

Anna Woltz – ill. Regina Kehn, Tess e la settimana più folle della mia vita (trad. di Anna Patrucco Becchi), Beisler 2020, 176 p., euro 15,80

Il grande Nate

24 Giu

grande nateNate the Great è una serie di più di venti libri scritti a partire dagli anni Settanta da Marjorie Weinman Sharmat che da bambina aveva due grandi sogni: diventare scrittrice ed essere una buona detective. Proprio per questo il suo piccolo protagonista si lancia nell’investigazione, a sua misura ovviamente, partendo dai problemi degli amici, dai guai del vicinato. E della giusta misura – un concetto su cui siamo più volte tornati in questo ultimo anno – sono i primi due libri della serie tradotti in italiano, che negli Stai Uniti hanno accompagnato generazioni di bambini nel prendere confidenza con la lettura: testi brevi e divertenti, illustrati, con uno sguardo all’altezza dei personaggi che mettono in pagina, riproposti dalla casa editrice Il Barbagianni in caratteri ad alta leggibilità.

Nate, il Grande Nate, fa il detective, lavora per conto proprio, niente soci e niente cibo quando si lavora (ma si può fare un’eccezione per i pancake!). Ogni volta che esce per un caso, lascia un messaggio alla sua mamma, in cui la rassicura di cose tipo che tornerà presto o che si è messo le scarpe da pioggia. Calca il cappello, infila l’impermeabile, si fa seguire dal fidato cane Fango e punta all’osservazione. Per minimi che vi possano sembrare i casi da risolvere (nei primi due volumi un disegno scomparso, una lista della spesa smarrita), il giovane detective e il testo seguono infatti una logica precisa, con lo scopo di far partecipe il lettore alla scoperta degli indizi e al ragionamento che porta alla soluzione, quasi portandolo per mano a capire cosa sia successo anche grazie alle illustrazioni che, davvero in questo caso, accompagnano la narrazione e la rendono evidente.

In più sono avventure che si prestano brillantemente alla condivisione ad alta voce. E ne è già annunciato un terzo!

Marjorie Weinman Sharmat – ill. Marc Simont, Il Grande Nate (trad. di Laura Bernaschi), Il Barbagianni 2020, 62 p., euro 10

Marjorie Weinman Sharmat – ill. Marc Simont, Il Grande Nate e la lista smarrita (trad. di Laura Bernaschi), Il Barbagianni 2020, 48 p., euro 10

Hai la mia parola

15 Apr

HAI-LA-MIA-PAROLANon è mai semplice scrivere di un libro che ti cattura, ti avvolge e ti lascia senza parole perché bastano quelle delle sue pagine. Comincio allora col dire che, in questo nuovo romanzo per Sinnos, Patrizia Rinaldi tesse una trama di storia e un ordito di riferimenti, più o meno velati, che agli occhi di alcuni lettori saranno preziosi: è diviso in tre parti (tre cantiche?!), ciascuna delle quali ha ventuno capitoli contrassegnati dalle ventun lettere dell’alfabeto italiano e da una parola che inizia con esse; ci sono dentro le fiabe, quelle popolari, quelle che ciascuno conosce, quelle di Basile, dei Grimm; ci sono rimandi, citazioni ed inserti.

Ai più basterà comunque la trama, che ficca i piedi in un tempo lontano – la Sardegna di visconti,briganti e abati – e parla del sempre: del cammino che ciascuno deve fare per trovare se stesso,  del coraggio, dell’intraprendenza e della solidarietà che servono, del dolore e delle difficoltà che talvolta occorre attraversare per posarsi liberi su un’altra riva, a godere di una quotidiana felicità.

Come in ogni fiaba che si rispetti c’è una matrigna che odia le malefiglie, un padre che vede la possibilità di riscatto sociale nella bellezza di una delle due, un magico gatto selvatico, un potente terribile che pensa di poter avere tutto ciò che desidera, una donna forte e indipendente (la monaca di un vicino monastero), un destino che condanna, una fuga, una serie di incontri imprevisti che sospingono verso il finale a suo modo salvifico. 

Ci sono innanzitutto due sorelle legatissime, la bella Mariagabriela e Nera la zoppa che pascolano le capre del padre fino al giorno in cui il visconte che domina il borgo in cui vivono si accorge della bellezza di MariaGabriela e la vuole come serva perché gli dia i figli che non riesce ad avere dalle mogli che muoiono in successione: la ragazza, venduta dal padre come una merce, si piega al destino e alle punizioni che le toccano, ma la sorella – indomita e ribelle – sceglie di ritrovarla quando le viene detto che è fuggita da palazzo. Nera è forgiata dal disprezzo di molti verso la malformazione del suo piede e dalla fiducia che una monaca a riposto in lei insegnandole a leggere; ha la testa piena di storie e possiede l’arte del narrare: tutto ciò l’ha assolta dai limiti e le ha dato la libertà di essere. Accompagnata da una capretta e da un amico altrettanto fedeli, parte alla ricerca della sorella, tessendo una storia piena di speranza che tenere viva la possibilità di tornare davvero a essere – da due – una.

Come ogni fiaba, il romanzo porta in sé la capacità di parlare di molto: innanzitutto il potere delle parole, delle storie, dell’arte di narrare;  la forza che viene dalla lettura; poi l’importanza dei maestri, quelli che ti insegnano cose e quelli che ti mostrano cammini, e ancora il rapporto genitori-figli, siano essi veri o adottivi o scelti, che la vita ti pone accanto e che riconosci in un legame forte.

L’illustrazione di copertina è di Paolo Domeniconi.

Patrizia Rinaldi, Hai la mia parola, Sinnos 2019, 217 p., euro 14

Cibo, ragazze e tutto quello che non posso avere

23 Gen

Biancoenero conferma la capacità di scegliere per i lettori più grandi romanzi che sappiano parlare della vita in modo ironico, coinvolgente, mai banale. In questo caso Andrew Zansky, 15 anni di età e 139 chili di peso, racconta la sua battaglia quotidiana: con il suo grasso per entrare nel banco, con il ritrovarsi senza parole davanti alla ragazza che gli piace, con i genitori separati, col bullo che lo ha preso di mira, bersaglio facile. Racconta anche e soprattutto della lotta con se stesso: non tanto con il suo peso (di certo non aiuta avere una madre che si occupa di catering e una sorella magrissima) quanto piuttosto con chi è veramente. Partecipa da anni all’attività di simulazione ONU seguendo il suo migliore amico, ma non è quello che gli interessa davvero; vorrebbe fare mille cose, ma si adegua e segue, prova a mimetizzarsi, salta l’ora di ginnastica. Poi gli si offre l’occasione perfetta: l’amicizia con il ragazzo più popolare della scuola e la possibilità di giocare nella squadra di football. Lì Andrew capisce cosa significhi davvero essere parte di una squadra e fare squadra, ma affina anche il suo sguardo sugli altri: guarda i compagni, gli amici, i genitori, gli insegnanti e pensa alle maschere che ciascuno indossa, mentre cresce in lui il desiderio di fare quel che davvero gli va, anche a costo di scelte che quasi tutti faticano a capire.

Partendo dalla sua esperienza personale, già raccontata nel libro Fame pubblicato anni fa da Corbaccio, Zadoff costruisce un ritratto di adolescente davvero credibile, compreso il linguaggio, i discorsi, il cameratismo, la solitudine, l’andamento del cuore così poco governabile.

Allen Zadoff, Cibo, ragazze e tutto quello che non posso avere (trad. di Daniele Troilo), Biancoenero 2019, 271 p., euro 15

Bianca

11 Nov

Bianca ha dodici anni ed è proprio una dodicenne, verrebbe da dire: la trovano intrattabile, lunatica, scontrosa, silenziosa; nessuno riesce a capirla, né la madre né il padre che vive in un’altra casa con un’altra compagna e vorrebbe addirittura vederla meno (perché pensa che a lei farebbe piacere così). Bianca sa essere furiosa, ma in estremo silenzio e pare così ingarbugliata che sua madre sostiene ci voglia il libretto delle istruzioni per comprenderla, ma è comunque difficile, pare che talvolta il libretto cambi lingua e non ci sia nulla da fare. Bianca ha un posto segreto, un angolo nascosto di prato, dietro casa, così nascosto che devi farti sottile per entrarci e graffiarti le braccia e le gambe nude nell’estate; così nascosto che par già di essere in casa della vicina, talmente è attaccato il suo pollaio: fnché rimane lì, Bianca non è da nessuna parte.

Poi c’è il pomeriggio in cui è ambientato tutto il libro: arriva in casa un amico del fratello minore accompagnato dalla madre, l’attrice della serie preferita dalla ragazzina. E lei non riesce a dir nulla, se non inventarsi un nome finto e fare la scontrosa. Eppure quella donna la trova notevole e, pensando al suo ruolo e al fatto che chi recita non è la parte che recita, Bianca prova a mettersi nei panni degli altri e rompe il guscio nell’abbraccio con sua madre, nella chiarezza col padre, nel chiedere scusa, a suo modo, alla donna che vive col padre.

Bianca è un personaggio di Bart Moeyaert che condensa in una vicenda che si gioca nell’arco di poche ore un ritratto di adolescente sputato sputato e fa sentire al lettore quel silenzio che è proprio di Bianca, in cui lei si cala e in cui rimbombano lontani – quasi avesse infilato la testa nella boccia del pesce rosso – i rumori della quotidianità: i moscerini che ronzano sopra la pentola, il fratello che ride in giardino, il ghiacchio nei bicchieri. E fa sentire, nella splendida descrizione di come sono le foto a cui tagli la testa e poi tenti di rincollarla, che ci sono momenti in cui decidi una cosa e quella è, e anche se torni indietro il segno rimane.

Bart Moeyaert ha vinto quest’anno l’ Astrid Lindgren Memorial Award, la cui cerimonia Della Passarelli, la sua editrice italiana ha raccontato qui. La cerimonia e il discorso li potete vedere sul sito del Premio a questa pagina. E incontrare prossimamente l’autore a Milano e a Roma.

Bart Moeyaert, Bianca (trad. di Laura Pignatti), Sinnos 2019, 137 p., euro 13

La tana nell’albero

4 Nov

tana nell'alberoAutore prezioso Cary Fagan già apprezzato in La strana collezione di mr. Karp e in quel gioiellino di racconto di formazione che è The Big Swim. Eccolo di nuovo con una delizia di racconto lungo che scorre veloce nella lettura e che sembra ritmato giusto per una lettura condivisa. Si svolge a Toronot, nel 1925: un circo che si muove su rotaia perde gli ultimi due vagoni mentre è in viaggio e il leone che stava rinchiuso in una delle gabbie non si trova più. Lo danno per morto, il domatore se ne fa una ragione, ma lui è vivo e vegeto e nascosto nel tronco di un albero fulminato nel parco cittadino, dove si verificano strane sparizioni e apparizioni. Lo trova l’intraprendente Sadie, figlia di un pasticciere, che prima lo addomestica grazie agli carti della macelleria, poi prende a nutrirlo con regolarità e infine deve escogitare il modo di difenderlo dall’arresto. La ragazzina è aiutata da un bambino di ricca famiglia a cui ogni giorno consegna le torte, abbigliato sempre in modo buffo e che non chiede altro che esserle amico (inutile dire che lei tende a destestarlo, almeno all’inizio): i due si muovono liberi, prendono decisioni, assaggiano la bellezza del passeggiare di notte in città con un leone al guinzaglio (perché non lo fa più gente). Gli adulti sono sullo sfondo: il padre di Sadie e la loro pensionante, anziana bibliotecaria che raccoglie articoli di giornale stravaganti e dispensa consigli non richiesti; entreranno in gioco quando ci saranno da prendere decisioni importanti e, insieme al domatore, si confronteranno coi ragazzi sul destino del leone, sul concetto di libertà.

Un bel racconto, dal finale non scontato e non troppo roseo, giusto direi, e con una puntuale riflessione sul termine “perdita”: Sadie ha perso la mamma, nel senso che se n’è andata inc erca di fama e fortuna, per cui sa benissimo che un leone che si è perso non è necessariamente morto, ma sta lì fuori da qualche parte.

Davvero una lettura da non perdere.

Cary Fagan, La tana nell’albero (trad. di Francesco Piperno e Flavio Sorrentino), Biancoenero 2019, 111 p., euro 11

La tredicesima fata

30 Set

Kaye Umansky ama il mondo delle streghe e si diverte molto a giocare sulle interpretazioni delle fiabe: pensate alla serie dedicata a Puzzy la strega suciona, ma anche a La strega più cattiva del mondo (Sinnos 2013) dove Hansel e Gretel aiutano Malumore a conquistare il titolo di strega più cattiva del mondo oppure a “Dalla parte delle sorellastre” (Sinnos 2008) con evidente riferimento a Biancaneve.

Qui Grimbleshanks racconta le sue peripezie in un mondo dove le altre fate si chiamano Bucaneve, Rosa, Malva e via così, dove lei è l’unica a vestirsi di nero e viene messa da parte, mai considerata. Non è stata invitata al matrimonio reale e nemmeno al battesimo della nuova principessa; del resto sarebbe la fata numero 13 a tavola e porterebbe sfortuna. Quando le colleghe le sventolano sotto il naso l’invito dorato a nulla serve la saggezza del corvo che abita con lei: Grimbleshanks si precipita al battesimo con una potente maledizione da lanciare. peccato che tutto si ingarbugli; le sue intenzioni non erano quelle di addormentare per cent’anni la principessa, ma solo di farsela amica. Nell’attesa non resta che imparare a suonare sassofono e chitarra e mettere su un bel complessino col corvo, Miss Trippa, Miss Interiora e Miss Buonsenso!

Breve e divertente, in caratteri ad alta leggibilità e adatto alla lettura ad alta voce.

Kaye Umansky – ill. Stefano Tambellini, La tredicesima fata (trad. di Francesco Piperno), Biancoenero 2019, 63 p., euro 8