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Hai la mia parola

15 Apr

HAI-LA-MIA-PAROLANon è mai semplice scrivere di un libro che ti cattura, ti avvolge e ti lascia senza parole perché bastano quelle delle sue pagine. Comincio allora col dire che, in questo nuovo romanzo per Sinnos, Patrizia Rinaldi tesse una trama di storia e un ordito di riferimenti, più o meno velati, che agli occhi di alcuni lettori saranno preziosi: è diviso in tre parti (tre cantiche?!), ciascuna delle quali ha ventuno capitoli contrassegnati dalle ventun lettere dell’alfabeto italiano e da una parola che inizia con esse; ci sono dentro le fiabe, quelle popolari, quelle che ciascuno conosce, quelle di Basile, dei Grimm; ci sono rimandi, citazioni ed inserti.

Ai più basterà comunque la trama, che ficca i piedi in un tempo lontano – la Sardegna di visconti,briganti e abati – e parla del sempre: del cammino che ciascuno deve fare per trovare se stesso,  del coraggio, dell’intraprendenza e della solidarietà che servono, del dolore e delle difficoltà che talvolta occorre attraversare per posarsi liberi su un’altra riva, a godere di una quotidiana felicità.

Come in ogni fiaba che si rispetti c’è una matrigna che odia le malefiglie, un padre che vede la possibilità di riscatto sociale nella bellezza di una delle due, un magico gatto selvatico, un potente terribile che pensa di poter avere tutto ciò che desidera, una donna forte e indipendente (la monaca di un vicino monastero), un destino che condanna, una fuga, una serie di incontri imprevisti che sospingono verso il finale a suo modo salvifico. 

Ci sono innanzitutto due sorelle legatissime, la bella Mariagabriela e Nera la zoppa che pascolano le capre del padre fino al giorno in cui il visconte che domina il borgo in cui vivono si accorge della bellezza di MariaGabriela e la vuole come serva perché gli dia i figli che non riesce ad avere dalle mogli che muoiono in successione: la ragazza, venduta dal padre come una merce, si piega al destino e alle punizioni che le toccano, ma la sorella – indomita e ribelle – sceglie di ritrovarla quando le viene detto che è fuggita da palazzo. Nera è forgiata dal disprezzo di molti verso la malformazione del suo piede e dalla fiducia che una monaca a riposto in lei insegnandole a leggere; ha la testa piena di storie e possiede l’arte del narrare: tutto ciò l’ha assolta dai limiti e le ha dato la libertà di essere. Accompagnata da una capretta e da un amico altrettanto fedeli, parte alla ricerca della sorella, tessendo una storia piena di speranza che tenere viva la possibilità di tornare davvero a essere – da due – una.

Come ogni fiaba, il romanzo porta in sé la capacità di parlare di molto: innanzitutto il potere delle parole, delle storie, dell’arte di narrare;  la forza che viene dalla lettura; poi l’importanza dei maestri, quelli che ti insegnano cose e quelli che ti mostrano cammini, e ancora il rapporto genitori-figli, siano essi veri o adottivi o scelti, che la vita ti pone accanto e che riconosci in un legame forte.

L’illustrazione di copertina è di Paolo Domeniconi.

Patrizia Rinaldi, Hai la mia parola, Sinnos 2019, 217 p., euro 14

La guerra di Ada

15 Mag

Ada ha dieci anni, ma non lo sa, esattamente come non sa che le stagioni cambiano e colorano diversamente le foglie degli alberi, che ci sono prati pieni di erba, che il mondo è grande. Ada è nata con un piede equino ed è la vergogna della sua mamma, come le ripete costantemente la donna, che non perde occasione per bollara come rifiuto e scarto e per tenerla segregata in casa, sovente addirittura chiusa in uno stipetto per punizione. Quando il fratellino viene fatto partire coi treni speciali che portano in campagna i bambini di Londra per sottrarli ai possibili bombardamenti tedeschi – siamo agli inizi della Seconda Guerra Mondiale – Ada si trascina di nascosto alla stazione e parte con lui verso il Kent. Lo stupore per un mondo sconosciuto fa da bilancia al dolore del camminare (Ada è abituata a strisciare per spostarsi) e …. di non essere scelti da nessuna famiglia del villaggio; saranno affidati a una donna anziana che vive in una grande casa e pare triste. L’ultima cosa che Susan vorrebbe è avere due orfani di cui occuparsi; sta ancora piangendo la perdita della donna con cui ha vissuto e quei due ragazzini sono malmessi, denutriti e così diversi da lei, abituati a essere picchiati e insultati. La donna accetta di prendersene cura e l’addomesticamento reciproco e quello a una vita normale per i ragazzi passano anche attraverso il rapporto tra Ada e un vecchio pony che diventa il suo tramite per aprirsi al mondo.

Kimberly Brubaker Bradley costruisce una storia che non cade mai nel patetico o nello stereotipo, arrivando a ben illustrare sulla pagina i sentimenti dei protagonisti: la tristezza e la risolutezza di Susan, una donna che ha frequentato l’università e ha fatto scelte di vita non gradite alla famiglia d’orgine; la fatica di Ada, che combatte con i fantasmi del passato, che scopre che il suo piede si sarebbe potuto aggiustare da neonata mentre è evidente che sua madre non l’ha mai voluta curare, che non accetta che qualcuno le voglia bene e la consideri per quello che è; la rabbia cieca della madre, che non voleva quei figli e che trasforma il suo risentimento in cattiveria e violenza. Poi c’è la guerra, il razionamento, il campo di aviazione vicino a casa, le bombe, i soldati feriti. Eppure in questo romanzo aleggia una grazia costante, dovuta alle immagini prese dalla natura, alla descrizione dei legami che nascono, al quotidiano. Ada imparerà a farsi valere e a sottolineare come il suo piede malato sia ben lontano dal cervello, a essere imperiosa come Susan quando raddrizza le spalle. Già, “imperiosa”: questa storia è sostenuta da una traduzione che regala parole preziose, che magari il lettore non usa abitualmente e che potranno arricchire il suo lessico.

Kimberly Brubaker Bradley, La guerra di Ada (trad. d Maurizio Bartocci), Piemme 2019, 300 p., euro 14

I racconti del vicoletto

12 Ago

Yu’er passa le sue giornate in compagnia del nonno, un anziano portalettere in pensione. Vivono in un vecchio, modesto quartiere di Pechino, in una stradina dove tutti si conoscono, dove si gioca per strada, si chiacchiera, si condividono i problemi del vicinato. La ragazzina fatica a camminare, si muove con una stampella e i ragazzi del quartiere la chiamano “la storpia”: il suo sogno è di imparare a nuotare tanto bene da vincere una medaglia alle paralimpiadi e così il nonno – siccome nessuna piscina la accetta – diventa il suo allenatore e le insegna i movimenti e la leggerezza del nuoto tenendola sospesa con l’imbrago ad un albero nel cortile di casa. E Yu’er nuota e vola con le proprie ali perché il suo sogno è forte; i sogni sono necessari, come dice un altro nonno del vicolo al nipote: “Ragazzo, se non hai dei sogni, un giorno te ne pentirai”.

Così sono questi quattro racconti, sospesi tra la realtà e il sogno, una forma a cui perfettamente si accorda la leggerezza dell’acquerello che aiuta l’autore a dire che tutto è possibile. Sulle pagine diventa possibile scrivere una lettera alla nonna mai conosciuta e fargliela recapitare, superare le delusioni e i limiti fisici, ascoltare un concerto tenuto da insetti, far volare una farfalla dall’ala spezzata. C’è poesia tra le pagine, legate dalla figura del nonno Doubao, conosciuto da tutti come un gran narratore di storie e conoscitore della storia del quartiere. Una poesia lieve quanto le illustrazioni che regala al lettore un tesoro, come sta scritto in apertura: se l’ideogramma “Bao” in cinese significa appunto “tesoro” ecco allora che questo libro fa parte della collana che la casa editrice milanese dedica ai migliori testi del fumetto cinese contemporaneo. I lettori ringraziano.

Nie Jun, I racconti del vicoletto (trad. di Francesco Savino), Bao publishing 2017, 127 p., euro 18

Il sole fra le dita

18 Lug

il sole fra le ditaSecondo me, per leggere questo libro dovete superare qualche stereotipo, tipo che i romanzi che hanno un forte argomento al centro poi suonino un po’ falsi, e succede talvolta. Dovete pertanto fare quel che fa il suo protagonista, Dario che a sedici anni, dopo l’ennesimo guaio a scuola, si ritrova assegnato al servizio assistenza studenti disabili: dovete andare avanti e considerare la situazione senza il pregiudizio di partenza.

Dario ci ricorda nelle pagine iniziali Angelo, il protagonista di “Ero cattivo” di Antonio Ferrara (sempre San Paolo), e ci dice la sua rabbia verso il mondo: il padre ha lasciato la famiglia e il ragazzo non ha più notizie da nove anni se non qualche cartolina, lui pensa che tutto vada da schifo e il gesto ribelle, eclatante, è lì dietro l’angolo: quando la rabbia si mescola all’insofferenza per come Andrea, in sedia a rotelle, con il suo sguardo rovesciato, viene trattato, ci vuol niente a trasformare l’uscita da scuola alla ricerca di un po’ di sole in una fuga. Il treno, la spiaggia, il vagare tra le strade di campagna verso il paese dove dovrebbe vivere il padre è da un lato la necessità di vedere coi propri occhi una realtà che non si vuole affrontare, dall’altra la costruzione di un’amicizia che segna reciprocamente i due ragazzi, creando un rapporto forte in cui si trattano da pari, cercando – ciascuno a proprio modo – di avere cura dell’altro, con rispetto ed ironia.

È un libro onesto, questo romanzo, dice di come la gente guardi con occhi pieni di pregiudizi; dice le parole, i modi, le etichette che feriscono e fanno male; dice il nero e l’apatia in cui puoi finire dopo la rabbia e molti adulti non fanno di certo bella figura: la professoressa che chiama Dario “mela marcia”; l’assistente sempre sorridente di Andrea che lo tratta zuccherosamente  come un bambino piccolo e soprattutto non ascolta le sue espressioni, le sue necessità; i genitori di Dario che, ognuno a suo modo, lo lasciano solo anche quando gli sono fisicamente accanto. È un libro onesto perché dice della fatica, della solitudine, del non trovare senso; perché dice di come a volte fuggire sia più semplice che chiamare le cose col proprio nome guardandole in faccia; perché dice di come tutto possa assumere un senso diverso e di come quel che ti è imposto possa assumere un significato fondamentale al di là di ogni aspettativa.

Il sito dell’autore. Il sito di ATHLA, l’Associazione Tempo Libero Handicappati, che si occupa di turismo accessibile e tempo libero delle persone disabili.

Gabriele Clima, Il sole fra le dita, San Paolo 2016, 175 p., euro 14,50, ebook euro 6,99

Tutt’altro che tipico

9 Ago

copertina

Jason ha dodici anni e da quattro è ufficialmente certificato come autistico. Vive attorniato da neurotipici che trova molto complicati da comprendere (soprattutto sua nonna e qualche insegnante): hanno una loro lingua, un modo complicato di parlare, spesso si esprimono dicendo cose che non significano realmente quello che vogliono dire. Anche Jason risulta facilmente incomprensibile a loro, con le sue mani che sfarfallano, i suoi silenzi, le sue reazioni improvvise. Allora Jason scrive: temi che valgono buoni voti se si ricorda di consegnarli in tempo, parole difficili su cui i compagni esitano e chiedono aiuto, storie.

sì, Jason scrive storie e le condivide su un apposito sito con altri aspiranti scrittori. Jason scrive perché sa che è il modo per farsi sentire e conoscere dalla gente e da Rebecca che, affascinata dalle sue storie, comincia con lui un dialogo via mail. Ma quando i genitori gli annunciano la partecipazione al convegno di scrittura di Storyboard, Jason va in panico: cosa farà Rebecca davanti alla sua evidente diversità? Come sarà Rebecca? Servirà sperare che anche lei abbia una diversità fisica evidente? E cosa succede quando una diversità viene percepita come un difetto?

Questo libro non è solo un romanzo sulla diversità e sull’autismo in particolare. Innanzitutto è il racconto del quotidiano di un ragazzino di dodici anni e poi è un romanzo sulla scrittura. Jason spiega in estrema sintesi e semplicità i due tipi di narrativa; qualche escamotage; i diversi tipi di trama: sette oppure tre, ma anche solo uno, secondo lui (“le cose accadono”). Jason mescola le lettere dell’alfabeto, prova i nomi dei suoi personaggi, studia le trame, prova a spiegare quel trucco che è l’ironia e scopre cosa succede quando le coincidenze escono dalla pagina e sbarcano nella vita vera. Jason scrive perché scrivere è come vivere: non sai mai da subito come andrà a finire la storia, ma puoi tentare e riscrivere e correggere perché non sempre ti vien bene la prima volta.

Il sito dell’autrice, che con questo premio ha vinto lo Schneider Family Book Award, assegnato dall’American Library Association. La copertina è di Peppo Bianchessi. Leggete i primi due capitoli del romanzo sul sito della casa editrice Uovonero. Poi leggetevi tutto il romanzo; ridete; sentitevi messi a nudo per quanto la realtà può essere cruda; mettetevi ben in testa qual è la parte del corpo più importante per uno scrittore: come dice forte Jason all’insegnante che ha fatto la domanda, è il culo. Risposta esatta, ragazzo. Scoprite perché.

Nora Raleigh Baskin, Tutt’altro che tipico (trad. di Sante Bandirali), Uovonero 2013, 177 p., euro 14

Contro i cattivi funziona

5 Ago

Più riguardo a Contro i cattivi funziona

La voce narrante di questo libro è quella di Matteo, tredici anni e una passione per i supereori. Una voce sincera, cruda a volte, ma come dice giustamente lui: “Non sono sciocco. Dico solo la verità”. Questa è la risposta che dà a sua madre quando lei lo accusa di essere – appunto – sciocco perché il ragazzo ha appena detto che suo fratello maggiore Guido è scemo. Matteo ha usato la parola “scemo” perché per lui descrive la realtà in modo perfetto: Guido è ritardato, non sa gestirsi, ha bisogno di aiuto in tutto e non capisce.

Guido e il suo handicap dettano le regole alla vita di Matteo e di sua madre, alla disposizione degli oggetti in casa e ai ritmi delle giornate, alle vacanze, alle uscite nel tempo libero. Quando Matteo cambia quartiere e scuola, finge di fronte agli altri che suo fratello non esista, che la vita sia un po’ come le parentesi a casa del padre, quando c’è una signora che si occupa del fratello nell’altra stanza e Matteo ha un genitore tutto per sé. Così Matteo incontra Francesco, che detta legge a scuola e nel quartiere, ma anche Selene, che abita nello stesso palazzo, e Saverio.

Questo libro parla dei supereoi che incontri, anche se ci metti un po’ a capire; di Guido che ha la bava da supereoe, anche se poi ti tocca pulirla; del niente che senti dopo che ti hanno pestato a sangue. Dice le cose come sono viste da un ragazzino di tredici anni, molto arrabbiato e molto sincero. Senza giri di parole.

Massimo Canuti, Contro i cattivi funziona, Instar 2013, 137 p., euro 12