Maria ha undici anni e si appresta a trascorrere l’intero mese di agosto in vacanza, in una casa d’affitto dal sapore vittoriano, piena di mobili antichi e vissuti, con vecchie fotografie alle pareti e qua e là – nei cassetti, tra le pagine dei libri, nelle varie stanza – i segni di chi ci ha abitato. I genitori di Maria appartengono a quel gruppo di persone che lei definisce “che non conoscono il nome delle cose”: gli alberi sono alberi, le stelle stelle, mentre la ragazzina, pur vivendo in città, è convinta di appartenere all’altro genere e di potersi quindi beare della bellezza di dire che l’albero in fondo al giardino è un leccio, cioè un tipo di quercia.
Maria impara i nomi delle piante e dei fossili che trova nei cassetti e sulla scogliera; poi i nomi degli uccelli che Martin – il coetaneo che vive nell’albergo accanto, in una tribù di fratelli e cugini – ama osservare; poi i nomi delle persone che hanno composto la famiglia della proprietaria della casa e con essi le loro vicende.
Un mese appena, in cui Maria ascolta la voce della casa e quella del gatto che vaga tra le stanze e il silenzio della sua famiglia e il vocio ininterrotto di quella di Martin. Un mese in cui scopre, cova, pensa e cresce. Un mese in cui cambia, in cui capisce che le cose non sono mai le stesse: anche se l’anno prossimo tornasse per le vacanze nello stesso posto, sarebbe comunque diverso perché lei sarebbe cambiata. Un anno in più, un’altra Maria. Lei stessa e diversa. E chissà quante Marie poi negli anni a venire.
L’estate raccontata da Maria è quella del 1975. Questo libro è stato pubblicato nel 1976, anno in cui ha vinto il Premio Whitbred Book nella sezione ragazzi.
Penelope Lively, L’estate in cui tutto cambiò (trad. di Elisa Banfi), Guanda 2013, 213 p., euro 15
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