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Fake

4 Ott

Più riguardo a FakeIl primo giorno di primavera Marcella Destori scompare. Non si presenta a scuola nemmeno per l’assemblea di istituto a cui doveva intervenire, non torna a casa nemmeno finito lo sciopero dei mezzi; il suo zainetto viene trovato nei pressi dell’edificio scolastico, ma di lei non c’è traccia. Il lettore la conosce attraverso le parole di Giada, la compagna di banco al liceo linguistico, non proprio una vera amica, neanche una confidente, ma comunque la compagna a cui Marcella racconta spezzoni della sua vita e che ha un osservatorio privilegiato da cui guardarla, ammirarla, farsi domande.

Marcella è sempre un po’ distante, quasi assente; sembra da un’altra parte e poi piomba nella realtà sempre a proposito, sia che si tratti di rispondere all’interrogazione di un insegnante sia che intervenga in assemblea o difenda un compagno o una causa. Marcella danza con le dita sulla tastiera dello smartphone o del tablet, tiene gli occhi costantemente sullo schermo, è così allegramente sfacciata da riuscire persino a rispondere a una telefonata in classe, protetta com’è dal muro della schiena di Giacomo Ponti che le siede proprio davanti. Quando scompare, Giada cerca di ricostruire quello che sa delle amicizie e dei ragazzi che Marcella conosce in rete, di quelli con cui ama giocare – come dice lei – e tenere sul filo. Insieme c’è il diario cifrato che Stefano ha trovato nello zaino della compagna e il mistero di un falso profilo che Marcella ha aperto su Facebook usando il nome di Giada, sicura che lei, estranea com’è a ogni comunicazione tramite social media, non l’avrebbe mai scoperto.

I falsi profili in realtà sono più d’uno e leggendo vien da pensare che potrebbero definire anche tutte le immagini che di Marcella vengono rimandate lungo la prima pagina del romanzo, quando si racconta la ragazza attraverso gli occhi dei compagni, dei genitori, della sorella. Ognuno di loro sa qualcosa o pensa di sapere, immagina o scopre di non conoscerla per nulla anche se vive sotto lo stesso tetto. Tutto l’universo di MArcella è in discussione: i genitori che scoprono inaspettati lati della figlia; Giada che si sente presa in giro ed ingannata da quella che credeva un’amica; i compagni di scuola che non sanno cosa rispondere alla polizia che indaga e trovano più semplice inventare o supporre.

Il romanzo è costituito da due parti che narrano esattamente gli stessi giorni, prima attraverso gli occhi e la voce di Giada, poi attraverso quelli di Marcella. La prima parte, che cattura il lettore e fila via veloce, è sicuramente riuscita meglio della seconda ed è forse un peccato perché si rischia di veder un po’ banalizzata una trama che invece, nei primi capitoli, tiene ben alta l’attenzione e la curiosità del lettore parlando di modalità di utilizzo e di interazione con i social media e di capacità di interagire con gli altri, in famiglia e a scuola.

Il sito dell’autrice. L’illustrazione di copertina è di Vanna Vinci.

Adriana Merenda, Fake. Falsi profili, Piemme 2014, 272 p., euro 15, ebook euro 7,99

La mente aumentata

13 Gen

La-mente-aumentataUna decina di anni fa Prensky ideò la fortunata terminologia che oppone le nuove generazioni dei “nativi digitali” agli “immigrati digitali”, dando così una definizione a cui si continua a far riferimento nonostante molti, negli ultimi tempi, la considerino superata o addirittura connotata da un pregiudizio negativo di fondo nei confronti dei ragazzi nati al tempo delle nuove tecnologie.

In questo saggio, Prensky affronta il significato delle nuove tecnologie nei termini dell’importanza “dell’avere la possibilità”. La possibilità di utilizzarle per migliorare alcuni aspetti della propria vita, per crescere in determinate conoscenze e circostanza, per potenziare la mente e le sue abilità. Si focalizza sulla saggezza digitale, cioè su quali siano gli usi saggi della tecnologia e a quali scopi la tecnologia andrebbe usata per sfruttarne appieno le potenzialità. Elenca una decina di possibilità di applicazione della saggezza digitale, offrendone esempi legati alla nostra quotidianità, al mondo scientifico, alle grandi questioni del pianeta, all’ambito educativo: il capitolo forse più interessante – proprio perché tratta dell’interazione con bambini e ragazzi – è quello dedicato al campo dell’istruzione e dell’insegnamento, dove si considera come il digitale venga e come dovrebbe essere interpretato, ponendo l’accento sulla possibilità di insegnare ai giovani la saggezza digitale.

Come lo stesso autore dice all’inizio della sua trattazione, non vuole convincere della bontà del digitale (non si esime infatti da un capitolo in cui elenca e analizza i rischi che possono derivare da certi usi e interpretazioni), ma cercare di analizzare quale sia l’uso migliore che se ne possa fare e che si possa offrire agli altri, proponendo una prospettiva alternativa con cui trattare l’argomento.

Ricco di riflessioni a partire da spunti pratici e concreti, è un testo che cerca di non porsi in maniera troppo dura nei confronti di chi cerca di tenere lontana la tecnologia digitale, ma di colloquiare in modo aperto anche con queste persone. Il risultato che ne deriva è una buona lettura che può essere spunto di ulteriori riflessioni sulle modalità di azione, ma anche sui dati e su cosa sta succedendo: leggere ad esempio che per essere “saggi” è necessario programmare con almeno un anno di anticipo l’introduzione di qualsiasi tecnologia prima di acquistarla, mi fa pensare ancora una volta a come certi temi stanno entrando nel nostro Paese in ambiti come la scuola…

Si parte dalle piccole cose: prendetevi il piacere, se non volete dedicarvi a tutto il testo, di leggere le venti pagine del quarto capitolo dedicato a intelligenza e stupidità digitale; Prensky analizza ventotto casi di stupidità benigna che diventa ottusità digitale se ripetuta nel tempo – dal non fare il back-up al rendere visibili gli indirizzi mail a tutti i riceventi; dal fare troppo affidamento sulla connettività al rimanere senza batteria – e prendetene nota. Soprattutto quando ricorda che uno degli sbagli più gravi è dare ai figli i propri vecchi strumenti: loro hanno bisogno delle apparecchiature più aggiornate!

Il filo sottile e uniformante che corre lungo tutto il discorso è ancora una volta il modo: fa la differenza il modo di intendere, di approcciarsi, di utilizzare, di condividere, di saper porre dei paletti quando serve, di saper guardare oltre all’occorrenza; di sapere quali possibilità abbiamo e quali sono adatte alle nostre necessità; di avere una giusta misura. Del resto, scriveva Michele Serra ne “Il ragazzo mucca”, esiste una sola parte del corpo veramente seducente ed è il modo di fare.

Il sito di Prensky. Qualche pagina del saggio on line.

Marc Prensky, La mente aumentata. Dai nativi digitali alla saggezza digitale (trad. di Rossella Sardi), Erickson 2013, 262 p., euro 22

Riflessioni digitali (a margine del TOC e della Fiera di Bologna)

2 Apr

tocDopo i giorni di Fiera e i sonni pasquali, raccolgo impressioni, materiali, appunti, incontri, libri, chiacchiere che ho portato a casa da Bologna.

Nell’incontro di lunedì mattina in apertura del Caffè Autori, a fare il punto sulla narrativa dell’ultimo anno insieme a Nicola Galli Laforest, Eros Miari e Anselmo Roveda, ho risposto al “Che serve? Dove andiamo?” dicendo della necessità – a mio avviso – di un inevitabile  e impellente ragionamento sul digitale (tanto più appunto se parliamo di narrazione) e di prodotti che sappiano rispondere alle necessità dei ragazzi nativi che abbiamo davanti, che sappiano convivere con il cartaceo in quella parità di valenza che per i ragazzi sarà la norma e che spesso invece noi operatori del settore tendiamo a dimenticare (importerà il “dentro”, il contenuto, la storia, l’informazione: la loro qualità più che il supporto). Giovanni Nucci, che coordinava l’incontro, l’ha definito “un intervento a gamba tesa” e io ho pensato a come fossi arrivata a quel momento basita dalle riflessioni sulla giornata precedente passata al TOC.

Dove penso bastassero le dita di una persona (le mani, forse appena la necessità di aiutarsi coi piedi) a tenere il conto degli italiani presenti e dove abbiamo visto sfilare sotto i nostri occhi principalmente due tipi di intervento: presentazione di dati o spot del lavoro di case editrici che possono permettersi di lavorare in grande (e forse quelle possibilità potrebbero spenderle non tanto per i brand…). Poi nei vari panel sono sfilati interrogativi come quelli posti da Paolo Canton, l’editore di Topipittori, sulla necessità di trovare un linguaggio comune tra editori e tecnologia; buone pratiche come l’app Una valigia spaziale raccontata da Elena Baldini e nata per i laboratori condotti coi ragazzi della scuola primaria nell’ambito di BergamoScienza dello scorso autunno (a breve disponibile gratuitamente su AppStore); esperienze di editori e produttori come Ardozia, Mindshapes,  Achtoons,

Tra i pochi italiani al TOC, i ragazzi di Apogeo che in questo post sintetizzano la giornata, con una conclusiva notevole nota di ottimismo: “La sensazione che resta addosso è che l’editoria per ragazzi detti l’agenda per tutti, adulti compresi: contenuti prodotti e distribuiti a seconda delle diverse esigenze, centralità dell’esperienza utente, accresciuta consapevolezza sulla concezione e lo sviluppo dei prodotti, lo sguardo lucido di chi sa che non c’è una soluzione buona per tutti”. Ecco, questa sensazione non vale però per il panorama italiano. Se “l’editoria per bambini e ragazzi sta dettando le regole del mercato digitale”, come scrivono qui, (ma davvero?), a che punto sta il mercato italiano?

E la domanda la faccio perché non penso a quello scenario post book in cui le grandi case editrici lavorano per costruire brand in cui immergere il proprio pubblico, fidelizzandolo a un personaggio, a un autore, a una serie che sia presente su tutti i supporti e i canali di comunicazioni possibili. Ma perché penso che tutti siamo interessati ad offrire a bambini e ragazzi non un brand fine a se stesso, ma un prodotto di qualità e, in campo narrativo, una buona storia.

Se la carta vincente è ancora una volta confrontarsi e scambiarsi idee, pareri e paure, allora la formula del TOC non è di certo quello che ci serve per costruire qualcosa di buono: non serve ascoltare grandi spot delle maggiori case editrici attive in campo digitale o continuare a far scorrere i dati di ricerche e sondaggi (per quanto basilari, per quanto necessari, per quanto le uniche parti veramente interessanti del TOC quest’anno); non servono relazioni da un palco; non ha senso che i costi di partecipazione alla giornata siano così elevati per la maggior parte delle tasche di chi (autore, illustratore, operatore del settore, piccolo editore, bibliotecario, libraio, insegnante) può essere interessato agli argomenti: Exhibitor at Bologna Children’s BookFair €349+VAT; Non-exhibitors €399+VAT; Students/Teachers/Librarians/Illustrators €149+VAT. E questi prezzi non giustificano le quattro ottime pause-merenda e il buon lunch… dovrebbero farti tornare a casa con la pancia piena e con la testa brulicante di idee e di curiosità.

Così stamattina ho guardato con notevole entusiasmo alla proposta del Bookcamp jeunesse, organizzato per il prossimo 11 aprile a Parigi da DéclicsKids e Tralalere. Una mezza giornata di confronto e scambio di idee in cui ci si confronta in sessioni che affrontano questi argomenti: creare nuove esperienze di lettura; adattare le  collezioni cartacee; quali strumenti e quali formati per quali opere e quali supporti; come distribuire, diffondere e promuovere l’offerta digitale per i ragazzi; gli usi del digitale a scuola. Viene espressamente detto dagli organizzatori che il Bookcamp non è una conferenza, non è un convegno e neanche una tavola rotonda, ma un momento di confronto a cui tutti sono invitati con idee, domande, esperienze, problemi. Dove al termine della giornata si fa un riassunto delle sessioni parallele in modo che tutti possono avere un’idea generale e dove si possono presentare i propri progetti (in 9 slide e 3 minuti massimo 🙂 )

Il 26 marzo il Bookcamp era già sold out: raggiunto il massimo delle iscrizioni, lista d’attesa per la partecipazione, ipotesi di un prossimo BCJeunesse in Belgio. Il 24 marzo alla sessione plenaria di inizio TOC quanti eravamo nel grande auditorium? 150 persone mal contate? Compresi editori, speakers dei vari panel della giornata, accrediti stampa.

Forse il mio entusiasmo mattutino sarà eccessivo, ma continuo a credere che scambi meno formali e più concreti di idee, problemi, errori, perplessità e buone pratiche (che magari sono per ora solo immaginate o che non riescono a camminare sulle proprie gambe per mancanza di fondi o che cercano una certa professionalità ancora non incontrata) sarebbero e saranno – perché voglio essere ottimista – forieri davvero di concretezza.

Quindi, organizziamo un Bookcamp italiano? 🙂

Giochiamo a capirci

12 Feb

orangepampDa tempo chi scrive questo post blatera anche di app e ebook e, specie in incontri e convegni, dice della necessità che anche il mercato editoriale italiano provi, sperimenti, si lanci in questa avventura cercando la qualità migliore per bambini e ragazzi. Come sempre, quando il campo è nuovo, si sbircia quello che fan gli altri (cioè gli editori esteri), si va per tentativi, si prova. C’è molto da dire, da sondare, da interrogare. C’è di che confrontarsi: penso alle persone che lavorano coi ragazzi, coi libri, sulla promozione della lettura, a chi i libri li pensa, a chi li pubblica e continuo a credere che non ci sia strada migliore di un lavoro comune (almeno nel confrontarsi e nel discutere).

Su una cosa però dobbiamo capirci. Che anche se il nuovo è incerto, le arance non sono pompelmi. Un libro preso e trasferito pari pari – con qualche animazione, con la voce che legge la storia – in versione digitale non è un’app. Ma è il rossetto sul maiale che anche Valeria Baudo ci ricordava qui in occasione di una veloce ricognizione di un anno fa. Si continua a vederne diversi esempi, non ultimo il prodotto digitale tratto dalla versione cartacea del libro “La maestra è un capitano” scritto da Antonio Ferrara per Coccole Books. Le illustrazioni di Anna Laura Cantone occhieggiano dal tablet; posso scegliere di ascoltare la voce di Elisa Mazzoli che mi legge la storia o leggermela da solo; ma non basta la possibilità di fare un disegno a fare di questa storia altro che il passaggio in digitale dell’esatta versione cartacea. Che può essere valida quanto si vuole, che può riproporre in altro formato in testo che piace ai bambini, ma che non è un’app.

Intanto Timbuktu dà la possibilità di leggere per la prima volta in italiano una delle storie proposte e crea l’app dedicata allo Schiaccianoci: la veste grafica è come sempre elegantissima (le illustrazioni sono in questo caso di Philip Giordano); non c’è nessuno che ti racconti la storia e questa è una  scelta voluta perché segue l’idea che l’app vada condivisa insieme tra bambino e adulto; forse verrebbe da chiedere ancora più musica originale rispetto a quanta già inserita. Eppure, mentre scorro le istruzioni di come interagire con la storia mi chiedo: “Se senti il bisogno di indicare al lettore cosa bisogna fare, forse allora non è tutto così intuitivo”. Forse certe interazioni sono davvero poi funzionali alla storia, come si chiedeva su Ottimomassimo Deborah Soria a proposito di un’altra app splendida disegnata da Oliver Jeffers?

“Non tutto deve diventare per forza ebook” ha scritto Valentina Colombo in un post  che dice anche di come il catalogo di un editore possa abbracciare un altro formato, ma non tutto, ma non per forza. Riflessione suffragata da quella di Giovanna Zoboli dove si parla dell’obiettivo di “creare testi, nel senso proprio in cui Dallari li descrive: supporti che stimolino una pratica di lettura attiva e sviluppino le abilità narrative dei lettori. Oggetti pensati, cioè, per far crescere capacità testuali complesse e strutturate, capaci di formare il pensiero e di creare orizzonti di significato originali” (il testo di Dallari a cui si fa riferimento è “Testi in testa”, Erickson 2012).

Curiosa di vedere cosa ci riserverà questo anno nel digitale per ragazzi, penso sia alle riflessioni degli editori rispetto al loro catalogo, sia al progettare testi e narrazioni nativamente in digitale. Prossimamente vi parlerò di un e-book per ragazzi testato con la partecipazione degli stessi giovani lettori. Un’altra strada, sicuramente da tenere d’occhio.

Bookboard alla prova

4 Feb
bookboardA novembre 2012 ho cominciato a testare Bookboard, progetto nato per sviluppare l’amore per la lettura ai tempi del digitale e per farne un’abitudine condivisa tra bambini e ragazzi e adulti.
Si scarica come un’applicazione su tablet (sull’iPad, per ora), dietro una semplice registrazione da parte dell’adulto che può creare un profilo per ogni bambino, ciascuno dei quali sarà corredato da una scheda che misura l’altezza del lettore – cioè il numero di libri che ha letto – paragonandola a quella di un T-Rex; indica il tempo che ha impiegato confrontandolo con quanta tv avrebbe guardato nello stesso periodo; segnala il numero di pagine lette e quanti libri sono stati guadagnati. Infatti alla base della lettura dei bambini c’è anche un minimo meccanismo di sfida e di gioco: ogni tot libri letti, il programma ne libera uno a sua scelta che esce da un forziere del tesoro e si aggiunge alla collezione del singolo.
Ogni libro è accompagnato da una breve scheda e taggato per categoria e parole chiave (tra le quali è possibile la scelta, effettuabile anche facendo scorrere le copertine sullo schermo) e si può scegliere di attribuirgli una stellina per inserirlo nell’elenco dei preferiti.
Per testare l’applicazione mi sono registrata; ho creato – per ora – due profili di bambini di età diversa che il sistema mi ha attribuito come figli (è dato per scontato che chi usa l’applicazione insieme ai bambini sia per forza un loro genitore) e ho scelto, sfogliato, analizzato, un po’ da sola, un po’ coinvolgendo nipoti vari per saggiare le funzionalità e le proposte.
I testi a disposizione sono al momento circa 300 e sono tutti in inglese, alcuni esistenti in cartaceo, altri nativi; per ora il sistema permette solo di aumentare la grandezza del carattere del testo e non di intervenire sulle pagine o sulle singole immagini, ma è appunto un work in progress; inoltre periodicamente il sistema invia mail coi progressi di lettura e le osservazione sui testi scelti dai singoli bambini (e con molta enfasi vi invita a celebrare via Twitter, Facebook e Pinterest i successi di lettura dei bambini!).
Come in biblioteca e in libreria, vi si trovano testi di alta qualità (alcuni che meriterebbero davvero di essere tradotti in italiano), altri dove soprattutto le scelte grafiche lasciano a desiderare, esattamente come capita per il cartaceo e ci ritrovo anche certi interrogativi sulle serie pensate con l’intento “ti risolvo il problema” dove gli stessi personaggi si trovano di volta in volta ad affrontare la litigata tra amici o qualche altro impiccio. Le proposte sono anche a tema: a fine novembre, ad esempio, hanno cominciato ad apparire albi e racconti a tema natalizio, adesso è il momento di animali e natura (sarà l’arrivo della primavera?!?).
Mi sembra un’ottima opportunità per la lettura su tablet e, se queste sono le premesse, immagino che gli sviluppi futuri daranno risultati ancora migliori. Anche se quando nella descrizione dei suoi autori Bookboard viene presento dicendo che “la lettura non dovrebbe avere limiti. Il potenziale di lettura del vostro bambino non dovrebbe essere limitato dal numero di libri sullo scaffale”, a me viene comunque in mente che nessuna applicazione ad essa simile offrirà mai le possibilità di una biblioteca 🙂
Sorprese:
alcuni albi che vorrei vedere tradotti e pubblicati anche in italiano: come Alphabetter di Dan Bar-el e Graham Rose, Orca Book; Today, Maybe di Dominique Demers e Gabrielle Grimard, sempre Orca Books (Dominique et Compagnie l’originale francese) e soprattutto Winter Trees di Carole Gerber e Leslie Evans, Charlesbridge: una vera meraviglia.
Ecco il video che illustra Bookboard. E il blog relativo.

2BX. Essere un’incognita

23 Gen

2bxUna storia che parte bene e poi un poco si perde, che per certi versi pare forse esagerata, che però dà un buon ritratto di una rappresentante della generazione dei nativi digitali. Infatti Tessa, la protagonista quindicenne, è una ragazza sempre connessa, tramite il suo computer e il suo iPhone, ma in realtà non vede l’ora di possedere un iPad.

“Pensa a cosa caricherebbe sull’iPad. Crea una nuova cartella, la chiama My iPad e comincia a riempirla: gli album di Jovanotti, Tiziano Ferro e Fabri Fibra, le foto della vacanza ad Alghero e quelle di classe. Si ferma. Sai le cose che ci potrebbe mettere, tutti i fumetti esistenti sulla faccia della Terra, i numeri di Girls, la trilogia di Stieg Larsson e poi telefonerebbe gratis con Viber, leggerebbe la posta anche a scuola, durante le lezioni più noiose, navigherebbe su Facebook, potrebbe perfino fare i compiti o scrivere il suo diario segreto, così – sogna – leggera, al bar, in piscina, al parco delle mimose, libera, senza fili, senza abbonamenti, senza costi da pagare, perché lei sa già quali applicazioni si scaricherebbe, sono tutte gratuite e le basterebbe succhiare un wireless da qualche parte” (p. 16)

Quindi Tessa non esita a barare sull’età e ad iscriversi a un concorso on line dove il premio in palio è proprio un iPad: è una caccia al tesoro virtuale dove le squadre sono formate in base al punteggio d’ingresso e le cui prove vengono comunicate via web, organizzata da 2BX che dice di credere nelle potenzialità del digitale e di voler aumentare le possibilità di interconnessione diretta e umana tra le persone. Tessa fa squadra con Kappa, una ragazza di vent’anni che si trova in qualche modo a proteggere e insieme ad accompagnare nel mondo quella ragazzina presa dal gioco, e con Yo, di cui ammira i graffiti sui muri della città e con cui scopre di condividere interessi e passioni, fino ad innamorarsene. Ma Yo non si fa mai trovare: non si presenta ai vari appuntamenti, ha mille scuse, ha una storia complicata.

Intorno la vita di Tessa: i suoi genitori, il fratello maggiore, l’amica Patrizia con cui – a seconda dei momenti – litiga o condivide tutto, Matteo che si interessa a lei, un professore sospeso perché fa leggere in classe il Satyricon di Petronio e i suoi studenti che organizzano un flash mob a suo sostegno. E i sogni, le paure, le bugie di una ragazzina che sta crescendo, infagottata in vestiti di taglie troppo grandi che nascondono chi è davvero fino a quando piano piano lo  scopre.

Romanzo nato probabilmente per parlare di potenzialità e rischi della rete, è in realtà – come detto – un bel ritratto di una generazione che si dà appuntamento tramite WhatsApp, che organizza dei Reverse Shoplifting e dei flash mob, che scarica i sottotitoli dell’ultima puntata di Dexter, che  crea eventi su Facebook, che si bombarda di sms, che organizza feste, che condivide musica emozioni viaggi, che ha bisogno di essere ascoltata, che sa stare con gli altri anche al di fuori della rete virtuale. Un romanzo che dovrebbero leggere tutti gli adulti che hanno a che fare con questi ragazzi, andando al di là della storia, e osservando invece i caratteri, i pensieri, i modi di essere.

Il sito dell’autrice.

Eugenia Romanelli, 2BX. Essere un’incognita, De Agostini 2012, 301 p., euro 9,90.

Prima del Futuro

19 Giu


E’ il “lontano” 1996, anno in cui si sciolgono i Take That e i Ramones fanno il loro ultimo concerto. Anno in cui internet inizia a viaggiare sui modem a 56k, con il loro borbottio di connessione e una velocità che oggi non saremmo più disposti a tollerare. In questo periodo avere una mail e chattare sembra essere già avanti nel futuro, cosa succederebbe se si potesse accedere davvero al futuro, magari sbirciare le pagine di Facebook 16 anni avanti?

Il padre di Emma le regala un pc e il suo amico e vicino di casa Josh le porta un cd per connettersi ad AmericaOnLine. Solo che dopo il primo collegamento succede qualcosa di strano ed Emma si ritrova davanti la pagina di un sito che non ha mai visto. C’è una scritta bianca su fondo blu ,”Facebook”, e ci sono foto di tante persone accompagnate da frasi  del tipo “Che figata New York. Ho già mangiato due muffin nella pasticceria più buona della città” oppure “Sono appena passata attraverso una ragnatela e non me la sono fatta sotto. Urrà urrà!”. C’è anche la foto di una persona che si chiama come lei, solo con un cognome in più, come se fosse sposata, ed ha circa trentanni…

Josh ed Emma si ritrovano così di fronte ad uno schermo sul loro futuro e capiscono in fretta che possono modificarlo, anche solo con piccolissime azioni o addirittura pensieri.

Un romanzo per nativi digitali, scritto da  immigrati digitali, che riesce a parlare sia agli uni che agli altri, che ci ricorda che il futuro è sempre con noi e siamo noi a stabilire come potrà o non potrà essere. Tutto è importante, ogni piccola azione determina una reazione e ci cambia, cambia il nostro futuro.

Jay Asher, Carolyn Mackler, Prima del Futuro (trad. M. Rossari), Giunti, 2012, pp.399, € 12