Quando qualcuno ci manca, e ci manca da tanto tempo perché non fa più parte del nostro orizzonte quotidiano e perché sappiamo che non c’è più la possibilità di incontrarlo, ne ricordiamo spesso episodi buffi, frasi, modi di dire. Ricordiamo il suo della sua voce, il suo modo di ridere, i particolari minimi di alcuni momenti passati insieme. Le piccole cose che magari anche ci sorprendono perché tra tutto quello che potresti ricordare, la tua memoria salva un colore o una sfumatura di voce. Ma non ricordiamo il suo volto. Questo è il dolore della ragazzina protagonista di questo albo, che ha preso la madre da bambina e a cui nessuno parla di lei, tanto meno suo padre. Nonostante la sua allegria, la sua piacevole compagnia, l’apprezzamento degli altri, la ragazzina è triste. E piange raccontando la sua tristezza a una donna che, sotto un grande albero del parco cittadino, la invita a guardarsi allo specchio e cercare la madre nei tratti del proprio volto.
Così la ragazzina cresce guardandosi allo specchio. Quello che gli altri cambiano per vanità o per giusto riconoscimento alla propria bellezza, è invece un tentativo di ricordo e insieme di costruzione dei tratti familiari – simili, ma non uguali ai suoi – della madre. Tratti che passano di generazione, che rimangono seminati insieme a certe frasi, a certi modi di dire che, da soli, bastano a scatenare racconti e ricordi e lacrime. Lacrime felici, quando finalmente si riconosce e si dice.
Il sito dell’illustratrice.
Roddy Doyle – ill. di Freya Blackwood, Tutta sua madre (trad. di Monica Romanò), Salani 2013, 32 p., euro 10.
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