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Charlie e il misterioso professor Tiberius

15 Set

Non può che scappare un sorriso a leggere le prime righe di questo romanzo in cui il protagonista spiega il metodo in cui si lava le mani insaponandole e risciacquandole dodici volte, una per anno della sua vita. Non è una nuova procedura anti-Covid, ma uno dei segni della patologia di Charlie, che ha bisogno che la sua vita sia ordinata, ripetitiva e semplice, che nessuno lo tocchi, che le sue piccole manie vengano tollerate. La sua vita però è stata sconvolta quando il padre è stato gravemente ferito mentre scriveva un reportage dall’Afghanistan e ora lo è di nuovo: l’uomo viene trasferito dalla California alla Virginia, la nonna lo assiste e poco dopo, per ragioni varie, uno scombinato gruppo parte: Charlie, la sorella maggiore, i due fratelli gemelli di dieci anni, un cane a tre zampe e una donna di origine bosniaca che porta un collare borchiato e guida un camper vecchiotto. Il viaggio diventa una sorta di missione: Charlie convince tutti a fare un certo percorso, con determinate tappe, in modo da poter vedere tutti gli uccelli che col padre ha segnato su un taccuino nella lista “Uccelli da vere prima o poi”. Charlie disegna benissimo, è un appassionato di volatili e ha una passione per le teorie dell’esimio ornitologo Tiberius Shaw, citato lungo tutto il libro.

Proprio come scrive Shaw, “per alcuni individui, la sopravvivenza è possibile solo all’interno di uno stormo. Per altri, la vita è un solitario campo di prova nella natura selvaggia”: è questo che Charlie vivrà, mettendosi alla prova, sfidando le paure, facendo cose che mai avrebbe immaginato, attraversando gli Stati Uniti con la speranza di ritrovare un padre sopravvissuto e vivo. Molto interessante che Ludmila racconti ai ragazzi la sua adolescenza in Bosnia al momento dell’assedio di Sarajevo, riproponendo ai lettori una narrazione intima di un periodo storico tanto vicino quanto poco conosciuto.

Sally J. Pla, Charlie e il misterioso professor Tiberius (trad. di Isabella Maria), Edt Giralangolo 2020, 328 p., euro 14, ebook euro 9,90

L’isola schifosa

6 Nov

isola schifosaC’era una volta un’isola bruttissima: tutto era schifoso e terribile, dalla lava dei vulcani alle painte sbilenche e spinose, dal mare infestato da creature orribili al gelo che ogni notte ghiacciava ogni cosa. Gli animali godevano ad avvelenare e danneggiare i loro simili, erano vanitosi e invidiosi. Finché non spuntò un fiore, e poi un altro e un altro ancora: anziché godersi la sua bellezza, cominciarono ad accuarsi a vicenda, a sintonarsi, a perdere la trebisonda. E fu la guerra Così sparirono, piovve e l’isola divennne splendida.

Pubblicato nel 1969 e subito nominato dal “Boston Globe” Miglior Albo illustrato dell’Anno, l’albo condensa l’arte di Steig, offrendo al lettore un’ampia parte di illustrazioni che, con i loro colori, fanno quasi da contrappeso alla violenza e all’orrore descritto dal testo. Come sottolinea Balke nella prefazione dove racconta in sintesi come Steig lavorava, sembra quasi che l’autore si sia fatto prendere dall’urgenza dell’illustrazione, concentrandosi nel disegno e sul colore, come un bambino assorbito dalla storia a cui sta lavorando. Riuscendo così a creare un contrasto che funziona perfettamente e che arriva dritto al punto, nel suo crescendo di sostantivi e aggettivi che gonfiano la bruttura descritta.

E poi è difficile che compaia in un testo una delle mie parole preferite (urfido), e allora trovarla qui è bellissimo. Urfidamente bellissimo.

William Steig – con prefazione di Quentin Blake, L’isola schifosa (trad. di Daniela Magnoni e Mara Pace), Rizzoli 2019, 48 p., euro 16

Zucchero filato

15 Nov

zucchero filatoIl tempo dell’estate, quello in cui crescere e cambiare forma e presentarsi a settembre in prima superiore. Per Ezra è anche il tempo in cui fare i conti con la sua famiglia in cui è appena scoppiata una bomba: il padre, veterano di guerra, è tornato, ma dopo poco tempo sono apparse le conseguenze delle tragedie che ha vissuto sul fronte; sono bastati i botti di Capodanno a farlo uscire di testa e a far esplodere la rabbia ingestibile che porta dentro. Non assomiglia più al papà conosciuto, non lavora, le grida sono alte e i balconi della piccola casa in un quartiere periferico sono pieni di spazzatura. Ezra cammina nelle giornate accanto alla sorellina di otto anni che invoca la possibilità di dipingere le pareti della sua camera di giallo come a voler che il sole torni nelle loro casa. Dopo una violenta lite, quando il padre alza le mani per la prima volta, la mamma si trasferisce in una casa di accoglienza per donne dove Ezra si rifiuta di seguirla. La capacità di accettare l’aiuto che serve porterà i membri della famiglia sui binari di un cammino nuovo, non felice, ma più sereno.

Il romanzo è costruito per lo più sul rapporto tra le due sorelle e sui loro dialoghi, molto spesso ironici, ma anche dalla complicità che si crea, nella paura e nel coraggio, e nei momenti insieme brutti e buffi, come quando Ezra viene ricattata da una giovane commessa che l’ha sorpresa a rubare un top nel negozio in cui lavora. Viene da pensare che ancora una volta un ruolo chiave in un romanzo è affidato ai fratelli minori (qui l’impareggiabile Zoe; tra i tanti altri citiamo il Funghetto di Louis e i suoi fantasmi) il cui sguardo innocente e ironico crea delle oasi di risate anche nelle situazioni più faticose.

Il libro è scritto coi caratteri ad alta leggibilità ed è disponibile anche in formato ebook, audiolibro e audio-ebook. Si può ascoltare un estratto sul sito dell’editore. La copertina è di Eleonora Antonioni.

Derk Visser, Zucchero filato (trad. di Olga Amagliani), Camelozampa 2018, 144 p., euro 11,50, ebook euro 6,90

Un uomo a metà

20 Apr

La copertina vi dirà già quanto è azzeccata la scelta di Gemma O’Callaghan come illustratrice di questo testo breve di Morpurgo, come siano giusti i suoi colori, certe sequenze di piccole illustrazioni come in un fumetto, certe visioni laterali che permettono al lettore di osservare dall’alto o da lontano, come fosse spettatore prima e poi presente all’incontro vero tra Michael e il nonno. Sì, perché l’incontro tra i due avviene veramente solo quando, dodicenne, il ragazzo passa le vacanze da solo col nonno sulle isole Scilly, pescando, leggendo e ascoltando finalmente quello che non è mai stato detto ad alta voce: di come l’uomo, arruolato in Marina durante la Seconda Guerra Mondiale, fosse imbarcato su una nave colpita da un siluro e poi, salvato da un amico, fosse stato curato riportandone ferite gravi che ne hanno devastato il volto.

Per tutta la vita, il nonno di Michael si è sentito “a metà”, osservato come un mostro, e il nipotino ha sempre ricevuto la raccomandazione di non fissarlo. Tentare di guardare da un’altra parte è stata, per il breve tempo trascorso insieme nelle festività in famiglia, un’impresa molto più difficile e faticosa rispetto alla semplicità di quel che il bambino avrebbe voluto fare: poter guardare suo nonno e chiedere. Tenere nascoste le cose, specie quelle che sono evidenti a tutti, tentare di far finta di nulla è più faticoso e più doloroso; la capacità di guardare davvero, di vedere lo stato delle cose (di un volto in questo caso, ma anche della fatica a cui gli altri ti costringono) non è di tutti, ma c’è: il nonno l’ha conosciuta nei modi di essere e di fare dei medici e degli infermieri che lo hanno rimesso in sesto e lo hanno fatto sentire a posto e la ritrova nel ragazzino con cui finalmente può essere se stesso. Essere sé significa anche essere brutalmente onesto, rispetto al proprio dolore e a quello di chi gli stava accanto e dire insieme la rabbia, l’impotenza, la necessità di guardare comunque. Gli sguardi che restituiscono al nonno la dignità sono salvifici, proprio come il tocco e il canto con cui l’amico lo tiene sveglio mentre la scialuppa li porta in salvo dopo lo scoppio.

Morpurgo dà voce ai segnati dalla guerra, a chi è tornato ma appunto viene visto “a metà”, come già aveva fatto Boyne in Resta dove sei e poi vai.

Il sito di Morpurgo. E quello dell’illustratrice.

Michael Morpurgo – ill. Gemma O’Callaghan, Un uomo a metà (trad di Alessandra Valtieri), Lapis 2017, 64 p., euro 10

Pax

10 Apr

Un riflessione sulla guerra, ma soprattutto sul modo di essere e sulla verità. Nasce dal doppio binario narrativo dovuto all’alternanza, capitolo dopo capitolo, della voce di una volpe – a cui l’autrice cerca di dare materia anche attraverso quel che fiuta, che sente nelle zampe, che percepisce – e di quella di un dodicenne. Da cinque anni Peter e il suo volpacchiotto Pax sono inseparabili, fin da quando l’aver ritrovato quel cucciolo e l’essersene preso cura ha lenito la rabbia per la morte improvvisa della madre. Poi irrompe la guerra e il padre di Peter si arruola, lasciandolo a casa del nonno, non prima di avergli imposto il doloroso abbandono dell’amico. Il senso di colpa però è troppo forte, come forte è il legame e che unisce i due e Peter “scappa per tornare a casa” come gli fa dire l’autrice. Casa è dove si trova Pax, che intanto si guarda intorno, conosce altre volpi, capisce la dinamica dei rapporti con gli umani e l’eccezionalità di quello che gli è toccato in sorte. Complice però un piede fuori uso, Peter incontra Vola, donna dall’accento straniero con una gamba di legno che vive isolata da vent’anni, dopo esser stata lei stessa in guerra. La ruvidezza della donna rimanda alla nuda verità di cui è portatrice: per lei la verità è la regola, il primo dei principi che tiene scritti su schede appese in casa. Alla verità Peter deve piegarsi:il darsi tempo, l’imparare un nuovo ritmo di cammino, l’addomesticarsi reciproco raccontandosi le rispettive storie, l’evidenza della certezza che sta nel profondo dell’animo e che rende sicuri.

Ne viene appunto una riflessione sulla violenza degli uomini, sulle falsità; la guerra sta sullo sfondo: è in qualche modo surreale nella descrizione fatta, specie per bocca degli animali, è un avanzare di uomini armati, ma non se ne conoscono le dinamiche; non è questo evidentemente che importa: resta cacofonia di fondo che staglia sulla scena le figure principali, con i dubbi e i valori che portano con sé. Se Peter è raccontato nel suo divenire e nella sua tenacia, se il padre si rivela figura violenta e chiusa, Vola è un personaggio caustico e pieno di cura, ha la caparbietà ottusa di chi si è costruito una gamba rigida in falegnameria per portarsi fisicamente appresso il peso che sente nell’animo e nel contempo l’ironia splendida e feroce di chi non esita a prestare il proprio arto artificiale serio, quello datole in ospedale, allo spaventapasseri in giardino.

Il sito dell’autrice. Il sito dedicato al libro. Il tumblr di Klassen.

Sara Pennypacker con le illustrazioni di Jon Klassen, Pax (trad. di Paolo Maria Bonora), Rizzoli 2017, 300 p., euro 16, ebook euro 7,99

Il sogno di Youssef

30 Apr

YOUSSEF coverAspettavo da tempo un libro così, meraviglioso e toccante già nella dedica iniziale: “A tutti i bambini che scappano dai buchi neri delle guerre dei grandi. Ai loro sogni appesi tra cielo, terra e mare”. Basterebbe solo questo, forse. Ma Isabella Paglia ci regala un testo poetico, prima duro e poi dolce, più rarefatto nella parte finale. Lo accompagnano illustrazioni bellissime, nel racconto di un dettaglio dove si condensa la disperazione, nella coralità di eventi più grandi che i bambini subiscono senza comprendere.

È un libro per i nostri piccoli, certo. Ma non lascerei al riparo gli adulti, bisognosi, loro sì, di una “storia” reale per tornare a commuoversi.

Già sotto il titolo, pagina iniziale, il dettaglio di una ciabattina da bimba, come le tante, troppe, viste al tg, nella cronaca dell’ennesimo naufragio. L’amicizia tra due bambini, interrotta dalla guerra e dalla partenza di lei. Maryam e Youssef, sognatori di mare e avventure. Il mare lo vedono la prima volta quando arriva a separarli. Sebbene abbia il ritmo di una ninna nanna, non è benevolo, ma misterioso e scuro.Per chi resta cadono le bombe, portando lutti e disperazione. Di Maryam non si sa più nulla, ma Youssef coltiva ogni giorno il sogno di riabbracciarla. Da qui in avanti il libro abbandona la cronaca e diventa una favola, irreale, certamente, un sogno con un risveglio in cui i desideri si avverano.

L’immagine dell’abbraccio alla conclusione del libro dovrebbe campeggiare in ogni scuola, biblioteca, asilo. Semplicemente due bimbi che si stringono, dopo aver visto l’inferno. L’empatia più vera, quella che si è persa tra burocrazie, calcoli di quote, costruzione di muri.

Il sito di Isabella Paglia; il blog di Sonia ML Possentini.

Isabella Paglia – ill. Sonia MariaLuce Possentini, Il sogno di Youssef, Camelozampa 2016, 32 p., euro 15

Tinder

28 Nov

tinderHa il sapore e gli echi di fiaba e di leggenda, di storie nere come le atmosfere che si susseguono nelle illustrazioni e sembra fatto apposta per essere letto ad alta voce e far precipitare il lettore dritto nella storia: l’attacco infatti è quel che meglio funziona in questo romanzo di Sally Gardner che regge la tensione fin quasi alla fine (per strada a me pare ceda un po’) e che ha il pregio di essere – per volontà dell’autrice stessa, come è spiegato nelle note finali – appunto una storia illustrata per i ragazzi più grandi, per dare loro il fascino delle immagini accanto a quello delle parole.

Ispirato a L’acciarino magico di Andersen, il testo contiene gli echi di guerre passate e presenti e nasce in particolare dalla volontà di Gardner di dare voce agli incubi dei soldati che lei stessa ha ascoltato, reduci dall’Iraq e dall’Afghanistan , ma anche i bambini-soldato del Ruanda, e dell’impossibilità di tornare ad una vita normale. Ambientato all’epoca della Guerra dei Trent’Anni – una guerra quindi in cui la maggior parte delle nazioni europee ha avuto un ruolo – il romanzo riecheggia quindi di tutti gli orrori e le atrocità delle guerra, con gli elementi tipici della fiaba: un soldato, una principessa prigioniera, desideri che si avverano, un lupo che appare misteriosamente e semina sangue.

Otto, soldato della Guardia Imperiale che ha visto il massacro della sua famiglia, è risparmiato dalla Morte e salvato da un indovino misterioso che gli consegna un sacchetto di dai magici con i quali decidere scelte e direzioni da intraprendere. Rubata una gallina a due mercenari che intorno a un fuoco si insultano a proposito di una ragazza fuggita, si trova accanto sul ramo di un albero proprio la fuggitiva, Safire, che scappa dai destini intrecciati dalla matrigna ai danni del padre e del suo regno. La ricerca della ragazza, il tentativo di salvezza, diventa per Otto motivo per avanzare a dispetto dei dadi, per fingere, per inseguire destini, per sentirsi forte del potere di un acciarino magico o forse in balia della sua maledizione.

Il sito dell’autrice. Il sito dell’illustratore, che già avevamo apprezzato all’opera in Gli incubi di Hazel. E… sì, il lupo in copertina ricorda decisamente la silhouette dei Lupi nei muri di Gaiman e McKean.

Sally Gardner – illustrazioni di David Roberts, Tinder (trad. di Giordano Aterini), Rizzoli 2015, 265 p., euro 17,90, ebook euro 8,99

Il re che non voleva fare la guerra

9 Ott

re che non voleva fare la guerraUn nuovo albo per la collana Sottosopra di Edt-Giralangolo che questa volta mette a testa in giù le regole buone per tutti, il “si fa così punto e basta”, le categorie date per certe e a prescindere. Ecco invece un re a cui non interessa ingrandire il proprio regno e conquistare a caro prezzo nuove terre; a lui  è sufficiente poter dormire fino a tardi, andare a spasso e guardare il cielo; difficile farlo capire ai consiglieri che sembrano sapere cosa deve fare un sovrano. Quando però succede di dover partire per affrontare una guerra, anche se non la si vuole, il re si comporta come chi non chiude gli occhi, ma fa del momento un’occasione per studiare il mondo: raduna volenterosi di ambo i sessi e parte in avanscoperta, incontrando regni di ogni forma, lasciando qua e là chi sembra trovarsi bene in quelle terre e finendo da solo di fronte allo spettacolo dell’aurora. Per scoprirsi – guarda un po’- in compagnia di un altro re che non ha esercito e che lo inizia alla bellezza del cielo del mattino. Tornato a casa, il re si porta dietro la scoperta di non volere comunque la guerra, ma ha imparato che potrebbe piacergli un cambiamento di abitudini mattutine; poco importa se esce dai canoni che vogliono un re guerriero o guerrafondaio, lui sa essere semplicemente se stesso e tener fede alle proprie idee anche quando queste lo isolano.

Una storia bella da condividere insieme che prende i volti degli animali, di un re leone nella foresta, sicuramente un’interpretazione singolare e originale rispetto a quel che di umano il testo potrebbe suggerire a una prima, superficiale lettura. Sandro Natalini veste i sovrani di morbide stoffe stampate, pellicce e velluti e una vezzosa, elegantissima vestaglia fiorita che davvero è ideale per godersi il giorno che viene al mondo.

Millemagichestorie, l’associazione di cui fa parte l’autrice. Il sito dell’illustratore.

Lucia Giustini – Sandro Natalini, Il re che non voleva fare la guerra, EDT Giralangolo 2015, 28 p., euro 13,50

Muschio

16 Giu

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Ci sono tanti modi e angolazioni diverse per narrare di un tema importante come la guerra, in questo caso la Seconda Guerra Mondiale in tutti i suoi aspetti: invasione, bombardamenti, fame, campi di concentramento, paura, ritorno alla pace e ripresa della vita quotidiana nonostante tutto. Il catalano David Cirici sceglie la voce di una cane, Muschio, che gli permette di offrire al lettore un particolare punto di vista sugli avvenimenti e sulle persone che gli ruotano intorno, quelle più prossime e quelle che esemplificano in qualche modo i vari aspetti della situazione di difficoltà.

Muschio insegue i ricordi sul filo degli odori, in particolare quelli che gli riportano alla mente Janinka, la bambina con cui è cresciuto, e suo fratello Marek. parla della sua casa, in cui vivevano i due bambini con i loro genitori, e ricorda quel che amava di quei giorni, falsati dai primi allarmi e dalle fughe nel rifugio e poi annientati definitivamente dal bombardamento che spazza via casa e famiglia. Muschio diventa allora un cane di strada; con una banda di altri cani affronta e condivide l’avventura di procurarsi del cibo, di finire in un circo come preda di un leone, di essere venduto ai soldati per abbaiare quando i prigionieri si avvicinano nel campo alle reti di filo spinato. Ma Muschio e Menta si lasciano addomesticare da un prigioniero e seguono la sua fuga verso la libertà e la pace ritrovata, per poi riprendere con lui, il filo dei giorni, gravati dal peso dei ricordi, e dall’inattesa di gioia di ritrovare volti e mani e coccole amate.

Attraverso la descrizione canina, lieve e insieme onesta, l’autore affronta il tema della guerra nelle sue diverse tragedie, accompagnato a perfezione dalle illustrazioni di Federico Appel che danno muso e volto ai protagonisti: non perdetevi i tanti animali raffigurati, i cani che vien voglia di accarezzare, il cinghiale che “fuma”, le facce quanto mai espressive. Il romanzo breve affianca al pregio di dire in modo bello temi importanti e tragici la capacità di una narrazione fluida e coinvolgente: provate a leggere ad alta voce le pagine iniziali e catturerete chi vi ascolta. Di certo un’uscita editoriale felice, anche per i lettori intorno ai dieci anni che trovano finalmente un buon libro adatto a loro, di qualità nella scrittura (e nella traduzione) e nelle ilustrazioni che lo accompagnano.

Il blog dell’autore che con questo libro ha vinto il Premio Edebé 2013.

David Cirici – ill. Federico Appel, Muschio (trad. di Francesco Ferrucci), Il Castoro 2015, 111 p., euro 13,50

Immagina di essere in guerra

11 Apr

Immagina di essere in guerra - Janne TellerSe oggi in Italia ci fosse la guerra… tu dove andresti?

Inizia così il libro di Janne Teller, illustrato da Helle Vibeke Jensen, datato 2001 e riadattato per l’Italia nel 2014.

Il racconto dell’autrice di Niente è costruito sul ribaltamento totale dei punti di vista comuni. Se oggi in Italia, come sta accadendo ed è già accaduto in molti paesi nel mondo, un regime nazionalista salisse al potere e tu fossi, come milioni di persone ridotto a minoranza, costretto a emigrare per sopravvivere, cosa faresti? Come ti comporteresti? Il libro invita a calarsi nei panni degli altri, o meglio ad entrare proprio nella pelle e nelle ossa delle persone costrette a fuggire dalle loro terre, per guerre e lotte che non hanno voluto, persone che soffrono doppiamente per aver abbandonato la loro casa e per non essere accolti nel luogo in cui vanno a vivere, ma a stento tollerati. Sono guardati con sospetto, con odio, additati come causa di tutti i mali.
Non è un racconto politico, è un racconto umano, un invito all’immedesimazione totale, non facile e non indolore. Ma necessaria per poter davvero cercare di comprendere tutte le genti che stanno varcando in nostri confini, territoriali e mentali, per cercare di andare al di là delle barriere erette sull’ignoranza e sulla paura. E’ un invito alla comprensione, all’empatia di cui c’è davvero molto bisogno.

Il libro fa parte della rosa dei candidati al premio Andersen nella fascia oltre i 12 anni.

Janne Teller, Immagina di essere in guerra (trad. M.V. D’Avino), ill. Helle Vibeke Jensen, Feltrinelli 2014