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Il piccolo Aron e il signore del bosco

9 Nov

aron signore boscoNel mio villaggio di montagna abita un bambino che somiglia molto al protagonista di questo albo: da qualche anno (ma non più per molto) è l’unico bambino del villaggio, macina chilometri ogni giorno per andare a scuola e ha un modo di fare speciale con gli animali. Ha un vero e proprio serraglio e talvolta, fuori stagione, nelle prima ore del pomeriggio, potresti vederlo andare a spasso per le stradine deserte con un coniglio in braccio,  insieme a cani, oche, galline, magari un fagiano.

Aron me lo ha ricordato, per l’attenzione agli animali, l’averne cura, il saper vedere e intuire che Francesco Niccolini gli ha cucito addosso scrivendo questa storia: un bambino di cinque anni che vive con la famiglia in una casa di pietra al limitare del bosco e parla con le piante e con gli animali, dando a ciascuno un nome. Quando a un inverno tanto ghiacciato segue una torrida estate gli uomini del paese partono alla ricerca di una soluzione, ma nessuno torna, neppure il padre del protagonista. Sarà lui allora ad andare all’avventura, a seguire i suggerimenti degli amici animali fino a raggiungere un creatura un po’ albero, un po’ bestia, un po’ uomo con cui stringere un patto da onorare: avere rispetto della natura, cacciare in modo equo, convivere in modo che tutti possano essere in armonia.

Una storia che parla di salvaguardia dell’ambiente, di attenzione, di dialogo tra specie diverse, di possbilità di coesistenza, impreziosita dalle tavole di Sonia Maria Luce Possentini che raffigurano talmente bene da far vivi sulle pagine gli animali, le persone, il bambino dagli occhi profondi, perfino il vento, perfino gli alberi.

Da leggere nella speranza che l’augurio della riga finale possa essere scritto non all’imperfetto, ma al tempo presente.

Francesco Niccolini – ill. Sonia Maria Luce Possentini, Il piccolo Aron e il signore del bosco, Carthusia 2020, 28 p., euro 16,90

Gli zoccoli delle castagne

20 Mag

Gli zoccoli delle castagne_copertinaViene da un tempo che pare altro questa storia. Le illustrazioni di Sonia Maria Luce Possentini paiono fotografie, di quelle seppiate, e la storia è quella della nonna dell’autrice, simile a quella di tante altre bambine che seguivano gli adulti al lavoro, per una stagione che poteva avere la durata di un mese, come in questo caso, o di un inverno o di una campagna estiva. Che valicassero confini o montagne o dalle valli scendessero verso il mare a far mazzi di lavanda o salissero agli alpeggi per prendere in custodia greggi, o che andassero in città a servizio presso ricche famiglie, la storia di questi ragazze e ragazzi, a volte poco più che bambini, era fatta di scoperta del mondo e di nostalgia, di nuovi orizzonti e odori e sensazioni e di voglia di tornare a casa. Era un tempo che scandiva la vita dei villaggi dove vivevano: un tempo per andare a faticare e guadagnare lontano, un tempo per tornare a casa e faticare sui campi della propria famiglia.

Barbara Ferraro raccoglie la storia di sua nonna, Lina, nata in Calabria in una famiglia di mezzadri, che a undici anni segue il padre e lo zio nella raccolta delle castagne. Per più di un mese condivide con loro e un piccolo gruppo di altre persone la vita della raccolta, dormendo nel piano basso dell’essiccatoio, mentre le castagne seccano in alto. Le giornate sono raccontate attraverso le sensazioni della ragazzina e attraverso immagini precise, quasi quadri che restituiscono, come fotografie in successione, i momenti che scandiscono la prima esperienza della raccolta.

Il testo, breve e adatto anche alla lettura ad alta voce, introduce il tema del lavoro, dei diritti dei lavoratori, fa riflettere sullo sfruttamento, sulle differenze di salario (gli uomini, le donne, i bambini), su come le lavoratrici siano considerate di valore inferiore al mulo che le accompagna nella raccolta. Merita di essere notata la particolarità della lingua: non solo l’inserto del calabrese nella ninna nanna riportata nel testo, ma anche un uso prezioso e non scontato dei termini: i bambini metabolizzano le cose come assorbono il freddo, la nonna è statuaria, i sorsi possono essere fragorosi, il colore della libertà baluginante. Sono solo alcuni esempi; vi lascio scoprire il resto, in questo illustrato prezioso da proporre ai più lettori più grandi.

Barbara Ferraro – ill. Sonia Maria Luce Possentini, Gli zoccoli delle castagne, Read Red Road 2020, 62 p., euro 14

La canzone di Federico e Bianchina

5 Ott

Un omaggio alla città di Genova innanzittutto, nelle parole e nelle immagini di questo albo che segue il ritmo di una canzone medievale, ma prima ancora il vento, il maestrale che soffia imponente tra i caruggi e fa vibrare ogni strada “come un organo al respiro del mare”. E Possentini ribadisce l’omaggio nelle immagini in cui il vento gonfia le onde e le vele nel porto e le tende a Palazzo Ducale.

Bianca Pitzorno racconta nella nota finale come è nato questo testo, nel periodo in cui stava terminando la biografia di Eleonora d’Arborea: il protagonista Federico è proprio suo figlio e l’autrice riprende la nota storica di un matrimonio combinato nel 1832, quando la donna chiese la cittadinanza al Doge genovese, suggellando il prestito in denaro non con un ritorno di interessi ma appunto con la promessa di sposalizio tra il figlio e Bianchina, la più piccola della nidiata di Nicolò Del Guarco. I due sono bambini e il matrimonio è previsto per una decina di anni più tardi; il fato invece metterà lo zampino destinando diversamente le loro vite.

Pitzorno immagina quei bambini, i loro sogni, il loro tempo, lontani dai maneggi siglati dagli adulti e dai passaggi storici ben documentati nell’introduzione. L’albo diventa interessante per la parte storica, per le scelte grafiche, per parlare della “canso” e del modo di poetare dell’epoca.

Bianca Pitzorno – Sonia Maria Luce Possentini, La canzone di Federico e Bianchina, Mondadori, 40 p., euro 17, ebook euro 8,99

Léonie si sposa

22 Mag

Un albo giocato principalmente sul bianco e nero mette in scena una ragazzina in bicicletta che corre al matrimonio di un’amica più grande. Sono poche righe eppure si capisce subito che è tempo di guerra: ecco gli aerei degli Alleati che fanno piovere volantini sulla campagna, ecco l’elmetto di un soldato tedesco che sbuca tra le spighe mentre la bambina si china a prendere uno dei fogli, caduti come lucciola di speranza, da portare in dono agli sposi.

Le illustrazioni e il tratto caratteristico di Sonia Maria Luce Possentini sono perfette per questo breve testo: con la loro resa fotografica sembrano proprio giuste per accompagnare una storia vera, un attimo di Storia vissuta dalla nonna dell’autrice che, come viene ricordato, lo raccontava con tanta emozione. Si emozionerà anche il lettore per le pagine di Storia che si fanno quotidianità, per la semplicità esatta e spontanea dei gesti (la mano tesa del soldato, la corsa in bicicletta, la gioia negli occhi della sposa), per il colore che torna lento nelle pagine finali, piano piano, fino all’esplosione del campo di grano: cosa c’è in natura che prorompa in gioia quanto un campo di grano maturo contro il cielo, all’improvviso dietro una curva, proprio come qui appare al voltare della pagina?

Il testo dice appunto di un singolo momento privato all’interno dei grandi giochi della Seconda Guerra Mondiale; sarà prezioso per chi racconta oggi questo periodo storico e la Resistenza: permette di dire il punto di vista del quotidiano, il come gli ingranaggi si muovano nei momenti di ogni giorno e i biglietti che annunciano la Liberazione e la libertà abbiano avuto un senso grande per ciascuno di coloro che – più o meno inconsapevolmente – aspettava. Per questo mi piace il gesto della bambina che porta il volantino fra i denti mentre riprende a pedalare verso la cerimonia; mi fa pensare agli animali che portano in bocca i loro cuccioli, mi dà un senso di cura infinita, di preziosità di quel che viene portato: un annuncio, una speranza, un segno tangibile della svolta vicina, il miglior regalo che si possa portare ad una festa.

Il libro è stato pubblicato con il contributo dell’ISTORECO (Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea) di Reggio Emilia.

Isabelle Wlodarczyk – Sonia Maria Luce Possentini, Léonie si sposa (trad. di Andrea Casoli), Corsiero 2018, 28 p., euro 16

Il sogno di Youssef

30 Apr

YOUSSEF coverAspettavo da tempo un libro così, meraviglioso e toccante già nella dedica iniziale: “A tutti i bambini che scappano dai buchi neri delle guerre dei grandi. Ai loro sogni appesi tra cielo, terra e mare”. Basterebbe solo questo, forse. Ma Isabella Paglia ci regala un testo poetico, prima duro e poi dolce, più rarefatto nella parte finale. Lo accompagnano illustrazioni bellissime, nel racconto di un dettaglio dove si condensa la disperazione, nella coralità di eventi più grandi che i bambini subiscono senza comprendere.

È un libro per i nostri piccoli, certo. Ma non lascerei al riparo gli adulti, bisognosi, loro sì, di una “storia” reale per tornare a commuoversi.

Già sotto il titolo, pagina iniziale, il dettaglio di una ciabattina da bimba, come le tante, troppe, viste al tg, nella cronaca dell’ennesimo naufragio. L’amicizia tra due bambini, interrotta dalla guerra e dalla partenza di lei. Maryam e Youssef, sognatori di mare e avventure. Il mare lo vedono la prima volta quando arriva a separarli. Sebbene abbia il ritmo di una ninna nanna, non è benevolo, ma misterioso e scuro.Per chi resta cadono le bombe, portando lutti e disperazione. Di Maryam non si sa più nulla, ma Youssef coltiva ogni giorno il sogno di riabbracciarla. Da qui in avanti il libro abbandona la cronaca e diventa una favola, irreale, certamente, un sogno con un risveglio in cui i desideri si avverano.

L’immagine dell’abbraccio alla conclusione del libro dovrebbe campeggiare in ogni scuola, biblioteca, asilo. Semplicemente due bimbi che si stringono, dopo aver visto l’inferno. L’empatia più vera, quella che si è persa tra burocrazie, calcoli di quote, costruzione di muri.

Il sito di Isabella Paglia; il blog di Sonia ML Possentini.

Isabella Paglia – ill. Sonia MariaLuce Possentini, Il sogno di Youssef, Camelozampa 2016, 32 p., euro 15

Sarò io la tua fortuna

1 Set

fortuna

Cresce, in questi mesi di anniversario, il numero delle narrazioni per ragazzi ambientate ai tempi della Prima Guerra Mondiale. Tra le tante proposte, come già detto in precedenti recensioni, è possibile trovarne di davvero buone e soprattutto, molto importante, che affrontano aspetti diversi di quel periodo storico, contribuendo così a dare ai lettori molteplici tasselli che possono formare un quadro ricco e più completo, specie sulla vita quotidiana, sulla società, su come si vivesse e si faticasse non solo al fronte.

Il romanzo di Frescura e Tomatis si caratterizza da un lato per i molti particolari e riferimenti anche curiosi che possono solleticare chi legge ad approfondire e a cercare altre notizie: sono citate Maria Plozner e le portatrici carniche che trasportavano nelle gerle munizioni e rifornimenti dalle retrovie alla prima linea; si parla dei moti per il pane a Torino nel 1917, della propaganda a scuola, e ancora strofe di canzoni dell’epoca,  Il cuore di Pinocchio rivisitazione del romanzo di Collodi piegata a lodare il sacrificio dei mutilati di guerra, l’eutrofina (cercate on line qualche immagine che reclamizzi il ricostituente dell’epoca!). Dall’altro il romanzo si dipana sul filo del carteggio tra il fronte e le famiglie, riportando il testo di molte lettere inviate a casa dai soldati e riprendendo il tema della censura ufficiale, ma anche quella dei singoli che non scrivevano la verità quasi a voler proteggere i genitori o le mogli e i figli che avrebbero letto; gli epistolari sono una forma di lettura coinvolgente, che fa sentire vicine le persone vissute in altre epoche e allora le lettere immaginate in questo volume possono essere l’occasione di riprenderne altre reali scritte in occasioni più o meno tragiche.

La vicenda narra di Rigo, già orfano dei genitori, che perde anche gli zii con cui vive quando una bomba caduta sulla loro cascina li uccide. Nel giorno del suo quattordicesimo compleanno, il ragazzo friulano si trova senza nulla e viene preso sotto l’ala protettrice da un soldato di nome Toni che lo convince a impiegarsi a servizio dell’esercito per due lire al giorno, evitando così l’orfanotrofio. Siccome sa leggere e scrivere, Rigo diventa il tuttofare dell’ospedale militare delle retrovie, dove conosce gli orrori e le mutilazioni della guerra, e dove aiuta i soldati analfabeti a scrivere a casa. Conosce Fortuna, che fa spettacoli di burattini con lo zio, e con cui intreccia un legame di amicizia, innamorandosene pian piano. Alla morte di Toni, i due ragazzi decidono di lasciare il fronte per cercare di recapitare l’ultima lettera alla famiglia del soldato, come da sue disposizioni. Prima i dintorni friulani, poi il viaggio verso Torino, il ferimento di Fortuna, la ripresa di una vita diversa e la scoperta della verità sul padre di Rigo, da lui mai conosciuto.

Il testo ha il pregio di farsi forte della documentazione storica su cui si appoggia, che rende particolarmente vivo il racconto agli occhi del lettore, fornendogli appunto un quadro a tutto tondo della realtà dell’epoca: il fronte, le città, le campagne, i soldati, i poveri e i ricchi. Tra le tante scene, quella in cui Rigo insegna a Toni a leggere basandosi sui nomi dei soldati morti, scritti sulle croci del cimitero di guerra è senza dubbio di particolare dolorosa bellezza.

L’illustrazione di copertina è di Sonia Maria Luce Possentini.

Loredana Frescura – Marco Tomatis, Sarò io la tua Fortuna, Giunti 2015, 213 p., euro 10, ebook euro 6,99

Esco così mi perdo

5 Lug

ESCO Metterò questo libro nello scaffale Libri per Dolci Sogni, perchè ha tutti gli elementi di una storia che ti posa come un guanto in una notte piena di immagini fantastiche: c’è una soffitta errante, due personaggi francesi di nome Baul e Trombon, il principe Pedalino, il bambino che, deus ex machina, risolve tutto.
Baul è un “cercatore di oggetti desueti e raccontatore di storie” e vive con Trombon in una soffitta errante, circondato dagli oggetti che raccoglie. Una volta all’anno si dedica alle grandi pulizie e fa emergere dalla coltre di polvere che ricopre la soffitta un oggetto di cui racconta la storia.

E così ci porta nel regno di Calcea dove tutti i sudditi sono scarpe e il Re (che aveva i calzini bucati) e la Regina aspettano con trepiazione la nascita dei regali Principi Calzini. Ma, com’è come non è, invece di un paio di calzini nasce solo il Principe Pedalino. Un calzino spaiato? Non è possibile! Così nel Regno scoppia il parapiglia e si decreta la creazione immediata di un sosia. Ma il Principe Pedalino (“Io sono io, non lo voglio un altro me!“) decide di fuggire da “quello che tutto era, fuorché il suo posto”, lasciando un biglietto che recita:

Esco così mi perdo. So di essere unico. Troverò il mio posto nel mondo. Non cercatemi…e tanti saluti a tutti.”

Nessuno lo cercò e lui si perse veramente arrivando alla Collina dei Rattoppi, entrando nel terribile Bosco degli Spilloni finché una bolla di sapone…

Calzini che fuggono da genitori da cui non si sentono compresi, che attraversano luoghi impervi in un bildungsroman fantastico, soffitte che viaggiano e personaggi buffi che raccontano storie. Tanti gli elementi di una fiaba classica in una storia che ha meritatamente vinto il Premio Andersen Baia delle Favole 2010. Dal libro è stato tratto anche uno spettacolo teatrale.

Qui il sito dell’illustratrice e qui quello dell’autore.

Matteo Razzini – illustrazioni Sonia Maria Luce Possentini, Esco così mi perdo, Edizioni Corsare 2014, 32 p., euro 16

Il bambino di Schindler

24 Gen

Pi\'f9 riguardo a Il bambino di SchindlerPer venti anni Leon Leyson si è chiamato Leib Lejzon e per quarant’anni ha praticamente taciuto il suo nome originario come la sua storia. Nato nel 1929 in un villaggio di campagna nel nordest della Polonia, arrivato a otto anni a Cracovia – dove il padre lavorava da un po’ di tempo – con in testa tutte le avventure che una grande città avrebbe potuto riservargli, conosce dopo un anno appena la durezza della guerra, viene rinchiuso nel ghetto con la sua famiglia e vive l’orrore del campo di Plaszów.

La fortuna sua e di parte della sua famiglia sta nell’essere assunti uno dopo l’altro da Oskar Schindler, alle cui dipendenze già il padre lavorava. Leon diventa il più giovane degli operai che il ricco industriale nazista protegge nella sua fabbrica, ottenendo di poter costruire un campo apposito dove trasferire operai ebrei e produzione in Cecoslovacchia. Così Il bambino, i suoi genitori, un fratello e una sorella si salvano e nel 1993, quando Spielberg consacra quella storia sullo schermo nel film “Schindler’s List”, viene alla ribalta anche la storia di Leon, che – trasferitosi in California nel 1949 insieme ai genitori, diventato insegnante – fino ad allora non ha raccontato nulla se non alla moglie e ai figli già adulti. Da quel momento comincia a raccontare e a testimoniare la sua esperienza in pubblico, in particolare nelle scuole, seguendo la medesima traccia che il libro ripropone, raccogliendone il racconto in prima persona.

Io oggi ho incontrato Leon Leyson. L’ho incontrato nonostante lui sia morto un anno fa. L’ho incontrato nel suo modo di raccontare, così semplice e sincero da catturarti come se ce l’avessi davanti, cosa che ne fa (grazie anche al buon lavoro di traduzione) un testo perfetto per la lettura ad alta voce. Perché queste pagine raccontano dal vivo e raccontano la storia di chi le ha vissute, partendo dall’infanzia, restituendo modi di vivere e sfumature di un’epoca lontana, osservando dalla prima fila la discesa agli inferi degli ebrei polacchi. Chi legge prende rischi col protagonista; piange il fratello di cui non si hanno notizie e quello messo a forza su un treno; sta in bilico su una cassetta per poter arrivare ai comandi della macchina alla fabbrica; esce dalla fila per gridare e farsi portare in salvo; incrocia gli occhi di Oskar Schindler, apprezza il suo modo di ascoltare.

Leyson non lesina nulla all’uomo che lo ha salvato; non nega le contraddizioni della sua figura come non nasconde le terribili atrocità di cui è stato testimone e il dolore che non ha più lasciato la sua famiglia. Insieme racconta i modi di resistere, nel ghetto e nei campi, nei rifugi e nelle fughe: mantenendo un minimo di normalità; facendo scuola di nascosto; allestendo commedie; innamorandosi; imparando ad andare in bicicletta; rispettando l’orario dei pasti anche se di cibo non c’era traccia. E mantenendo il proprio nome: Schindler aveva, ricorda l’autore, la capacità di ricordare il nome di ogni ebreo della sua fabbrica; li chiamava per nome mantenendo vivi la loro umanità e il rispetto per le loro persone, portandoli fino alla libertà.

La storia di Leon sul sito dedicato agli ebrei di Schindler e una sua videointervista. La copertina dell’edizione italiana è di Sonia Maria Luce Possentini.

Leon Leyson, con Marylin J. Harran ed Elisabeth B. Leyson, Il bambino di Schindler (trad. di Egle Costantino), Mondadori 2014, 189 p., euro 14, ebook euro 6,90