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La povera gente

5 Ott

la-povera-gente-9788832070149L’albo che segna l’esordio editoriale dell’illustratrice Chiara Ficarelli incanta: la profondità del buio, il modo che la luce ha di illuminare rughe e pieghe, impreziosiscono sicuramente il testo di Lev Tolstoj che condensa in poche righe, senza alcuna volontà di insegnamento o di moraleggiamenti, il concetto quanto mai attuale di solidarietà.

Jeanne è la moglie di un pescatore che attende il suo ritorno; ha riempito le ore con i gesti quotidiani, ma quando è sceso il buio e con lui la tempesta ha cominciato a temere il peggio. Teme la miseria per lei e per i bambini, se rimanesse vedova, ma teme soprattutto lo spezzarsi del loro legame e la perdita del reciproco amore. L’angoscia per la sorte di Paul le richiama alla mente (o forse potremo dire, non cancella il pensiero per) la vicina ammalata che però trova morta; si fa carico allora dei due bambini e li porta a casa, col pensiero costante della reazione del marito a quel suo gesto immediato e spontaneo.

Come già detto è la luce a sottolineare tutto, a dare voce anche a quel che non è detto: una finestra illuminata nella notte, una candela che rivela, il calore del camino, l’alba su tutto.

Lev Tolstoj – ill. Chiara Ficarelli, La povera gente (trad. di Igor Sibaldi), Orecchio Acerbo 2019, 36 p., euro 15

Il piccolo pescatore e lo scheletro

26 Apr

Dopo la morte del padre, il giovane pescatore Tong continua a pescare; esce in barca anche con condizioni meteo non troppo favorevoli, nonostante ricordi le raccomandazioni del genitore. Quando sente la lenza tirare, poco importa che lo onde si siano fatte enormi e rischino di inghiottirlo; probabilmente è il pesce più grosso mai pescato. Quale sorpresa e quale spavento quando vede che attaccato all’amo c’è uno scheletro che, nonostante cerchi di farlo cadere in acqua, rimane attaccato all’imbarcazione fino a riva. Tong sviene e lo scheletro se ne prende cura; a sua volta il bambino farà lo stesso vedendolo tremante e affamato in un angolo dela capanna: un prendersi cura reciproco che ridona vita, riportando la forma umana, in una sorta di rinascita.

Le illustrazioni sono, come sempre per questo autore, estremamente vive e coinvolgenti: le onde nella tempesta sembrano schizzare dalla pagina e al lettore parrà di sentire il ghigno dello scheletro e l’iniziale paura del protaognista. Una narrazione di iniziazione, carica di nero rotto dai colori tenui della coperta e dal calore del fuoco; una narrazione che parla del dualismo che le cose che contengono, della vita e della morte che tocca le esistenze, come delle risorse che possediamo – i bambini innanzitutto – per ridare vita, per rendere umane le situazioni, per addomesticare quel che succede e fare pace con le tempeste.

Chen Jiang Hong, Il piccolo pescatore e lo scheletro (trad. di Sara Saorin), Camelozampa 2019, 48 p., euro 18

Lena, Trille e il mare

6 Dic

Tornano i protagonisti di Cuori di waffel, SuperPremio Andersen 2015; sono cresciuti, hanno ormai dodici anni, ma li riconosciamo subito: Trille, che racconta al lettore, e Lena, impulsiva, combattiva, con la risposta sempre pronta. Sono cresciuti sì, alcune cose stanno cambiando e anche la loro amicizia viene messa alla prova, visto che essere in tre non è esattamente come essere in due. Arriva infatti una nuova compagna di scuola che si è trasferita nel fiordo dall’Olanda per un anno. Si chiama Birgitte e Trille un po’ se ne innamora, mentre pare che Lena non la sopporti. Del resto, Lena è strana: pesta sulle tastiere ancora più forte per indicare il suo disappunto verso la madre che continua a mandarla a lezione di musica e si riempie di lividi e graffi agli allenamenti della squadra di calcio dove però, dopo il cambio di allenatore e malgrado la sua bravura, non sta più in porta. Lena rumina e avanza a testa bassa; Trille tenta ogni traiettoria per incontrare Birgitte senza capacitarsi di come lei possa ridere in compagnia di Kay-Tommy e un po’ si scoccia quando vede il nonno e Lena insieme tramare un segreto.

Con la solita arguzia, con la capacità di andare in profondità rimanendo leggera, Maria Parr parla in questo libro non solo di quanto sia complicato crescere e coltivare negli anni un legame saldo, ma soprattutto di quanto sia difficile essere se stessi se gli altri vorrebbero importi qualcosa che non ti appartiene e sembra che quel che è importante per te non lo sia per nessun altro. Lena è esagerata nelle reazioni, nell’entusiasmo, nel prendere l’iniziativa, nell’infilarsi letteralmente nell’occhio del ciclone pur di avere una buona scorta di cioccolato, ma sa anche quando è necessario essere estremi nelle reazioni per essere presa in considerazione.

La storia si dipana lungo un anno, da estate a estate, in quattro capitoli che seguono il ritmo delle stagioni, con la scuola, lo sport, il ribes da raccogliere, il saggio di fine anno, il tempo per qualche sgridata e per un’impresa eroica per salvare il nonno. C’è anche spazio per una bella pagina in cui Trille racconta quanto sia normale mangiare gli animali a cui si è voluto bene: viene proprio dal Nord questo libro sincero e gaudente!

Quel che difetta forse è la copertina, apprezzabile dai più piccoli mentre il romanzo offre spunti interessanti anche per i lettori di 11-12 anni. Rispetto a “Cuori di waffel”, cambia la traduttrice: da sottolineare quindi il lavoro fatto a questo giro per mantenere una fluidità d’insieme, rispettosa dei lettori che hanno amato il precedente romanzo anche per la scrittura, per le espressioni di Lena, per la poesia di alcune riflessioni di Trille.

L’illustrazione di copertina è di Åshild Irgens.

Maria Parr, Lena, Trille e il mare (trad. di Lucia Barni), Beisler 2017, 256 p., euro 14

La signora degli abissi

23 Mag

Per la collana “Donne nella scienza” ecco un suggestivo racconto che presenta la figura di Sylvia Earle, oceanografa di fama mondiale che racconta la sua vita: come abbia amato fin da bambina la natura, il mare in particolare, e come abbia nutrito negli anni la sua curiosità iniziale facendola diventare una vera e propria passione. la felice scelta di Carminati di far parlare in prima persona Sylvia, che si rivolge al lettore come se gli stesse seduto davanti, accompagnata dalle tavole di Mariachiara Di Giorgio fa sì che il libro risulti davvero prossimo e si faccia leggere facilmente fino alla fine, dove è riportata un’altrettanto godibile intervista alla scienziata che racconta del suo progetto Mission Blue e di come abbia potuto realizzarlo grazie alla vincita del premio TED nel 2009 (qui il discorso che presentò per il premio).

Sylvia racconta di sé bambina, della fortuna di vivere in una fattoria del New Jersey a contatto con la natura, che studiava e osservava, e dell’eguale fortuna di aver trovato l’oceano davanti a casa quando i suoi genitori decisero di trasferirsi. Racconta degli studi, delle scoperte, degli entusiasmi per le nuove possibilità, ma anche delle difficoltà e degli scoraggiamenti, a volte dovuti al fatto di essere una donna, vittima degli stereotipi nel mondo accademico e scientifico. Il romanzo ricostruisce una vita dedicata all’oceanografia e anche alla sperimentazione di nuovi metodi, macchinari e possibilità: il lettore segue anche gli sviluppi di una scienza nel corso del secondo Novecento e vede come l’aguzzo di ingegno di qualcuno e le intuizioni abbiano potuto rendere possibile camminare in fondo ad un oceano, viverci addirittura per settimane, aprire possibilità fino a poco prima inimmaginabili.

Il libro, vista anche la collana in cui è inserito, mira a dare corpo all’idea che non esistono differenze di genere nell’intraprendere una carriera scientifica; in realtà mi pare – e lo noto con molto piacere – che più che la possibilità di una donna di intraprendere certi studi, quello che emerge sia la forza della passione di Sylvia e come sia stata determinata la modalità in cui i suoi genitori l’hanno cresciuta, assecondando le sue spedizioni all’aria aperta, permettendole di stare sotto la pioggia, di passare le ore appesa a un albero, di portare in casa barattoli di vetro pieni di insetti e bestiole varie. Quello che si respira principalmente è che i genitori dei ragazzi Earle hanno dato loro fiducia, concedendo una vita libera nel rispetto delle regole civili, interessandosi e condividendo le loro passioni, sostenendoli senza giudicare, caratteristiche che Sylvia ha poi trovato in molte delle persone che l’hanno accompagnata nella vita. E questo mi pare conti, nel racconto di questa esperienza, ancora più della questione delle differenze di genere: fin da bambina, Sylvia era considerata un’interlocutrice valida, un’appassionata, una curiosa dove “curiosità” ha il significato migliore e più positivo del caso.

Il sito dell’autrice. Il blog dell’illustratrice.

Chiara Carminati – ill. Mariachiara Di Giorgio, La signora degli abissi. Sylvia Earle si racconta, Editoriale Scienza 2017, 118 p., euro 12,90

Libri per fare, libri per giocare

5 Ago

Nella postfazione di un libro di parecchi anni fa (Enrico Ferri, Giulia Ricci, Come si fa a giocare, Editori Riuniti, 1982; in qualche biblioteca è ancora reperibile) Mario Lodi racconta i suoi giochi di bambino, del tempo passato a sperimentare, progettare, costruire, adattare materiali di recupero per costruirsi giocattoli o creare nuovi oggetti. Esperienze che poi continuerà a rielaborate nella sua vita di maestro, nella Casa delle arti e del gioco e in altre attività educative. È, quello di Lodi, un racconto affascinante e rivelatore, come del resto tutti i diari delle sue attività, del nesso profondo che c’è tra fare e imparare. I tempi oggi sono profondamente cambiati dal tempo dell’infanzia di Mario Lodi, i bambini vivono in ambienti per certi versi più asfittici, sotto assedio di giocattoli e oggetti, deprivati del loro tempo e di spazi, d’altra parte per loro si aprono altre nuove forme di esplorazione del mondo. Noi e loro abbiamo bisogno di spazi e tecnologie pubbliche per apprendere come funzionano e si utilizzano i nuovi strumenti che possono trasformare i modelli digitali in oggetti fisici, ma parallelamente è necessario tenere aperto il canale di un’abilità manuale che si serve di strumenti tradizionali; di un’abilità da costruire e allenare con pazienza già da piccolissimi, pasticciando e saggiando materiali diversi per scoprire la loro duttilità o la loro resistenza, assemblarli o scomporli per dare continuamente vita a forme diverse. Pian piano si potrà scoprire come mani e pensiero si rincorrono. Quindi, insieme ai bambini esploriamo il mondo con le mani, anch’esse sono strumenti del pensare. Per farlo abbiamo pensato di segnare una nostra pista tra alcuni titoli di libri che negli ultimi tempi ci hanno particolarmente colpito per l’originalità delle proposte, per le modalità di presentazione delle procedure di realizzazione dei lavori che propongono, perché contagiosi nel trasmettere l’entusiasmo di mettere in attività le mani.
il ragazzo che trasformava le coseAnche se non suggerisce direttamente lavori manuali, è un contributo illuminante, per una riflessione sul fare, la lettura del libro di Sabina Colloredo con le illustrazioni di Gianni De Conno Il ragazzo che trasformava le cose (Carthusia 2014, euro 12,90), pubblicato in occasione dei 60 anni del Premio Compasso d’oro e per raccontare ai più piccoli la professione del designer. Cominciare dal cambiare sempre punto di vista – magari provare anche a guardare il mondo a testa in giù – per avviarsi in un viaggio dentro le cose, assorbire la loro forma e il loro senso, cambiarle e inventarne di nuove, come in fondo fa un designer, rappresenta la dimensione ideale nella quale abitare per avviare anche una trasformazione profonda: trasformarsi da consumatori di cose in creatori di cose.
Entusiasmo già nel titolo in Lo faccio io! Lavoretti per bambini e idee creative per ogni occasione di Anna Alfonsi, illustrazioni di Francesca Rossi (Lapis, 2013, euro 14,90), manuale coloratissimo di piccoli lavori per ogni occasione, spiegati chiaramente in tutte le fasi di realizzazione con l’aiuto di illustrazioni. Continua a leggere

La zattera

4 Lug

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Oggi, che è arrivata l’estate, si parte per il mare. Tre amici, una piccola auto e la spiaggia lì a due passi. Serpeggia entusiasmo ma anche una certa impazienza. Poi, la prima delusione. L’amico autista ha dimenticato di caricare asciugamani, costumi, palette, secchielli, il pallone, il salvagente. Al mare senza giochi e vestiti, tanto vale tornare a casa. Si tenta con una magia, ma non succede nulla.

E per di più si è alzata la marea, quindi niente bagno. Non si può fare un castello di sabbia per via delle onde. Non si può fare niente! In cielo si alternano nuvole e sole ed è tangibile la malinconia. Tutti sono delusi. Ma uno dei tre amici, l’orso Michao, scrutando l’orizzonte decide di costruire una zattera. Gli altri lo aiutano, portando alghe e legnetti. Il delicato lavoro di assemblaggio ha inizio. La volpe narratrice e l’orso si occupano della zattera e la capra Margherita si avventura tra le onde per raccogliere conchiglie. Un gabbiano vola nel cielo. Terminata la zattera e posate sopra le conchiglie, i tre amici entrano in acqua e la abbandonano tra le onde, accompagnandola con un gesto affettuoso e con l’immaginazione. Si soffermano a scrutare l’orizzonte per un attimo e poi tornano a casa, incamminandosi tra dune e canneti.

Sembra un paesaggio bretone e il mare è certamente un oceano. Non ci sono ombrelloni e folle di gente.

Una lettura per l’estate o per tutte le stagioni? Credo che i bambini ameranno questo libro sempre. Per le sue illustrazioni e per i molti spunti di riflessione. Perché potranno ritrovare quel sentimento di delusione che da bambini ci provoca il mare col brutto tempo, la tristezza di una spiaggia vuota. Bambini che abbiamo abituato a volere, quasi a pretendere, la perfezione vacanziera, scopriranno (o troveranno conferma) che gli imprevisti tengono in allenamento la fantasia, ci portano ad essere creativi e a cogliere la meraviglia nelle cose più semplici.

Olivier de Solminihac – ill. Stéphane Poulin, La zattera (trad. Paolo Cesari), Orecchio Acerbo 2015, 28 p., euro 13,90

Le avventure di Charlotte Doyle

23 Apr

charlotte doyleSì, è vero: non a tutte le tredicenni capita di esser accusate di omicidio, subire un processo e vedersi riconosciute colpevoli. Fin dall’incipit, Charlotte Doyle – che narra in prima persona – mette in chiaro quel che il lettore incontrerà lungo la sua storia. Siamo nel 1832 e la ragazzina viene imbarcata , finiti gli studi, per raggiungere dall’Inghilterra gli Stati Uniti, dove la famiglia è tornata a vivere. Ma non tutto va come deve: unica passeggera, unica donna a bordo, si trova  a condividere tempo e spazio con una ciurma che non aspetta che di ribellarsi al capitano, prepotente e crudele come si rivelerà davvero a dispetto delle prime impressioni. Charlotte scopre sulla sua pelle di dover decidere da che parte stare e di doversi adattare alla vita di bordo, diventando un marinaio che arrampica per badare alle vele e cammina scalzo sul legno. A bordo impara a anche a conoscere l’umanità varia rappresentata dai marinai: scaltrezza, inganno, scelte di vita, non detto. L’amicizia con Zachariah, anziano marinaio dalla pelle scura che sostiene di avere molto in comune con lei, le varrà gli insegnamenti di vita che peseranno nelle scelte future.

Il libro è magistralmente tradotto nella terminologia adatta alla situazione (in un’appendice finale il lettore trova indicazioni su come è fatto un brigantino, come si chiamano le varie parti e su come si svolge la vita a bordo) e al tempo; una lettura affascinante come punto di vista sulle scelte, sulle differenze di genere, sulla capacità di adattarsi e di rivelarsi per come si è. Piacerà ai lettori che cercano storie non scontate e personaggi un po’ fuori dalle righe. Del resto, questo non è che una sorta di anteprima che lascia libero sfogo alla fantasia di chi legge: Charlotte racconta in prima persona e si capisce che molti anni sono trascorsi dalla sua avventura; è naturale quindi interrogarsi su dove sia, cosa abbia fatto nel frattempo, cosa le abbiano riservato il vento e le correnti marine…

Il sito dell’autore.

Avi, Le avventure di Charlotte Doyle (trad. di Giuseppe Iacobaci), Il Castoro 2015, 261 p., euro 14,50