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Album di famiglia

28 Set

Alterno periodi con la macchina fotografica al collo e altri in cui non me la porto nemmeno dietro, per l’indecisione cronica sul fatto che a volte a guardare dietro l’obiettivo mi pare di non vedere tutto, di perdermi in quello che inquadro e nel particolare che cerco e perdere intanto quel che c’è attorno. Tra le righe di questo libro c’è chi dice che la macchina fotografica sa, chi sottolinea che a volte la verit è in un altro posto e non nelle fotografie, chi vede finalmente chiaro dopo anni proprio mentre corre a mettersi davanti all’obiettivo dopo aver posizionato l’autoscatto.

Torna, dopo Baby, un altro felice romanzo di Patricia MacLachlan, pubblicato per la prima volta in Italia da Mondadori nel 1993, che ci regala la leggerezza piena che ritroviamo tra le righe di Sara né bella né brutta (Salani 2003, uscito come Sarah non è bella da Emme nel 1992), la capacità di dire con levità tutto quel che c’è da dire, anche quando è qualcosa che ci fa paura o ci strizza il cuore. Journey ha undici anni quando la sua irrequieta mamma se ne va, lasciando lui e la sorella maggiore Cat alla fattoria coi nonni. Tutti sanno che non tornerà, che non scriverà le lunghe lettere che il ragazzino immagina, ma arriveranno solo buste coi soldi promessi. Eppure Journey continua a raccontarsi le stesse speranze, nascondendosi sotto cinque coperte in agosto, balbettando la scusa della gola infiammata: è il suo modo di nascondersi e di covare la rabbia e la delusione, mentre intorno ciascuno resiste a modo suo: Cat incanala la rabbia zappando l’orto e il nonno scatta fotografie nel tentativo di costruire ricordi. Ognuno ha bisogno di qualcosa per rimanere in piedi.

Journey ha una nonna che sorride impercettibilmente come se conoscesse tutti i segreti del mondo, un amico che lo guarda piangere senza farglielo pesare, un campo di lamponi da raccogliere tentando di riempire il cestino senza mangiarli tutti prima, una gatta che fa i gattini nell’armadio e un nonno che la sa lunga e che sa vedere. Journey ha una collezione di immagini: alcune sono fotografie, altre sono stampate nella sua mente proprio come se lo fossero su carta. Sono attimi che dicono la verità che bisogna guardare (quando è brutta, sì, ma anche quando è bella e magari fa paura uguale), che dicono che non c’è perfezione: c’è l’essere soddisfatti.

Patricia MacLachlan – ill. di Grazia Nidasio, Album di famiglia (trad. di Annamaria Sommariva), Piemme 2012, 117 p., euro8.

Alfabeto ebraico

18 Lug

Quando ero molto piccola e si passava a Cuneo davanti al negozio di tappeti Cavaglion capitava che ci si fermasse a salutare. Ho un ricordo buio di quel luogo e nel contempo caldo, quello di una mano ruvida che un giorno infila un piccolo regalo, una piccola figurina di cane, nella mia manina di bambina e la voce del signore anziano che sempre mi salutava e che ogni tanto mi diceva una parola “in un’altra lingua”. Così l’ebraico scivola per me nei pochi suoni di quella voce e in qualche rimasuglio di parola, come shemesh dietro cui indovini il sole.

C’è il sole anche tra queste pagine, dove Matteo Corradini prende le lettere dell’alfabeto ebraico, ne guarda la forma, ne fa storie. Ventidue lettere e ventidue racconti, anticipati da una spiegazione sulla lettera: sul suo significato, su come si pronuncia e come suona, sul suo valore numerico. Scopriamo così che il posto migliore per allenarsi a pronunciare la Het è una toilette, che le He è stilizzata come un uomo inginocchiato che stia pregando, che la Peh sembra una bocca (e chissà se sorride), che nell’alfabeto ebraico ci sono sette lettere che rappresentano altrettante parti del corpo umano.

Ogni racconto è costruito su parole che cominciano – in ebraico – proprio con la lettera appena detta (come spiega il piccolo vocabolario finale).

Il sito di Matteo Corradini.

Matteo Corradini – Grazia Nidasio, Alfabeto ebraico. Storie per imparare a leggere la meraviglia del mondo, Salani 2012, 96 p., euro 18,90.

I difetti dei grandi

16 Mar

Però io sono piccolo,

posso ancora cambiare

se voi che siete grandi

mi sapete insegnare.

Rime per i grandi che vorrebbero dei bambini perfetti. Rime che vengon dalla voce dei bambini, dai loro pensieri, dai loro occhi. Rime che vengono dai bambini che ci guardano, che osservano e che imparano. Ce n’è per tutti: per la nonna bugiarda e per la mamma che si veste come la figlia dodicenne. Per chi abbandona gli animali e chi pretende di mangiare davanti alla televisione. Per la mamma che ti trascina a far compere con la promessa di un gelato, per quella che ti esibisce come fossi una scimmietta ammaestrata, per quella che racconta a tutti il segreto che le hai appena confidato. Per i nonni che “una volta era meglio”, per chi obbliga i bambini a fare rumore, a fare pasticci, a fare capricci altrimenti non li si guarda.

Janna Carioli –  ill. Grazia Nidasio, I difetti dei grandi, Mondadori 2011, 49 p., euro 9.