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Bunker Diary

11 Mag

4430-Sovra.inddChi conosce e apprezza la scrittura di Kevin Brooks (in italiano sono stati tradotti Una canzone per Candy, Sonda 2010 e L’estete del coniglio nero, Piemme 2014) sa che le sue pagine possono essere insieme limpide e terribili, a tratti quasi feroci perché non nascondono nulla e dicono sovente la durezza della violenza, del perdersi, di come possa essere crudele, assurda, quasi incredibile la vita.

In questo libro, mette in scena una situazione ai limiti dell’immaginabile, costruendo la vicenda intorno al disegno di un pazzo che rapisce sei persone di età e condizione sociale differente e le chiude in un bunker, divertendosi a premiarle o a punirle a seconda dell’andamento delle giornate: arrivano borse piene di cibo oppure viene razionata persino l’acqua, il riscaldamento è troppo alto o troppo basso, i colpi di scena sono inaspettati. La voce narrante appartiene a Linus, sedicenne figlio di un fumettista di fama, che ricorda al lettore il Joe di “Una canzone per Candy”: anche lui infatti scrive per raccontare come ci si sente in quel posto dove nessuno dei suoi lettori è mai stato. Attraverso la sua scrittura, che scorre sulle pagine di un taccuino, conosciamo gli altri cinque protagonisti che arrivano dopo di lui, ad intervalli regolari (una bambina di nove anni, una donna in carriera, un pendolare, un tossico, un fisico ben noto) e seguiamo le loro interazioni, le reazioni, i tentativi di organizzarsi secondo orari regolari, le diverse proposte per tentare la fuga. Su tutto incombe la domanda senza risposta: perché? Qual è davvero il disegno dell’uomo che li ha sedati e rapiti, quale esperimento sta portando avanti o semplicemente sta spingendo al massimo il suo sadismo e la sua pazzia? L’altra domanda silente, il chiedersi se qualcuno mai li troverà aleggia lungo le pagine ed è ancora più terribile per Linus; pochi mesi prima di essere rapito è scappato dal collegio e ha cominciato a vivere per strada, mandando a suo padre un biglietto in cui lo rassicurava dicendo che si sarebbe fatto vivo lui quando sarebbe stato pronto. La ricerca della libertà e la rabbia della ribellione fanno sì che sappia in qualche modo che per lui, a differenza degli altri, non c’è nessuno là fuori a cercarlo.

Il lettore è chiamato in causa direttamente in un ulteriore piano di lettura e coinvolgimento del romanzo: Linus infatti lo interroga direttamente, come sapesse – o sperasse – che qualcuno possa leggere quanto scrive, chiedendosi dove sia la verità, chi esista davvero e chi no. Un libro che si chiude a spirale sul lettore, facendogli dimenticare l’intorno, come se non esistesse nell’altro che il buio e l’aria rarefatta del bunker, spingendolo a non lasciare la storia fino all’ultima inesorabile pagina.

Questo romanzo ha vinto la Canergie Medal nel 2014. Leggi il primo capitolo sul sito dell’editore. A proposito dell’autore.

Kevin Brooks, Bunker Diary (trad. di Paolo Antonio Livorati), Piemme Freeway 2015, 288 p., euro 15 (l’ebook annunciato non è ancora al momento disponibile)

Fake

4 Ott

Più riguardo a FakeIl primo giorno di primavera Marcella Destori scompare. Non si presenta a scuola nemmeno per l’assemblea di istituto a cui doveva intervenire, non torna a casa nemmeno finito lo sciopero dei mezzi; il suo zainetto viene trovato nei pressi dell’edificio scolastico, ma di lei non c’è traccia. Il lettore la conosce attraverso le parole di Giada, la compagna di banco al liceo linguistico, non proprio una vera amica, neanche una confidente, ma comunque la compagna a cui Marcella racconta spezzoni della sua vita e che ha un osservatorio privilegiato da cui guardarla, ammirarla, farsi domande.

Marcella è sempre un po’ distante, quasi assente; sembra da un’altra parte e poi piomba nella realtà sempre a proposito, sia che si tratti di rispondere all’interrogazione di un insegnante sia che intervenga in assemblea o difenda un compagno o una causa. Marcella danza con le dita sulla tastiera dello smartphone o del tablet, tiene gli occhi costantemente sullo schermo, è così allegramente sfacciata da riuscire persino a rispondere a una telefonata in classe, protetta com’è dal muro della schiena di Giacomo Ponti che le siede proprio davanti. Quando scompare, Giada cerca di ricostruire quello che sa delle amicizie e dei ragazzi che Marcella conosce in rete, di quelli con cui ama giocare – come dice lei – e tenere sul filo. Insieme c’è il diario cifrato che Stefano ha trovato nello zaino della compagna e il mistero di un falso profilo che Marcella ha aperto su Facebook usando il nome di Giada, sicura che lei, estranea com’è a ogni comunicazione tramite social media, non l’avrebbe mai scoperto.

I falsi profili in realtà sono più d’uno e leggendo vien da pensare che potrebbero definire anche tutte le immagini che di Marcella vengono rimandate lungo la prima pagina del romanzo, quando si racconta la ragazza attraverso gli occhi dei compagni, dei genitori, della sorella. Ognuno di loro sa qualcosa o pensa di sapere, immagina o scopre di non conoscerla per nulla anche se vive sotto lo stesso tetto. Tutto l’universo di MArcella è in discussione: i genitori che scoprono inaspettati lati della figlia; Giada che si sente presa in giro ed ingannata da quella che credeva un’amica; i compagni di scuola che non sanno cosa rispondere alla polizia che indaga e trovano più semplice inventare o supporre.

Il romanzo è costituito da due parti che narrano esattamente gli stessi giorni, prima attraverso gli occhi e la voce di Giada, poi attraverso quelli di Marcella. La prima parte, che cattura il lettore e fila via veloce, è sicuramente riuscita meglio della seconda ed è forse un peccato perché si rischia di veder un po’ banalizzata una trama che invece, nei primi capitoli, tiene ben alta l’attenzione e la curiosità del lettore parlando di modalità di utilizzo e di interazione con i social media e di capacità di interagire con gli altri, in famiglia e a scuola.

Il sito dell’autrice. L’illustrazione di copertina è di Vanna Vinci.

Adriana Merenda, Fake. Falsi profili, Piemme 2014, 272 p., euro 15, ebook euro 7,99

Quando il diavolo mi ha preso per mano

26 Mag

3254-Sovra.inddLa prima volta che ho guardato la copertina di questo libro ho pensato che raffigurasse la prua di una nave su un mare in tempesta; in realtà è un’alta scogliera, ma Candalù – la vecchia casa di famiglia in cui vive la protagonista diciassettenne Violet insieme al fratello gemello Luke – potrebbe ben essere una vecchia nave solitaria, trascurata alla soglia dell’abbandono e sferzata dai venti, isolata rispetto al piccolo paese non solo per la posizione in cui è stata costruita, ma anche per una sorta di snobismo in particolare del padre dei gemelli che lo ha portato a tenersi lontano dagli altri.

Ai margini sta anche Violet, taciturna, con la testa fra i libri e i pensieri rivolti all’adorata nonna Freddie, morta da poco, che l’ha cresciuta tra racconti di un passato ricco e misterioso e che ha lasciato in casa  delle lettere che la ragazza – nonostante le ricerche in ogni angolo – non riesce a trovare.

Per far fronte alle necessità economiche, Violet decide di affittare per l’estate la dépendance della villa a un ragazzo con una curiosa auto d’epoca che pare piombato dal cielo, tanto è misterioso e contraddittorio quel che di sé racconta. Ma River è anche affascinante, in grado di far sorridere chiunque e a chiunque essere attento e non è semplice per Violet credere che gli avvenimenti strani e soprannaturali che improvvisamente si verificano in paese possano essere messi in relazione con lui: bambini scomparsi, strane visioni, voci di chi dice di aver visto il diavolo, violenze improvvise dagli strascichi profondi. Il tutto si complica quando dovrebbe semplificarsi: l’arrivo del fratello di River, che spiega la sua vera identità, la sua storia e il potere particolare con cui è nato, in realtà apre nuovi scenari sulla famiglia di Violet, sui legami con alcune persone che vivono in paese, sul passato che ritorna sotto forme diverse.

La trama – con i suoi risvolti di mistero, poteri sovrumani e sangue – potrà affascinare i giovani lettori amanti del gotico; tenete conto che tutto questo si innesta su una base descrittiva che cita film come “Quarto potere”, “Casablanca”, “Sabrina” e altri classici del cinema con carrellata western, accanto a libri, da Tolkien a Narnia, da Dickens a Hawthorne passando per Auden: sicuramente una buona base per giocare coi rimandi, per incuriosire i lettori a cercare oltre, a vedere e a leggere altro.

Il libro, che ha una conclusione propria, lascia comunque aperto uno spiraglio che ci dice che è il primo di una serie di cui per ora sono usciti negli Stati Uniti due titoli.

Il sito dell’autrice.

April Genevieve Tucholke, Quando il diavolo mi ha preso per mano (trad. di Giorgio Salvi), Piemme Freeway 2014, 269 p., euro 16, ebook euro 9,99

L’estate nei tuoi occhi

7 Mag

2489-Sovra.inddEcco un nuovo romanzo per adolescenti che pagherà – agli occhi degli adulti, ovviamente, e quindi penso in particolare a bibliotecari in fase di acquisto e ad insegnanti in fase di consiglio – i pregiudizi verso il romance e generi simili, la copertina (brutta assai e per una volta identica all’originale), il fatto di essere il primo di una trilogia.

Siccome non dovremo attendere molto per leggere anche i successivi (un mese pare per l’uscita del secondo volume) avremo modo di accertare il valore dell’opera nel suo complesso; certamente questo primo volume merita che si abbattano i pregiudizi di cui sopra per dare in mano alle lettrici adolescenti una storia che sicuramente le coinvolgerà e che non è scritta affatto male, anzi, e aggiunge una facilità di lettura e di scorrevolezza che perdona anche un refuso grammaticale non da poco (vediamo se lo trovate 😉 ). Ci sono qua e là tra le pagine alcuni passaggi decisamente indovinati, specie nel descrivere determinate sensazioni, quelle nuove che la protagonista vive, ma anche ad esempio quel che si prova nel momento in cui si arriva in quello spazio che consideri “casa” e in cui vivi una parte del tuo tempo (come le vacanze estive) e quel che significa ripartire: chi lo ha vissuto sa che è esattamente così.

La storia, quella di una ragazza alla soglia dei suoi sedici anni che da sempre trascorre le estati nella stessa casa al mare in compagnia del fratello e dei due figli maschi della migliore amica della madre, innesta – su una trama semplice e lineare – una serie di riflessioni sulla difficoltà del crescere, sul confrontarsi con gli altri (il primo inatteso fidanzato, il fratello, gli amici più grandi, l’essere l’unica femmina e anche la più piccola del gruppo), sulle cose che cambiano e su quel che si vorrebbe restasse sempre uguale visto che così lo si conosce da sempre e vista la sicurezza che dà, insieme ad uno sguardo sulle modalità di comportamento di adulti e ragazzi e sul modo che ciascuno ha di affrontare una medesima situazione.

I capitolo che parlano dell’estate in questione sono alternati ad altri in cui Belly, la protagonista, racconta episodi di estati passate: quelle in cui aveva undici anni oppure quattordici o addirittura nove; quella in cui ha portato al mare la sua migliore amica, rompendo l’equilibrio naturale che era proprio invece della dimensione estiva della sua vita; quella in cui si è accorta dell’esatta misura di sentimento che prova per Conrad.

C’è una parentesi invernale che porta oltre i capitoli, che fa interrogare il lettore su quel che è successo nel frattempo, che fa ipotizzare rispetto al successivo volume, ma in realtà il libro si può leggere anche come autoconclusivo, semplicemente immaginando un seguito a scelta per i protagonisti.

Il sito dell’autrice e il suo blog. Questo invece è il blog di Belly, la protagonista, che è possibile seguire anche sulla pagina FB dedicata alla trilogia.

Jenny Han, L’estate nei tuoi occhi (trad. di Annalisa Biasci), Piemme Freeway 2014, 306 p., euro 12,90

L’estate del coniglio nero

25 Feb

estate coniglio neroVolevo leggere questo libro da quando ho visto la copertina (questa volta ben più appetibile dell’originale) che occhieggiava da una anticipazione editoriale. Lo volevo leggere perché l’ha scritto l’autore di Una canzone per Candy, romanzo altrettanto essenziale e duro sull’adolescenza tradotto da Sonda nel 2010. Anche questa storia ha le caratteristiche della precedente e denota una capacità di mettere su carta i personaggi e le loro diverse strade semplicemente narrando, facendole emergere senza bisogno di forzare su descrizioni e analisi. In più questa storia diventa di fatto un giallo, dove i misteri che si nascondono non sono solamente quelli che hanno portato alla morte di una ragazzina di successo, ma quelli nascosti nella doppia vita di molti dei ragazzi che compaiono sulla scena.

La voce narrante di Pete svela l’attimo esatto in cui l’azione e l’estate si mettono in moto: una telefonata che risveglia i tempi andati, quelli in cui lui, Raymond, Pauly, Nicole e il suo gemello Eric condividevano le giornate, le bravate, i rifugi. Proprio al covo Nicole propone di ritrovarsi una sera, prima che lei e il fratello si trasferiscano a Parigi coi genitori. Una sorta di saluto, di ricordo dell’amicizia, ma Pete sa che ormai sono persone diverse che fanno cose diverse e hanno amici diversi. L’unico che lui continua a sentire vicino e amico è Raymond, da sempre suo vicino di casa, da sempre proprietario di un mondo proprio dove parla con un coniglio nero, considerato da tutti strano, preso in giro, deriso. L’alcol, le suggestioni del passato, le luci accecanti del luna park, la confusione che Pete sente addosso lo conducono attraverso una notte quasi folle, tra le parole che un’indovina rivolge a Raymond e la scomparsa del ragazzo stesso. Ma è scomparsa anche Stella, un tempo loro compagna di scuola e ora piccola diva della tv, e su di lei si concentrano le ricerche e le domande. Solo Pete si batte per tenere Raymond sotto l’attenzione di tutti, e come vittima, non come colpevole.

Pete guarda, somma, traccia linee di collegamento. Come gli spiega l’indovina c’è una sorta di catena di sguardi che, in quella notte misteriosa, ha legato tutti i protagonisti: chi nasconde qualcosa, chi viene messo in mezzo per coprire, chi passa di lì e solo dopo capisce.

Efficace ritratto della fatica di crescere, della difficoltà di parlare con gli adulti e di farsi ascoltare, di dare una misura al mondo e di rimanere se stessi.

L’illustrazione di copertina è di Matteo Piana.

Kevin Brooks, L’estate del coniglio nero (trad. di Paolo Antonio Livorati), Piemme Freeway, 427 p., euro 15, e-book euro 9,99

The Look

26 Ago

Più riguardo a The look

Questo è il classico libro a cui a prima vista (l’occhiata alla copertina) non riesco a dare manco un soldo per poi leggerlo e ricredermi e rivedere i miei pregiudizi, ma anche elevare un pensiero a chi le copertine le pensa e avrebbe potuto, in questo come in altri casi, immaginare qualcosa di meno banale e meno stereotipato.

Questo è il classico libro che finisce dritto dritto in una categoria, per quelli che, leggendo letteratura per ragazzi, vogliono poi a tutti i costi inserire in caselle. Così ce lo ritroveremo nella lista della sick-lit, mentre è stato concepito in risposta a una lettrice che chiedeva di saperne di più sul mondo delle modelle. Come dice l’autrice nella postfazione “potrebbe essere un po’ più lunga di quanto ti aspettavi…”. Perché Sophia Bennett attraverso Ted, che si avvicina al mondo della moda inaspettatamente, lo sfiora, lo valuta. Ted è una spilungona senza grazia che svetta in mezzo ai compagni di classe, i capelli corti e sempre arruffati e la consapevolezza di cosa sia la bellezza: quella di sua sorella Ava, con gli occhi violetti, le curve perfette e la capacità di trovare sempre il look giusto, mentre lei si infila la prima cosa che le capita sottomano. Eppure sarà Ted a colpire un fotografo professionista e a essere lanciata nel mondo della moda, sfida che accetta soprattutto perché le sembra di poter essere d’aiuto nel momento in cui alla sorella viene diagnosticato un cancro: non solo la prospettiva di denaro per la famiglia, ma anche l’entusiasmo di Ava la spingono in una sorta di realtà parallela che non immaginava.

L’autrice parla di Ted. Non della moda o del cancro della sorella. Racconta la sua vita, il suo quotidiano, i rapporti coi compagni a scuola, l’atteggiamento delle persone quando credono di sapere che hai un cachet da milioni di dollari: certo, nel quotidiano della protagonista ci sono fotografi, copertine di riviste, hairstylist, ospedali, crani rasati a zero, trasfusioni. Ma ci sono anche genitori licenziati, case troppo piccole, amiche del cuore con cui si litiga, fidanzati a chilometri di distanza. E una passione, quella per la fotografia, che aiuta Ted a vedere più a fondo anche in quello che cerca e in quello che per lei è essenziale e vale la pena. L’autrice insomma racconta la vita: di questo dovremo ricordarci quando a tutti i costi compiliamo bibliografie a tema, mettiamo etichette, creiamo categorie, sfiorando l’eccesso, rischiando di dimenticare la trama e il fatto che una buona storia sia scritta bene, come in questo caso.

Il sito dell’autrice e il suo blog. Una parte del libro deve molto al Teenage Cancer Trust: in Italia lo scorso anno il progetto Il tempo magico, dedicato agli adolescenti ricoverati presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, ha dato vita a B.Live, una capsule collection disegnata dai ragazzi coinvolti insieme alla stilista Gentucca Bini, poi raccontata in un libro edito da Carthusia.

Sophia Bennett, The Look (trad. di Francesca Capelli), Piemme Freeway 2013, 360 p., euro 16, ebook euro 9,99

Tutto il cielo possibile

17 Giu

Più riguardo a Tutto il cielo possibile

Adele e Lorenzo si rifugiano in un giorno di fine agosto nella stessa latteria, per mettersi al riparo da un temporale mentre aspettano che apra il teatro per iscriversi a un corso che entrambi vogliono seguire. Non si conoscono, non sembrano avere altro in comune che quel corso, anche se in realtà un filo c’è ed è fatto di rabbia.  La rabbia di Adele è palese; fa rumore di porte sbattute, di pensieri in subbuglio, di parole non dette; ha un obiettivo ben preciso: sua madre, che sta per risposarsi, che è vissuta in una casa-museo per tanti anni, da quando il padre della ragazza è morta (Adele aveva appena tre anni). La rabbia di Lorenzo ha motivi celati; si incanala nei pugni chiusi, nei muscoli che si tendono.

Subito si innesca l’espediente del racconto: il locale in cui sono entrati, la radio, la musica sono un varco che apre la possibilità di andare indietro nel tempo, in anni diversi, per permettere ad Adele di affrontare la perdita di suo padre e di scoprire davvero che cosa ci sia dietro la sua morte presunta in mare. I ragazzi finiscono nel 1999, nel 1996, nel 1989 e ritornano sistematicamente nel presente per intrecciare fotografie, avvenimenti, sospetti, camminando sempre sul filo della verità. Tutto subito mi ha infastidito l’andirivieni nel tempo, forse perché tanti romanzi lo usano, ma probabilmente è il meccanismo esatto per permettere al quadro completo di ricomporsi sulla pagina, per permettere ad Adele di vedere tutte le diverse facce della vicenda famigliare che sta affrontando, per farle vedere che non tutto è come sembra, che certi pezzi di passato sono come la polvere: c’è ma non la vedi, a meno che la luce non la investa di sbieco e la riveli agli occhi (p. 42). E così anche per Lorenzo: la sua rabbia ha un nome, un motivo, un perché.

Il romanzo usa una delicatezza nel presentare le cose che non nasconde, non bara, semplicemente dice bene. E dice tutto. Perché questa storia (che poi è una storia del crescere, dello scoprire un altro, dello scoprirsene innamorati) dice di come a volte le persone possano avvelenare piano piano le vite degli altri; di come il coraggio sia spesso lasciare vedere le proprie paure e le proprie fragilità e lasciarsi amare come dice Lorenzo. E di come la verità – bella e faticosa – renda migliori.

Luigi Ballerini – Benedetta Bonfiglioli, Tutto il cielo possibile, Piemme 2013, 204 p., euro 15

L’attimo perfetto

19 Nov

Ma non so proprio perché dovrei dare spiegazioni a chicchessia. Perché non dovrei fare esattamente quello che sto facendo? è splendido andarsene in giro il mattino all’alba, prima che sorga il sole. Si ha la sensazione di essere supervivi. Sei a conoscenza di un segreto che tutte le persone squallide, addormentate, non sanno. Al contrario di loro, tu sei vigile e consapevole di esistere proprio qui, in questo preciso istante, tra quello che è successo e quello che sta per succedere.

Ecco il classico libro a cui dalla copertina non daresti grande fiducia e invece ti trovi a leggere un romanzo piacevole, scorrevole e con un finale decisamente non scontato e non banale.

Sutter è l’anima di tutte le feste della scuola, dovrebbe diplomarsi entro pochi mesi ma pare che i suoi voti non siano del tutto d’accordo, ha un lavoretto pomeridiano in un negozio di abbigliamento dalla cui vetrina osserva il mondo e una sola religione: abbracciare il bizzarro. Soprattutto se a rendergli più semplice la vita c’è la sua attrezzatura quotidiana: l’inseparabile fiaschetta di whisky e l’immancabile 7Up. Perché Sutter è convinto che la sua abitudine di bere “un pochino più di un pochino troppo” non sia dipendenza, ma un semplice modo di vivere.

Finché la sua ragazza lo lascia e lui non sa nemmeno esattamente perché (era troppo ubriaco quando lei glielo ha comunicato), il suo migliore amico cambia giro e abitudini e lui decide di lanciarsi inaspettatamente in una missione speciale: conquistare Aimee Finecky e tirarla fuori dal guscio. Certo lo scopo è solo quello di dare fiducia in se stessa a una ragazzina che a scuola nessuno nota, ma in realtà i due finiscono per fare coppia fissa: Aimee anche con la fiaschetta del whisky e Sutter con la capacità della ragazza di guardare oltre i suoi modi di fare, in quei segreti di famiglia che lui tiene ben nascosti sotto le storie che continua a raccontarsi.

Il sito dell’autore.

Tim Tharp, L’attimo perfetto (trad. di Francesca Flore), Piemme freeway 2012, 399 p., euro 16.

Questo è solo l’inizio

12 Set

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Jonathan ha sedici anni, vive a Norfolk, suona la chitarra e si trova perso da quando la sua fidanzata Freya si è trasferita a Londra per seguire i corsi del conservatorio. Insieme a lei aveva cominciato a scrivere canzoni, non si sentiva più invisibile, aveva acquistato un sacco di amici (di Freya, ovviamente). Questo anno di liceo in cui non ha potuto scegliere manco il corso di musica perché i suoi genitori si aspettano grandi cose dal suo genio matematico, si prospetta difficile, pieno di rabbia e vuoto perché Freya lontana è diversa da come lui la conosceva. Rosalind ha quattordici anni, vive a Londra, a detta sua sembra un maschio e non fa nulla per non sembrarlo,  rumina rabbia perché sua madre se n’è andata di casa qualche anno prima. Vuole studiare arte e si accoda alla compagnia di amiche di cui non condivide le giornate. I due si incontrano in chat per caso, perché l’account di Ros è quello a cui il ragazzo invia uno sfogo e cominciano a condividere idee, musica, film, racconti. Ros finge di avere sedici anni e manda una foto della sorella, spacciandosi per lei. I problemi cominciano quando Jonathan va a Londra, Freya lo lascia e poi scompare e arriva la polizia…

Il romanzo si legge in fretta perché si ha voglia di scoprire come va a finire (e per fortuna non è un finale troppo scontato), ma  – come abbiamo già sottolineato altre volte  a proposito di racconti in cui si alternano voci diverse – si fa una certa fatica con i font scelti per le conversazioni in chat dei protagonisti. Prendete una pagina in cui i due si alternino in chat, mescolando anche i loro pensieri, e vedrete che non è così graficamente immediata la differenza dei registri, a cui si aggiungono i testi di sms e mail. Del resto, quello dei font utilizzati è ancora un problema spesso ignorato: guardate la quarta di copertina de Il geniale mondo di Hugo (di Sabine Zelt, Cult jeunesse): sarà anche “una serie spiritosa”, ma è illeggibile a meno che non vi impegnate seriamente strizzando gli occhi.

Gina Blaxill, Questo è solo l’inizio (trad. di Marina Rullo), Piemme Freeway 2012, 284 p., eur0 15

Quel che resta di te

25 Giu

More about Quel che resta di tePenso di aver ricevuto molte delusioni dagli adulti: da genitori che non ascoltano, da insegnanti che se ne infischiano e da estranei che suppongono. Ma quello di oggi pomeriggio era stato un autentico tradimento. Era terribile pensare che Ross sarebbe rimasto deluso dal suo stesso funerale.

Il pomeriggio a cui si riferisce Blake, voce narrante di questa storia, è quello del funerale del suo migliore amico Ross, un funerale deludente e ipocrita, dove sono state dette parole che sarebbero andate bene per chiunque e nulla ha reso davvero l’idea di quel che Ross era. La delusione cocente scatena in Blake, Sim e Kenny, legati da anni da una forte amicizia, una sete di vendetta che si traduce in enormi scritte sulle case e sulle auto delle tre persone a loro modo di vedere più ipocrite di tutti: il professore che ha umiliato Ross davanti a tutti, il bullo che l’ha pestato a sangue e la ragazza che l’aveva appena lasciato. Improvvisa però l’idea di poter fare ancora meglio: rubare le ceneri dell’amico e portarle a Ross, minuscolo paesino della Scozia, dove lui vagheggiava sempre di andare.

Comincia così una fuga, piena di rabbia e di risentimento per gli adulti, desiderosa di ricordare Ross e la sua voglia di raccontare storie, densa di nostalgia perché è anche la presa d’atto che lui davvero non c’è più. Una fuga da un treno all’altro, con incidenti di percorso, buffi incontri, lanci col bungee jumpy, allusioni, bugie e scoperte non sempre piacevoli. Perché non tutto è quel che è se non puoi essere davvero te stesso, perché nessuno di loro è stato davvero sincero con gli altri, perché voler portare a Ross quel che resta di Ross è forse solo il desiderio di rattoppare gli errori di prima.

Un libro che mette a nudo con ironia ritratti veri di adolescenti arrabbiati e che ha dato origine a un adattamento teatrale in un laboratorio con adolescenti. Di Keith Gray potete leggere in italiano anche un racconto, quello che apre La prima volta, di cui abbiamo parlato qui.

Keith Gray, Quel che resta di te (trad. di Simona Brogli), Piemme Freeway 2012, 291 p., euro 15