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Un viaggio chiamato casa

16 Giu

Chi ha apprezzato La casa dei cani fantasmi ritroverà anche in questo romanzo la bella scrittura di Allan Stratton, questa volta alle prese con un romanzo dal respiro famigliare. Zoe vive a Shepton, Ontario, in una casa che ospita il salone da parrucchiere della madre, ed  in costante contrasto con i genitori. Viene costantemente punita per dei guai provocati in realtà dalla tirannica cugina Madi, agli occhi di tutti ragazza perfetta, che invece si diverte a prendere in giro la cugina, fino ad arrivare a ben di peggio. Zoe è infatti considerata da molti a scuola una sfigata, vive nei quartieri periferici e i genitori fanno costanti confronti con la famiglia benestante degli zii. Per di più la nonna materna è fonte di costante imbarazzo: vive in una grande casa di famiglia, dove accumula rifiuti e sporcizia, sta perdendo la memoria, non si lava mai e ha il frigorifero pieno di cibo marcio. Ma è lei l’unica consolazione di Zoe: dalla nonna si sente capita, con lei condivide i ricordi e una certa visione del mondo, da lei si sente a casa.

Quando i genitori decidono di mettere l’anziana in una casa di riposo succede l’irreparabile: la memoria della nonna peggiora, Zoe è la sua unica ancora e nei discorsi torna sempre più frequentemente lo zio Teddy, fratello maggiore del padre, morto molti anni prima. Zoe scoprirà in realtà che lo zio non è morto, ma scomparso dalla vita della famiglia, che abita a Toronto e, come si capisce da vecchie lettere, non parla alla nonna da molto tempo. Eppure pare lui ‘unica possibilità della ragazza di condividere con altri la preoccupazione della nonna. Così decide di andarlo a cercare.

Anche se la fuga con l’anziana è cosa già vista in altri romanzi per ragazzi, qui tutto (anche l’episodio di bullismo, anche gli incontri fatti durante il viaggio, anche la sorpresa inaspettata a cui Zoe si trova davanti) ha il pregio di non essere ridondante o esagerato. Sarà la bella scrittura, ma le cose non stonano, finale compreso. Che ovviamente è roseo, ma non rosa, come sovente la vita.

Allan Stratton, Un viaggio chiamato casa (trad. di Anna Carbone), Mondadori 2018, 273 p., euro 17, ebook euro 8,99

Le ragazze vogliono la luna

23 Mar

Il tempo di un’estate, o anche meno. L’estate in cui la diciassettenne Phoebe litiga per colpa di un ragazzo con la migliore amica e se ne sta a guardare il mondo un passo indietro rispetto a tutti gli altri, digitando versi di possibili canzoni via messaggio. Da mesi scrive di nascosto ad Archer, il bassista della band della sorella, scambiandosi frasi che paiono apposta per essere accompagnate da una musica e poi suonate su un palco. Ma Phoebe non cerca palchi, visto che è l’unica della famiglia a non avere talenti musicali. Figlia di due rock-star che hanno sconvolto la scena musicale una quindicina di anni prima per poi separarsi e prendere strade diverse, è cresciuta con la sorella a Buffalo,l dove la madre è tornata per vivere quasi in incognito e dedicarsi alla scultura e all’insegnamento. Da tre anni il padre non si fa più sentire e la visita alla sorella a New York diventa un pretesto per mettere insieme pezzi di un puzzle il cui racconto altrui non la convince: quale segreto è alla base della vita della madre, del silenzio del padre, della fragilità che traspare nella sorella diversamente sempre così sicura?

Janet Mcnally costruisce un romanzo basato sulla musica rock e indie, davvero notevole come romanzo d’esordio per la fluidità narrativa a cui sicuramente la traduzione dà una bella mano. Il lettore segue voci diverse: i capitoli in cui Phoebe racconta in prima persona sono intervallati da salti indietro nel tempo in cui la madre ripercorre le tappe salienti  della conquista prima e dell’abbandono poi della notorietà, ben descrivendo cosa significhi essere costantemente sotto i riflettori e scegliere l’esatto contrario di quel che tutti si aspettano da te.

Un romanzo dove c’è posto per Nancy Drew, per Winnie Pooh, per il giovane Holden e per tanta musica da farvi una super colonna sonora; un romanzo che dice di famiglie, di amori, di passioni e di quelle cose che pesano dentro – ognuno ne ha una – e che continuano a spezzarci per quanto cerchiamo di rimanere interi.

Il sito dell’autrice.

Janet McNally, Le ragazze vogliono al luna (trad. di Anna Carbone), De Agostini 2017, 416 p., euro 14,90

La solitudine delle stelle lontane

9 Gen

solitudine-stelle-lontaneSeren fa parte della Generazione 84, è  nata su una nave spaziale ed è destinata a morirvi, come ogni rappresentante delle generazioni interstellari. Ottantaquattro anni prima dell’inizio del romanzo, la nave spaziale Ventura ha lasciato la Terra  per dirigersi verso Epsilon Eridani, sistema stellare dove l’arrivo è previsto dopo più di trecento anni; le persona che hanno aderito alla missione lo hanno fatto consapevoli di dover generare coloro che arriveranno a destinazione e di passare la propria esistenza in un mondo chiuso, organizzato sistematicamente dove l’aria e l’acqua vengono filtrate all’infinito, il cibo sintetizzato da proteine e il compagno di vita assegnato dal programma di riproduzione. Anche i mestieri sono assegnati dall’alto; tutto è programmato; molto è nascosto.

La molla che manda avanti la narrazione è ovviamente, in un mondo chiuso e sistematicamente programmato, la ribellione di chi non ci sta: Seren si innamora perdutamente di Domingo Suarez, decisamente diverso dall’insopportabile Ezra Lomax che le è stato assegnato, con un passato nebuloso e una cattiva fama. Ma soprattutto autentico e vero, pronto a sfidare come lei le regole pur di passare del tempo insieme. Ma a Seren non basta comunque: la parola d’ordine di tutto il romanzo è “non accontentarsi” ed è ciò su cui fa leva la forse della protagonista: non solo non accontentarsi di quel che viene programmaticamente dato, ma nemmeno delle spiegazioni sul nuovo pianeta nella cui orbita la nave è entrata e da cui ben presto si allontana. Seren sospetta che la verità venga nascosta e che i piloti che hanno avuto la possibilità di vedere da vicino siano tenuti al silenzio: se non si sa, non si desidera, ma quando si conosce… Allora il desiderio di un mondo in cui vivere, in cui respirare aria fresca, in cui essere a contatto con la natura diventa altrettanto forte del desiderio di poter amare liberamente, visto che quando ne hai provato l’intensità non puoi più accontentarti di nulla di meno. Rompere le regole è l’unico modo che i protagonisti hanno per stare insieme, per affermare la loro individualità e il loro amore, per scoprire che altri in anni passati ci sono andati vicini piegandosi poi al sistema.

Claustrofobica come l’ambiente chiuso in cui i protagonisti sono costretti, la narrazione costringe il lettore ad andare avanti; una ricerca affannosa di aria fresca, di ossigeno, di possibilità, sospingendo la singolare squadra che si crea nel finale a farcela, comunque. Il finale infatti è del tutto aperto: un inizio, sicuramente.

Il sito dell’autrice.

Kate Ling, La solitudine delle stelle lontane (trad. di Anna Carbone), Il Castoro 2016, 298 p., euro 15,50

Book Jumper

4 Apr

book jumpers

La giovane Amy, cresciuta in Germania da madre scozzese, torna per le vacanze estive nella piccola isola in cui vive la famiglia materna. Se la madre è in fuga da un amore finito, Amy si lascia volentieri alle spalle le prese in giro dei compagni e le sue foto scattate a tradimento e pubblicate on line. Pur sapendo dei cattivi rapporti che intercorrono tra la madre e la nonna, Amy certo non si aspetta di finire in un’avventura tanto affascinante quanto pericolosa. Scopre infatti che la propria famiglia, come i parenti che vivono sulla minuscola isola, sono deputati a difendere la letteratura e i loro discendenti sono in grado – tra i cinque e i venticinque anni di età – di entrare nel mondo delle storie attraverso le Portae Litterae e controllare se tutto è a posto nel libro di cui sono responsabili. Addestrata alla scuola del saggio Glenn, my conosce Betsy e Will che aprtengono alla faida familiare rivale, ma con i quali condivide la missione. Il suo primo salto avviene nel Libro della Giungla, ma la ragazza scopre ben presto che è possibile passare da una storia all’altra e anche incontrare i personaggi nello spazio tra le righe; inoltre non necessità di recarsi nel luogo deputato al salto, ma può entrare nei libri ovunque vuole: Amy è speciale perché è per metà letteraria  per metà umana.

Nel mondo delle storie però qualcuno sta rubando elementi fondamentali che mutano le trame e vanificano quanto scritto dagli autori ed improvvisamente Sherlock Holmes, che Will ha chiamato nel mondo umano, viene trovato assassinato, mentre una bambina misteriosa si aggira tra bosco e scogliere: cosa sta davvero succedendo? Amy e Will stringono il loro legame nella ricerca, che li porta a indagare sulla storia di famiglia e sulla sorte di un manoscritto bruciato secoli prima.

La trama è sicuramente affascinante e permette al lettore di incontrare molti protagonisti di testi sconosciuti; la narrazione segue il doppio binario del narratore esterno quando si parla di Will e della prima persona quando invece parla Amy. Alcuni elementi possono risultare eccessivi, come il reiterare la descrizione di una Betsy perfettina e vanitosa allo scopo di renderla antipatica (cosa che è chiara fin dal primo momento in cui appare sulla scena), come il doloroso vissuto scolastico di Amy che viene accennato, ma non sviluppato come avrebbe meritato; nel complesso però il romanzo è decisamente coinvolgente, proprio per questo mondo letterario parallelo che l’autrice sa costruire e della vicenda si vuole conoscere il senso e il finale.

Il sito dell’autrice.

Mechthild Gläser, Book Jumpers (trad. di Anna Carbone), Giunti 2016, 335 p., euro 10, ebook euro 6,99

Smart

26 Ott

SmartKieran vi piacerà. Andrà a popolare la stanza dei tanti protagonisti di romanzi che sentiamo vivi, che ci coinvolgono, che vorremmo facessero parte del presente per renderlo migliore. Kieran ve lo potrebbe presentare Ted de Il mistero del London Eye e sarebbe bello stare seduti ad ascoltarli parlare. Kieran vive a Nottingham, ha una passione sfrenata per le indagini, gli omicidi, CSI e sogna di diventare cronista di cronaca nera come Martin Brunt di Sky News. Ha un’insegnante di sostegno che lo segue per tutto il tempo scolastico, una serie di compagni che si divertono a chiamarlo down o mongolo (a cui lui spiega che la sua diversità coi cromosomi non c’entra nulla); scrive tutto quello che gli capita su un taccuino, perché della carta e delle parole ti puoi fidare più delle persone, e soprattutto disegna. Ha un talento innato per riprodurre la realtà che vede intorno, i volti delle persone, le situazioni; la stessa capacità che gli fa immaginare – quasi fosse vero – di poter contrastare le botte e la violenza del compagno della madre o gli insulti del figlio di lui. Kieran non ha paura di disegnare il mare cupo o di disegnare davvero una persona, cioè di guardare dietro i suoi lineamenti e rendere sul foglio tutta la sua vita e non solo la superficie, proprio come faceva LS Lowry, a cui lui guarda come fonte di ispirazione nel disegno e nei modi.

Siccome ogni buona storia deve avere un inizio, uno svolgimento e una fine, Kieran spiega al lettore tutto quel che è successo dal giorno in cui ha scoperto il corpo di Colin, un senzatetto che viveva lungo il fiume, e si è messo in testa di indagare sul suo omicidio a scapito dei tempi lunghi della polizia. Date le sue conoscenze tecniche e lessicali decisamente all’altezza della situazione, si lancia nella raccolta di indizi, di testimonianze e nel pedinamento del presunto colpevole, coinvolgendo il suo nuovo amico, un compagno di scuola appena arrivato dall’Uganda.

L’ingenuità di questo ragazzino, che si rifugia lungo il fiume quando le cose in casa si mettono male, che ama personaggi fuori moda (dice lui) come Sherlock Holmes e Robin Hood, che studia la situazione per trovare la miglior soluzione, restituisce in realtà uno sguardo sull’umanità e sul mondo che lo circonda particolarmente lucido e causticamente veritiero. I sorrisi che strappa al lettore sono solchi in cui semina grazia e rara capacità di vedere oltre, in un romanzo di quelli che restano per sempre e di cui ne vorremmo ancora.

Il sito dell’autrice. L’illustrazione di copertina è di Helen Crawford-White.

Kim Slater, Smart (trad. di Anna Carbone), Il Castoro 2015, 240 p., euro 15,50

Wishgirl

25 Mag

wishgirl

Peter ha quasi tredici anni, i suoi genitori hanno appena cambiato casa per causa sua e lui pensa di esser nato nella famiglia sbagliata. In fuga dal rumore di casa, dalle incomprensioni e dalle domande, trova rifugio in una valle oltre la collina che sembra rispondere, con i suoni della natura e la bellezza del paesaggio, alla sua necessità di solitudine e di silenzio. Appena la scopre, Peter apprende di essere bravissimo nello stare immobile, visto che il crotalo che gli si è attorcigliato alle caviglie se ne va, credendolo forse un sasso o un tronco ed ecco raggiunta quella sorta di invisibilità che vorrebbe avere sempre.

La valle è incantata, misteriosa e carica di magia: sembra leggere nel pensiero di chi vi cammina, esaudire i desideri, trasformare i pensieri in realtà; fa parte della proprietà della signora Empson, che tutti considerano pazza e che difende gli animali a suon di schioppettate, guida un go-kart e sembra sapere tutto quel che ti passa in testa. Nella valle Peter incontra Annie che usa parole non comuni, che lo ribattezza “Peter Stone” e che lo trova straordinario per come riesce a rimanere immobile. Annie, con i capelli tinti color rosso semaforo, con i progetti di fare arte, con la risposta pronta e gli occhi attenti, salta nel bosco dicendosi una ragazza dei desideri. Solo in un secondo momento Peter capisce che non è la ragazza che esaudisce i desideri nella valle, ma che ha fatto parte del programma di Make-a-Wish, associazione che si occupa di realizzare i desideri di bambini che si pensa non avranno il tempo di diventare grandi. Annie si è ammalata di leucemia alcuni anni prima; ora la malattia è tornata e lei sta facendo i conti con il tempo a disposizione e con le scelte che gli adulti le vorrebbero imporre.

La manciata di giorni in cui nasce e cresce l’amicizia di Peter e Annie è sufficiente per farcela vedere in tutte le sue sfumature: la scoperta, lo stupore, le rabbie, le offese, i momenti in cui si vorrebbe mordersi la lingua o trovare la parola giusta o poter fare di più. All’ombra della valle e dello sguardo della signora Empson, i due ragazzi si riconoscono e si vedono per come sono: nella valle, scrive l’autrice, “l’onestà sembrava l’unica via possibile”, come del resto dovrebbe esserlo nella vita.

Vorrei che la magia della valle potesse far scomparire la frase che sulla copertina del libro dice che l’amicizia è più forte della malattia e che questo romanzo potesse non finire nella gruppo di quelli che parlano di ragazzi ammalati, anche perché potremmo farlo parimenti finire tra i libri sui bulli, sugli sfigati, sulle famiglie difficili. Mi piacerebbe invece che venisse considerata come un’ottima storia che dice di come sia difficile non essere ascoltati, non essere presi in considerazione per quello che si pensa davvero, che si desidera, che meglio si accorda a se stessi; una storia che parla della ingiusta fatica di non sentirti voluto o adeguato all’idea di figlio che i tuoi genitori hanno in testa e della difficoltà di non poter avere un posto e un tempo proprio, accordato alle necessità del momento (che non sono stranezze, ma bisogni). Un romanzo sulla bellezza dell’essere visti davvero, dell’essere riconosciuti bravi in qualcosa; in questo senso Annie è proprio la “ragazza dei desideri” per Peter: sa vederlo per come è, sa comprendere senza chiedere troppo sul suo passato, sa incoraggiare, dare forza e spuntare tra gli alberi al momento giusto. Sa seminare speranza e anche rabbia necessaria, sa trasformare chi la incrocia e dare dignità a quel che si è davvero. Tutto il resto è la vita che ciascuno dei protagonisti sta vivendo, quel che è toccato in sorte e la bravura di Nikki Loftin è di descrivere in modo assolutamente realistico e veritiero i suoi protagonisti: il senso di estraniamento disperato di Peter e la rabbia caparbia di Annie; perché sì, Annie – credete – è perfettamente realistica al punto di poter essere reale.

La copertina di Bianca Bagnarelli è bellissima (molto più dell’originale) e confesso che, a vederla a schermo tra le novità, ho per un attimo pensato che questo libro fosse una graphic novel. Approfittate per un giro sul sito di Delebile, etichetta indipendente di brevi racconti e antologie a fumetti.

Il sito di Nikki Loftin.

Nikki Loftin, Wishgirl (trad. di Anna Carbone), Mondadori 2015,262 p., euro 15, ebook euro 6,99

La casa dei cani fantasma

13 Apr

casa dei cani fantasma

La vita di Cameron è da cinque anni un continuo movimento; lo conosciamo al momento del suo quarto trasloco: valigie fatte in fretta, fuga nella notte, calcoli di distanze imponenti e una nuova casa, questa volta una fattoria da anni abbandonata, circondata da campi di mais. Cameron e sua madre fuggono dalla violenza del padre, sono attenti ad ogni auto sospetta che passi intorno a casa e fingono una normalità apparente e rassicurante in un continuo fuggire che pare essere l’unica soluzione. Ma un nuovo domicilio significa anche una nuova scuola e compagni sconosciuti a cui conformarsi o a cui sottrarsi: proprio loro, tra scherzi e derisioni, insinuano nel ragazzo l’idea che nella fattoria affittata dalla madre si sia consumata una tragedia, che nello scorrere dei giorni diventa un’ossessione che trova conferme in vecchi disegni scovati in cantina, segni sui muri, leggende di paese, archivi, come nell’apparizione di un bambino fantasma che cerca un amico e finisce per far credere pazzo Cameron.

Stratton tesse la trama avvolgendo il lettore in una spirale dove i piani del tempo si confondono e dove le similitudini tra le due vicende – quella di Cameron e quella di Jacky – si sovrappongono a tratti ad insinuare  nel protagonista domande e dubbi sulla figura paterna, sull’ affetto dei genitori nei suoi confronti, su cosa le persone intorno possono aver visto o aver taciuto sulla sua vicenda famigliare, sulla propria effettiva sanità mentale. Il dolore della violenza, la sottigliezza dell’arma psicologica a doppio taglio, la liberazione di abbandonarsi al calore di un affetto per poi ricadere nel terrore non cancellano però la possibilità di essere diverso, di poter comprendere che esiste un modo altro di avere rispetto, di provare amore, di voler bene.

Cameron segue un vero percorso di indagine che non lascia nulla al caso, incrociando intuizioni, racconti, testimonianze, risalendo gli archivi d’epoca e scandagliando il campo, si tratti di un solaio, un cimitero o una casa di riposo i cui ospiti nascondono verità mai credute. Insieme dà voce alla difficoltà di credere fino in fondo alla pazzia del padre, le domande sull’affetto che li lega, la fatica di mantenere dei rapporti con gli amici e la facilità con cui si cade fiduciosi in un tranello: il passaggio in cui il protagonista descrive la sua frequentazione dei social con falso nome e il modo in cui comunque il genitore riesce a risalire al luogo in cui vive è lineare, esemplare ed efficace nella sua descrizione. Ripercorre le briciole che ciascuno semina intorno dicendo di sé, esattamente come Cameron ripercorre i sassolini lasciati nel tempo intorno a lui, tenendo conto dei particolari in bella vista, di quel che non coincide e anche delle voci che nessuno ha voluto ascoltare, ritenendo più facile bollarle come pazzia.

Questo libro ricorda un romanzo pubblicato nel 2008 sempre da Mondadori, Corri e non voltarti mai di Elisabeth Fensham, il cui protagonista fugge costantemente col padre, braccato da un’organizzazione segreta fino a quando le domande sulle incongruenze e le mancate risposte non lo costringono a fermarsi per guardare fissa la “vera verità”.

Il sito dell’autore.

Allan Stratton, La casa dei cani fantasma (trad. di Anna Carbone), Mondadori 2015, 252 p., euro 17, ebook euro 6,99

Flip

15 Giu

More about FlipLa finestra non era al suo posto. E quelle non erano le sue tende. Quello non era il suo armadio, quelli non erano i suoi scaffali, quello non era il suo stereo, quelli non erano i  suoi poster.

Una stanza insolitamente grande, una voce sconosciuta (una voce di mamma?) che grida di alzarsi dal pianterreno, una luce troppo forte per essere un mattino di fine dicembre. E infatti siamo a fine giugno e Alex si ritrova in corpo decisamente diverso dal suo, in una casa sconosciuta dove lo chiamano Philip, in una scuola mai vista. A quanto pare ha una sorella dark, un cane che si chiama Husky pur essendo un Golden Retriever, due ragazze in contemporanea, la fama di sbruffone e parecchie ore di tedesco in orario scolastico. E quando Alex prova a telefonare alla biblioteca dove la madre lavora, si sente chiedere se ha problemi mentali, se è uno scherzo di cattivo gusto, se vuole che intervenga la polizia. Mentre si barcamena nella nuova vita sconosciuta, Alex prova a rimettere insieme i pezzi: scopre che sei mesi prima, lui, Alex Gray, è stato investito da un pirata della strada e giace in stato vegetativo in ospedale, mentre la sua anima si è trasferita nel corpo di Philip Grayson, nato il suo stesso giorno. Come scopre attraverso internet, è diventato un “evacuato psichico”. Ma Alex non può fingersi ciò che non è. Perché Alex non sa pattinare, non sa giocare a cricket, non ascolta rap. Alex suona il clarinetto, legge e si innamora di Cherry. E soprattutto, rispetto a tutti gli altri evacuati psichici, ha un corpo ancora vivo da cui tornare.

L’ennesimo libro sull’esperienza di vivere nel corpo e nei panni di un altro? Può darsi. Ma questa volta non è solo lo scambio di corpi e di identità per scoprire il mondo da un altro punto di vista, per vedere com’è essere femmina se sei maschio e viceversa; c’è un elemento assai più tragico e profondo teso sotto tutta la scrittura di Martyn Bedford: la scelta dei genitori di Alex, indecisi se staccare la spina o no; la scelta di Alex che si sente diviso. E vivo, vivo come non mai.

Martyn Bedford, Flip. Scambio di persona (trad. di Anna Carbone), Mondadori 2011, 271 p., euro 17