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La buca

28 Gen

L’albo è superpremiato (Premio August “Miglior libro per bambini e ragazzi” 2018; Premio dell’Associazione svedese dei commessi librai “Il tuo libro – La nostra scelta” 2018; Vincitore del Premio culturale “Piuma D’oro” – Barometern Oskarshamns-Tidningen 2019) e non è un caso: con grazia e unorismo Emma AdBåge dipinge uno spaccato di vita scolastica ad altezza bambino, dove si evidenza il contrasto tra grandi e piccoli a proposito del considerare le cose. Una questione di sguardi e di punti di vista, dunque. La voce narrante, quella di un’alunna che sul frontespizio si identifica con la freccina che dice “io”, racconta con grande entusiasmo di come nel cortile della sua scuola ci sia la Buca con l’iniziale maiuscola, nata tempo prima perché qualcuno in un dato punto ha tolto della ghiaia: lì sono cresciuti arbusti e cespugli, fino a farne un luogo ideale dove giocare, arrampicarsi, immaginare qualsiasi tipo di gioco intorno alla Grande Radice. Di questa geografia quasi mitica – lo dicono le iniziali maiuscole appunto e il tono entusiasta della narratrice, un po’ epico nel narrare di certe avventure – gli adulti hanno ben altra considerazione: quel buco è pericoloso e poco importa che Vibeke sia inciampata nei lacci delle sue scarpe: viene proibito giocare dentro la Buca. Ma non di certo intorno, su quel Bordo che diventa subito ritrovo, grazie alla capacità inventiva dei bambini. Anche messi di fronte a una drastica soluzione, ecco che troveranno un luogo pieno di possibilità, all’insegna della libertà, dell’intraprendenza, del gioco in mezzo alla natura, senza bisogno di palloni, altalene e manco di campane.

Un bello sguardo ad altezza infanzia appunto; un bello sguardo anche a livello di prospettiva e di resa sulla pagina, come le illustrazioni che presentano la stessa fila di bambini attoniti di fronte alla sparizione della loro buca: paiono così visti di spalle, ma appena l’illustratrice ce ne presenta i visi ecco gli occhi che scartano di lato e un luccichio di novità che ne illumina già alcuni.

Emma AdBåge, La buca (trad. di Samanta K. Milton Knowles), Camelozampa 2020, 40 p., euro 15

Dimmi quello che non so

9 Mag

Questo nuovo titolo della collana Istos-Libri Volanti dedicata alle rivoluzioni affronta la novità introdotta nel 1962 in Italia a livello scolastico: la nascita della scuola media unificata, la scuola “di tutti”. Luisa Mattia ne parla scegliendo di raccontare il prima, dando quindi al lettore conto della situazione scolastica dei ragazzi più grandi in quel momento, descrivendo la frequenza di Elmo alla quinta classe in una pluriclasse in cui è arrivato un nuovo maestro, che si dispera del freddo e della situazione dei suoi ragazzi ma non rinuncia a prepararli alle classi successive, nonostante appaia realisticamente demotivato dalla situazione marginale a cui è stato assegnato e sicuramente differente dall’ambiente in cui è abituato a vivere e a lavorare.

Elmo sa di essere fortunato: i suoi genitori apprezzano il fatto che possa studiare, che ci sia una pluriclasse in paese e lo sognano maestro, lontano dalla durezza della loro vita da pastori. ma non è così per tutti: Maria, che fino all’anno prima frequentava, ora in classe non entra se non di nascosto, per provare l’ebbrezza dello scrivere parole, di nascosto dal padre che la vuole presente in casa e nei campi; la sua rabbia e la sua voglia di imparare convincono Elmo che è giusto condividere con lei quello che sa e che scopre ogni giorno a lezione.

L’autrice offre uno spaccato di una particolare situazione e momento storico, lavorando soprattutto sulla lingua: sono le espressioni dialettali che si mescolano all’italiano, è la lingua di tutti i giorni a dare la misura del contesto, accompagnate dalle illustrazioni di Otto Gabos che, come sempre nei titoli di questa collana, entrano nella struttura del racconto e contribuiscono a darne corpo. Il lettore legge così della fatica e della belleza dell’imparare, della lungimiranza di certi genitori a volte più forte di alcuni maestri, del concetto di obbligo scolastico e della sua applicazione, di un tipo di scuola assai diverso da quella che è abituato a dare per scontata. E anche di un’altra rivoluzione: l’arrivo della biro al posto della penna con pennino, calamaio, macchie e uchi di cancellature!

Luisa Mattia – ill. Otto Gabos, Dimmi quello che non so. Due ragazzi e una scuola per tutti, Istos Libri Volanti 2019, 220 p., euro 15

A sud dell’Alameda

25 Mag

Nel maggio 2006 – e poi nel 2011 –  migliaia di studenti cileni occuparono strade e scuole in segno di protesta contro la Ley de Enseñanza, promulgata durante la dittatura di Pinochet, che favoriva la disuguaglianza sociale e la privatizzazione del diritto allo studio. La “rivoluzione dei pinguini”, come venne chiamata dalle divise scolastiche che si indossavano in Cile, viene raccontata in questo libro attraverso una serie di protagonisti, allievi di un liceo della zone sud di Santiago, a sud appunto dell’Alameda che taglia in due la città. Il racconto – grazie alla figura della madre del protagonista – riporta anche agli occhi dei lettori altre grandi proteste, e in particolare le mobilitazioni studentesche contro Pinochet nel 1985, gli studenti che persero la vita e quelli che sparirono e di cui non si seppe più nulla.

A rendere speciale questa narrazione è la scelta di intrecciare punti di vista differenti e tecniche diverse, dove la parte dell’illustrazione e i colori scelti da Vincente Reinamontes non possono che toccare e coinvolgere, con i loro picchi di rosso e di azzurro. Si alternano quindi le parti illustrate e le pagine di un diario: le prime danno voce ad un’anziana che vive accanto alla scuola, in una casa circondata da un muro, con sette cani husky, e da tutti conosciuta come “la pazza dei cani”. Il diario invece è scritto da Nicolás, il miglior portiere di calcio della scuola, che ha scelto di rimanere per l’occupazione senza nemmeno sapere troppo il perché. Forse è l’atmosfera che si respira a casa, l’idea di libertà e di senso della lotta per i diritti che sente nelle parole e nei racconti dei genitori, forse è per via di Paula, compagna arrivata da poco a scuola, così affascinante anche nel suo ruolo di portavoce del Centro Alunni.

Nel diario Nicolás riporta i dubbi e le domande che lo attraversano, le dinamiche che si innescano tra chi è rimasto ad occupare, la scoperta di certi lati di sé e di compagni che fin a quel momento ha ignorato o bollato con uno stereotipo. Dura una settimana e si apre con la scoperta, da parte dei ragazzi, che il preside e gli insegnanti che li hanno sostenuti e che hanno promesso di venire comunque a fare lezione in modo che non restino indietro col programma, improvvisamente si dicono contrari all’occupazione. Altre scuole intorno resistono; nel liceo il cibo scarseggia, la mensa è chiusa a chiave, ci si scontra su regole e opinioni, si subiscono sabotaggi, compaiono misteriosi doni alimentari. E intanto ci si interroga insieme sul senso di quel che si sta facendo e su quanto di simile sia stato fatto in altri anni.

La donna invece scruta col binocolo i ragazzi dalla sua casa: li osserva, paragona i loro entusiasmi ai tempi che ha vissuto, ne ha cura con la capacità di chi sa appunto aver cura lasciando fare, lasciando la giusta distanza che permette ai più giovani di provare con le proprie gambe, ma avendo comunque vicino qualcuno che sa e che vede. È un’insegnante, ha avuto il coraggio di essere onesta nel 1985 e di parlare ai propri allievi di cosa stesse succedendo davvero nel Paese, e ha pagato con il licenziamento le sue posizioni.

Quel che ne vien fuori, oltre che una testimonianza sulla storia del Cile in giorni vicini ai nostri, oltre che una testimonianza di presa di coscienza e della forza che possono avere gli ideali condivisi, è un libro su cui sicuramente cadrà l’occhio del lettore, che già dalla grafica non perde occasione per attirare lo sguardo e portare così verso una narrazione che merita. In Italia questo libro arriva grazie ad Edicola, casa editrice che si definisce garibaldina, che sta tra Italia e Cile e che in Italia ha sede a Ortona, in un’edicola, appunto!

Un assaggio in booktrailer qui.

Lola Larra – Vincente Reinamontes, A sud dell’Alameda (trad. di Rocco D’Alessandro), Edicola 2018, 285 p., euro 18

Il ladro di panini

21 Mag

ILLADRODIPANINIMarin è un bambino fortunato: ogni giorno nel cestino del pranzo trova un panino fatto preparato dalla mamma e un biglietto scritto dal papà.La mamma poi prepara un panino diverso per ogni giorno della settimana, usando sempre un ingrediente speciale: la sua maionese fatta in casa. Ma il lunedì della settimana su cui si apre la storia il panino è sparito e così anche il giorno successivo: Marin decide allora di improvvisarsi detective e, dato che il preside non gli dà retta, di tentare di raccogliere indizi e tendere trappole per cercare di stanare il ladro. In realtà sarà la mamma a fornirgli la carta vincente, addirittura a base di cucina molecolare!

Il bel formato dei prima graphic di Sinnos per una storia divertente dalla grafica accattivante: le illustrazioni del canadese Patrick Doyon giocano su una palette di colori non scontata, ma azzeccatissima.

Patrick Doyon – André Marois, Il ladro di panini, Sinnos 2018, 160 p., euro 13

Ah! Ernesto!

24 Apr

Cominciato nel 1968 e pubblicato tre anni più tardi, “Ah! Ernesto!” è l’unico testo di Marguerite Duras scritto per bambini; è stato ripubblicato in Francia nel 2013 da Thierry Magnier che l’ha fortemente voluto in occasione del centenario dell’autrice che si sarebbe celebrato l’anno successivo, accompagnandolo da un altro testo intitolato “Ah! Duras!” che ne spiega la genesi. In questo video l’editore racconta il significato della sua scelta, rimarcando – come nella seconda parte del testo peraltro – che questo è un bel libro, che non esistono “libri per bambini” ma letteratura, che lui non vuole “libriccini” dalle definizioni sminuenti” ma solo bei libri.

Il testo di Duras mette sulla scena un bambino, i suoi affranti genitori e il maestro. Dopo il primo giorno di scuola, Ernesto è arrivato a casa dicendo che non ci tornerà perché gli insegnano “solo cose che non sa”. Nel contraddittorio col maestro, dall’alto dei suoi sette anni sancisce che le cose le imparerà per forza e grazie alla capacità di dire no: ha dalla sua l’anticonformismo insolente, la ribellione pura, la passione con cui difende le sue scelte. Il suo no detto a voce ferma e alta è una presa di posizione, un manifesto di vita, una chiara visione del mondo nonostante la sua mamma si ostini a dichiararlo orbo e a indicare gli occhiali che porta. E del resto, la scelta dell’autrice di dargli il nome di battesimo di Che Guevara è già chiara indicazione dello spirito del suo protagonista.

Katy Couprie accompagna il testo con immagini che alternano oggetti, animali, forme quasi fossimo in una camera delle meraviglie, assaggio del mondo che Ernesto sa vedere e sa definire a meraviglia (la farfalla nella teca viene detta “un crimine”). Nel testo “Ah! Duras!” si può approfondire – grazie anche a lettere, fotografie e documenti – la figura dell’autrice, il suo rapporto con questo testo e l’intreccio del testo con lavori cinematografici e spunti diversi: il libro quindi sarà ghiotto per gli adulti che amano la Duras e per chi trova interessante girare intorno a un testo, saperne la genesi, gli scambi di pareri e le riflessioni che ci stanno dietro, dov’è nato e cosa porta nascosto tra le pieghe delle righe.

Ernesto e il suo dire no mi paiono adatti a questi giorni di aprile che stanno intorno al 25, al fare memoria di resistenza e resistenze, di farlo in festa. E dunque, buona Festa d’Aprile.

Marguerite Duras – ill. Katy Couprie, Ah! Ernesto! (trad. di Cinzia Bigliosi), Rizzoli 2018, 78 p., euro 25

L’ultima lezione di miss Bixby

30 Nov

Qualcuno di voi penserà che questo romanzo è l’ennesimo dove una malattia o una morte la fanno da fattore scatenante o, a un certo punto, che stanno succedendo davvero troppe cose in poche ore perché sia credibile. La storia in breve è quella di tre compagni di classe, due amici da sempre più un terzo aggiunto da poco in seguito a un trasloco, e della giornata in cui cercano di rendere memorabile e perfetto l’ultimo giorno della loro insegnante preferita, che sta per essere trasferita in un ospedale più lontano per tentare una cura per il cancro che l’ha colpita e di cui lei stessa ha dato notizia ai ragazzi. Poco tempo prima aveva chiesto agli alunni di immaginarsi il loro ultimo giorno sulla terra e aveva descritto il suo come un picnic al parco, con vino, cheesecake, patatine fritta, musica, amici e risate. La storia è quindi la cronaca dei preparativi dei tre per realizzare questo desiderio; le loro voci si alternano nei capitoli e così il lettore li conosce più da vicino: chi è informatissimo su statistiche, numeri e probabilità e soffre la perfezione della sorella maggiore; chi vive una situazione complessa a casa e condivide un segreto con l’insegnante; chi scopre con sorpresa che il suo talento è stato silenziosamente notato. Poi c’è Miss Bixby ed è lì che la storia in qualche modo vi frega, se non vi ha catturato con la trama, e vi ferma: l’insegnante con le ciocche rosa in testa e il sogno bambino di diventare una grande illusionista, è una persona che sa ascoltare con tutte se stessa chi ha davanti, che mette la giusta dose di anticonformismo in quello che fa, che sa dire le cose per quel che sono e il cui sorriso è così intenso che “avevi la sensazione che l’avesse riservato proprio per te, che quel sorriso portasse effettivamente il tuo nome sopra”. Ha una citazione adatta per ogni occasione, ma anche la consapevolezza che ci sono occasioni in cui innanzitutto serve un silenzio vivo. E legge ai suoi alunni alcune pagine de “Lo Hobbit” ogni mattina: da quello che i ragazzi dicono è una lettura così intensa e partecipata che è impensabile non finire quel libro insieme. Miss Bixby è una che rimane, per quanto gli anni, il tempo, la vita possano passare. Miss Bixby, ho pensato, avrebbe potuto essere una Stargirl o una Ida B. cresciuta, non credete?

Comunque, se non volete leggerlo per la storia in sé, leggetelo per la descrizione che fa degli insegnanti, divisi qui in sei tipi, ciascuno con descrizione e esempi. Sono pochi i libri in cui la classe insegnante fa degna figura: mi vengono in mente lo splendido ritratto del professore in Un pesce sull’albero  e poi un’altra insegnante fantastica che a Miss Bixby sarebbe piaciuta: la professoressa Olinsky de Un sabato di gloria di E. L. Konigsburg (chissà che prima o poi non torni in catalogo).

L’illustrazione di copertina è di Benedetta C. Vialli. Il sito dell’autore.

John David Anderson, L’ultima lezione di miss Bixby (trad. di Maurizio Bartocci), Mondadori 2017, 250 p., ero 16, ebook euro 8,99

La bambina selvaggia

11 Mag

Questo romanzo è un classico. Lo è per il respiro con cui è scritto, per la facilità di scrittura che tesse una storia importante facendola emergere dal quotidiano di una cittadina, per il modo di tratteggiare i personaggi e regalare al lettore figure che rimangono nella memoria. Un classico lo è in Gran Bretagna, opera della romanziera e saggista Rumer Godden, vincitore del Whitbread Award nel 1972, divenuto poi un dramma radiofonico e una serie televisiva.  Un libro che vi fa venire voglia di leggerlo ad alta voce, di condividerlo, di riproporlo come una storia che viene da un altro tempo (sono gli anni Sessanta in realtà) e che non ha tempo, per cui rimarrà nei consigli di lettura come un classico, appunto.

Si racconta di Kizzy, zingara a metà, che vive con la nonna in un vecchio carrozzone in un frutteto, con un vecchio cavallo come migliore amico. Quando a sette anni vieni costretta a frequentare la scuola la odia subito: per come gli altri la guardano, per come le bambine la prendono in giro, mentre solo un ragazzo più grande, Clem, riesce a diventarle prossimo perché non la giudica. Il ritorno al suo mondo, al tè preso intorno al fuoco, alla cassetta di legno su cui sedersi mentre scende il buio sono la protezione verso il mondo che le è ostile. Poi la nonna muore, il carro viene bruciato come da sue disposizioni e Kizzy rischia di finire in istituto, visto che nessuno la vuole, e nell’immediato pure la polmonite. Verrà curata nella più grande casa del villaggio, dall’Ammiraglio Cunningham Twiss e dai suoi due aiutanti e poi affidata a miss Brooke, comparsa nel villaggio all’acquisto del cottage, dedita al suo giardino, eletta giudice di pace, donna che sa ascoltare e vedere. Kizzy non ha un carattere facile e la sua ostilità verso il mondo si concretizza in sguardi truci, sputi, graffi e ostinazione. Non fa nulla di imposto e teme la scuola per via delle botte e degli insulti che riceve dalle compagne. Kizzy ha il forte desiderio di poter comunque essere se stessa, quella che ama abbrustolire le mele sul fuoco, mangiare all’aria aperta e prendersi cura di un cavallo.

Un libro che dice di bullismo e accettazione, e dei pregiudizi verso chiunque scarti rispetto alla banale adesione alle regole decisa dalla società, mantenendosi fedele a se stesso. Il villaggio guarda con sospetto non solo Kizzy, ma anche miss Brooke e pure l’Ammiraglio sulla cui vita e sulla cui casa e sui cui aiutanti si inventano dicerie senza fondamento. Queste persone però sanno rimanere in piedi, nonostante le difficoltà; sanno mantenere la linea che hanno scelto, non dare troppo peso ai giudizi altrui e sanno insegnarlo anche alla protagonista, senza imporglielo, ma semplicemente vivendo nel quotidiano.

Rumer Godden, La bambina selvaggia (trad. di Marta Barone), Bompiani 2017, 201 p., euro 13, ebook euro 6,99

Nessuno come noi

25 Gen

nessuno-come-noi-coverTorino, 1987. Vincenzo, per gli amici Vince, aspirante paninaro e aspirante diciassettenne, è innamorato di Caterina, detta Cate, la sua compagna di banco di terza liceo, che invece si innamora di tutti tranne che di lui. Senza rendersene conto, lei lo fa soffrire chiedendogli di continuo consigli amorosi sotto gli occhi perplessi di Spagna, la dark della scuola, capelli neri e lingua pungente. L’equilibrio di questo allegro trio viene stravolto, in pieno anno scolastico, dall’arrivo di Romeo Fioravanti, bello, viziato e un po’ arrogante, che è stato già bocciato un anno e rischia di perderne un altro.  A vigilare su di loro ci sarà sempre Betty Bottone, l’appassionata insegnante di italiano, che li sgrida in francese e fa esercizi di danza moderna mentre spiega Dante. Anche lei cadrà nella trappola dell’adolescenza e inizierà un viaggio per il quale nessuno ti prepara mai abbastanza: quello dell’amore imprevisto, che fa battere il cuore anche quando “non dovrebbe”. In un liceo statale dove si incontrano i ricchi della collina e i meno privilegiati della periferia torinese, Vince, Cate, Romeo e Spagna partiranno per un viaggio alla scoperta di se stessi senza avere a disposizione un computer o uno smartphone che gli indichi la via, chiedendo, andando a sbattere, scrivendosi bigliettini e pregando un telefono fisso perché suoni quando sono a casa. E, soprattutto, capendo quanto sia importante non avere paura delle proprie debolezze. (Sinossi dal sito dell’editore)

Quando ho iniziato a leggere questo libro avevo dei dubbi sul poterlo o no proporre ai ragazzi di oggi (e qui ci starebbe un’ulteriore citazione anni ’80) proprio per l’ambientazione così vicina eppure così lontana dai giorni nostri, perché in 30 anni sono cambiate tantissime cose e la tecnologia ha completamente mutato il nostro modo di interagire e di comunicare. Mi sono chiesto come si sarebbe orientato un ragazzo tra i paninari, Duran Duran, Cure e Spandau Ballet. Credevo che si sarebbe perso, ma poi la storia ha preso il sopravvento e quando una storia è forte, sincera e ben raccontata, il contesto storico passa in secondo piano, anzi diventa un motivo di approfondimento, di ricerca, per capire meglio il mondo in cui si muovono Vince, Cate, Romeo e Spain. Inoltre la vicenda è davvero senza tempo, le dinamiche e gli amori sui banchi di scuola hanno dei capisaldi che travalicano gli anni e le mode.
Le amicizie che si hanno in quegli anni sono le più forti, pure e devastanti. Sono quelle che ci danno forma, che sempre inseguiremo una volta cresciuti e non perché si era o è giovani, ma proprio perché sono i primi rapporti totali (e totalizzanti) al di fuori della famiglia. “Le amicizie dei sedici anni sono quelle che lasciano i segni più profondi nella vita” scrive Gianni Rodari nella Grammatica della fantasia, e nel libro di Luca Bianchini si possono assaporare (o riassaporare) proprio quelle emozioni e vedere quei segni lasciati dalle persone che abbiamo incontrato.

L’ambientazione è in realtà più Moncalieri e Nichelino che Torino, e lo scrivo non tanto per pignoleria, ma perché è fondamentale per i protagonisti fare pace con i rispettivi ambienti e i luoghi di provenienza (come scrisse Pavese “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”) e proprio accettando e capendo le loro origini, i ragazzi saranno in grado di essere davvero se stessi.

Luca Bianchini, Nessuno come noi, Mondadori 2017, 252 p., euro 18, ebook euro 9,99

Quello che non sai di me

5 Ott

quello-che-non-sai-di-meJam ha sedici anni ed è sotto choc per la morte del suo ragazzo, il suo primo e folle amore durato appena quarantun giorni; non reagisce e per questo i genitori la accompagnano per un semestre alla Wooden Barn School, college in campagna da cui non è possibile comunicare con l’esterno se non grazie a un vecchio telefono a gettoni, specializzato nel prendersi cura di “ragazzi fragili” come vengono definiti sul volantino pubblicitario. La compagna di stanza che le viene assegnata è decisamente sopra le righe, ma la scoperta più disarmante è di esser stata ammessa al Corso Speciale di Inglese, addirittura senza averne fatto richiesta. L’insegnante che lo tiene, per l’ultima volta quell’anno prima di andare in pensione, sceglie accuratamente i partecipanti, un gruppo ristretto che lavora per tutto il tempo su un solo autore, senza campanelle che segnano il passare del tempo, senza obblighi se non discutere insieme e tenere un diario. La signora Quenell ha le idee chiare e ha un’alta considerazione dei suoi alunni, è diretta e non fa sconti a nessuno, che si tratti di disabilità fisiche o rifiuti psicologici: tutti sono chiamati a lavorare su La campana di vetro di Sylvia Plath e a essere puntuali a lezione. Ben presto i ragazzi scoprono il motivo per cui gli allievi degli anni precedenti parlavano del corso come di qualcosa che aveva segnato e cambiato la loro vita: il diario ti permettere di accedere a uno spazio temporale in cui la tragedia che ti ha colpito non ha ancora avuto luogo e in cui puoi rivivere la tua vita fino a quel momento.

Ben presto i cinque ragazzi condividono il loro segreto e cercano modi per comprendere come funzioni questo nuovo mondo a cui è stato dato loro l’accesso; è però anche il momento degli scambi, dei racconti e della fatica di mostrarsi agli altri per quel che sono davvero, scoprendo così le differenze tra i due mondi e la forza che la realtà quotidiana e la vita che proseguono hanno. Il lettore intanto segue Jam e cambia lentamente il punto di vista sulla sua storia idilliaca con Reeve, mettendo a fuoco la pericolosità del volersi raccontare a tutti i costi una versione sola di un fatto.

La scrittura di Meg Wolitzer, già apprezzata in romanzi usciti in collane per adulti ma dove gli adolescenti erano comunque protagonisti, come in “Quando tutto era possibile” (Garzanti, 2014), porta per mano il lettore alla scoperta della personalità, delle famiglie e dei pensieri di ciascuno dei ragazzi e tratteggia la figura di un’insegnante insostituibile, che conosce i propri limiti e i propri difetti, ma che ha anche la capacità di guardare davvero gli alunni e lavorare perché possano dare il meglio e rivelare se stessi. Come non pensare allora alla signorina Olinski e al suo stesso modo di approcciarsi, in un romanzo per le scuole medie da troppo tempo fuori catalogo? Il libro in questione è “Un sabato di gloria” (Mondadori, 1999) e lo potete trovare in biblioteca: merita, davvero.

Il sito dell’autrice.

Meg Wolitzer, Quello che non sai di me (trad. di Francesca Capelli), Il Castoro 2016, 269 p., euro 15,50

Fan della vita impossibile

23 Mag

fan della vita impossibilePer molti adulti questo non sarà un libro facile da proporre ai ragazzi, visto che parla di disagio, droga, tentativi di suicidio, relazioni a tre, omosessualità, bullismo a diversi livelli. Per fortuna però ci sono degli adulti che lo proporranno e c’è la capacità di scegliere dei ragazzi, che probabilmente lo prenderanno in mano per leggere storie di amicizia e di crescita.

Costruito in un intrecciarsi di voci – quelle dei tra protagonisti a capitoli alternati – e di punti di vista – il narratore a volte è esterno, in altri casi parla un personaggio in prima persona – il romanzo racconta della vita di Mira, Jeremy e Sebby. I primi due condividono un inizio di anno scolastico non certo semplice: Mira ha cambiato scuola, ma tutti sono al corrente che ha alle spalle mesi problematici; Jeremy torna dopo un grave episodio che lo ha colpito profondamente. A loro si unisce Sebby, che Mira ha conosciuto durante il soggiorno in ospedale e che è diventato in qualche modo un sostegno e un appiglio.

Le loro difficoltà sono ben presto messe sul piatto, anche se vengono chiarite nell’insieme poco a poco durante tutto l’arco della narrazione: Mira ha una sorella perfetta e si sente fuori posto in famiglia, ha avuto problemi di autolesionismo e preferirebbe passare le giornate rannicchiata sotto le coperte piuttosto che comportarsi come una normale studentessa; Jeremy ha abbandonato anzitempo il precedente anno scolastico dopo aver trovato sul suo armadietto una scritta che “celebrava” la sua omosessualità e dentro una serie di minacce alla sua famiglia e ai suoi due papà; Sebby vive dichiaratamente il proprio essere gay, ma questo non è tollerato nella famiglia affidataria in cui vive, attorniato da bambini piccoli, al cui clima cerca di sfuggire trascurando la scuola, abusando di droga e alcol, ma anche cercando un proprio spazio. Ecco, cercare una propria forma, un proprio modo di essere è il tema che corre lungo tutte le pagine, anche negli altri personaggi che affiancano i protagonisti, in un ritratto corale di adolescenti ritratti nella quotidianità della scuola, della famiglia, del tentativo di farsi comprendere e di darsi il tempo per riaggiustare ferite, superare traumi, sbocciare.

Il romanzo disegna anche il ritratto di un carismatico giovane professore che tanto fascino esercita sugli alunni e per questo facile preda di fraintendimenti.

Il sito dell’autrice.

Kate Scelsa, Fan della vita impossibile (trad. di Maria Carla Dallavalle), Mondadori 2016, 324 p., euro 18, ebook euro 6,99