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Bethany e la Bestia

21 Apr

bethany e la bestiaChe gran divertimento questo romanzo, in cui si ride della grossa, specie nella sua prima parte. Uno di quei libri da condividere ad alta voce, intorno a cui fare gruppo prendendo le parti della terribile Bethany nel suo confronto con la bestia e non solo. Bethany è una ragazzina che ha perso i suoi genitori molti anni prima e che vive nell’orrendo orfanotrofio gestito dalla signora Fizzlewick; è l’ospite più ingestibile, non perde occasione per fare scherzi di ogni tipo e, in modo particolare, perseguita con angherie varie un altro ragazzino a cui ruba costantemente i fumetti. Eppure è proprio lei che l’altrettanto orribile Ebezener Tweezer sceglie di portarsi a casa, con scopi meno nobili del darle l’amore di una nuova famiglia. Sotto le apparenze eleganti, gentili e giovanili infatti si nasconde un uomo di cinquecentounidici anni che ha stretto un pasto con il mostro che vive in cima ai quindici piani del suo palazzo. Tweezer è avido e ama il lusso; la bestia sputa dalla sua bocca tutto quel che le viene richiesto, oltre un elisir di lunga vita che – ingerito una volta l’anno – gli permette di mantenere il fisico di un ventenne e di godersi delle sue spropositate ricchezze. In cambio deve solo nutrirla con quel che desidera. Tutto funziona regolarmente fino al giorno in cui, al culmine di un crescendo di richieste di animali esotici, la Bestia decide di voler assaggiare un bambino.

Divertente, ma anche sottile nel dire l’animo umano e i sentimenti, il romanzo, già tradotto in trenta paesi, diventerà un film prodotto da Warner Bros. Intanto godetevi la lettura.

Jack Meggit-Phllips – ill. Isabelle Follath, Bethany e la Bestia (trad. di Giulia De Biase), Rizzoli 2021, 235 , euro 16,50, ebook euro 9,99

Gli inadottabili

14 Dic

inadottabiliMi hanno chiesto durante un corso in settembre perché non avessi parlato di questo libro; risposta semplice: non lo avevo ancora letto. Se ne stava in attesa in una pila, ad aspettare il momento propizio, la neve, il fuoco scoppiettante, il giusto tempo per una storia di quelle da leggere a puntate ad alta voce, dal sapore di avventura, un pizzico dickensiano col suo fascino ottocentesco da bruma e orfanotrofio.

Ad Amsterdam arrivano all’orfanotrofio del Piccolo Tulipano nel 1880 cinque orfani in fasce che non corrispondono affatto alle tre regole da seguire per l’abbandono dei neonati. Piovono dal calendario, uno per mese tra agosto e dicembre, e hanno ciascuno qualcosa di diverso: chi sei dita per mano, chi tratti somatici che parlano di mondi lontani, chi sguardi inquietanti o braccia e gambe fuori misura. Difficile trovar loro un nome, impossibile trovar loro una famiglia. Dodici anni dopo sono ancora lì, nel gelo delle stanze a mettersi in riga ogni volta che si palesa una famiglia e la direttrice cerca di fare i suoi loschi maneggi (vende i bambini per ingenti somme di denaro senza registrare tute le adozioni). Quando uno strano figuro che si spaccia per ricco mercante pronto a salpare su una nave lussuosa vuole adottarli, i cinque scappano, facendo leva sulle qualità e le abilità di ognuno e capitanati dal desiderio di Milou di trovare la sua famiglia: è l’unica che possiede un riferimento – un nome ricamato sulla marionetta con cui è stata abbandonata – e degli indizi che conducono a un mulino in rovina fuori città, di cui si dice che il proprietario sia fuggito proprio dodici anni prima insieme all’unica figlia. Milou cuce da sempre teorie sulla sua famiglia e quando nel granaio scopre un teatro si convince di essere a casa; molti indizi potrebbero confermarlo, ma i conti non tornano, come la strana vicina di casa, un’orologiaia che vive tra meccanismi e ingranaggi e li scruta misteriosa. Sarebbe molto più semplice restar sulla soglia, non dare confidenza, rimanere ai margini, eppure è bello avere una casa, del cibo, sentirsi una famiglia, fingere di avere un adulto accanto per provare a cavarsela da soli. Ma il finto mercante incrocia la loro strada di nuovo; la  terribile direttrice torna a reclamare quel che è suo e il passato bussa insistente per rivelarsi altro da quello che i bambini hanno immaginato. Intanto loro hanno scoperto il significato di famiglia e di casa e il fatto che non è necessario avere legami di sangue per sentirsi appartenere gli uni agli altri.

Narrazione ricca e avvincente che parla di diversità e di vita in buon modo, senza voler insegnare qualcosa, ma raccontando, allestendo una storia sul palcoscenico di un libro che si fa leggere volentieri a voce alta.

Hana Tooke – ill. di Ayesha L. Rubio, Gli inadottabili (trad. di Giulia De Biase), Rizzoli 2020, 416 p., euro 17, ebook euro 9,99

L’incredibile caso dell’uovo e del Raffaello perduto

16 Mar

l'incredibile caso dell'uovo

Theodora Tenpenny è abituata a scovare tesori: il nonno le ha insegnato a non buttare quello che può ancora essere riutilizzato e a recuperare qualcosa di utile in soffitta o per strada, tra quel che la gente accantona per poi gettar via e i marciapiedi di Manhattan possono celare vere sorprese. Quel che di certo non si aspetta è che, sotto il dipinto che da sempre è appeso sopra il camino nello studio del nonno, quello che ritrae un uovo, si celi un dipinto dal valore inestimabile, forse addirittura dipinto da Raffaello Sanzio seicento anni prima. Le ultime parole del nonno, quel che di arte le ha insegnato sembrano proprio portare in quella direzione allora la ragazzina si mette in caccia di notizie, di pareri, imbattendosi in una storia molto diversa che la porta a scoprire non solo il segreto sotto la stesura  superficiale di vernice, ma anche quello nella vita del nonno che, a differenza di quel che ha sempre raccontato, ha fatto la guerra, ha vissuto l’esperienza dell’internamento ed è stato uno dei Monuments Men la cui vicenda è stata recentemente raccontata in un film.

La ricerca procede per tentativi, intoppi testardaggini e va avanti per colpi di scena e grazie all’aiuto di tante persone che fanno sentire meno sola la protagonista, sulle cui spalle pesa il futuro della sua famiglia, con la madre immersa in teoremi e formule matematiche, e della vecchia casa in cui vivono. Il libro parla di arte, di artisti, di biblioteche pubbliche e bibliotecari, di amicizia e dei beni sottratti agli ebrei in Europa durante la Seconda Guerra mondiale. È un libro che fa ridere, che fa commuovere, che si legge d’un fiato; insomma, finalmente una nuova buona avventura per i lettori della scuola media, non a caso pluripremiata dai librai statunitensi. Una delizia da leggere e una carta vincente da consigliare.

Il sito dell’autrice. La mappa dei luoghi di Theo. L’illustrazione di copertina è di Matteo Piana.

Laura Marx Fitzgerald, L’incredibile caso dell’uovo e del Raffaello perduto (trad. di Giulia De Biase), Fabbri 2015, 223 p., euro 13,90, ebook euro 8,99

Io sono la neve

27 Ott

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Il retrogusto che vi salta in bocca alla prima lettura, vi avvisiamo subito, vi riporta indietro a quando avete letto quel bellissimo romanzo che è 13 di Jay Asher: là erano le sette audiocassette numerate con lo smalto blu a tracciare il filo della storia, qui sono invece dei CD a spiegare al lettore cosa è successo l’anno precedente alla Irving, prestigioso college in cui il protagonista si appresta a frequentare l’ultimo anno. Appena arrivato, Duncan scopre quale stanza gli è stata assegnata, sapendo che – secondo la tradizione della scuola – conterrà un “tesoro”, un regalo che chi l’ha occupata l’anno precedente ha lasciato conoscendo il nome di chi verrà dopo.

La stanza è quella piccola e buia in fondo al corridoio, occupata l’anno precedente da Tim, un ragazzo albino che ha frequentato un solo semestre. La sua voce racconta di come sia arrivato al college a metà anno, del suo amore per Vanessa, del modo in cui ha cercato di mimetizzarsi e mettersi di lato, abituato alle reazioni degli altri di fronte alla sua diversità fisica. Ripercorre giorni, lezioni, notti e anche la preparazione del Grande Gioco, organizzato di nascosto dagli studenti dell’ultimo anno. Una serata dall’esito tragico, a cui anche Duncan ha preso parte e di cui non ha mai più parlato. Proprio per questo il lettore è spinto a proseguire nel racconto esattamente come Duncan nell’ascoltare la voce registrata: in qualche modo precipitando verso quel che sa essere il nodo centrale di quel che è stato, ma anche il nodo da sciogliere perché tutto possa ricominciare a scorrere.

In parallelo scorre l’anno scolastico di Duncan, la sua relazione con Daisy, il peso del non detto che grava sulle giornate. Il peso della tragedia; quella tragedia che ogni ragazzo dell’ultimo anno deve affrontare per il compito del professor Simon. Il peso della tradizione, ma anche quello di chi vuole primeggiare ad ogni costo o di chi si sente soffocare in una situazione senza uscita o di chi cerca in ogni modo di essere come gli altri, a costo di rischiare la pelle.

Il sito dell’autrice.

Elizabeth Laban, Io sono la neve (trad. di Giulia De Biase), Rizzoli 2014, 339 p., euro 15, ebook euro 8,99

Tutto ciò che sappiamo dell’amore

17 Ott

Più riguardo a Tutto ciò che sappiamo dell'amore

Il titolo originale di questo libro è Slammed, participio del verbo slam che tra i suoi tanti significati può corrispondere a: sbattersene; picchiare; battere; stroncare; sconfiggere; duellare; sbaragliare; scalcagnare; colpire. La “slammed” del titolo – vi dite quando cominciate a leggere il romanzo – è sicuramente Lake, la protagonista, che si trasferisce dal Texas al Michigan dopo la morte del padre. Ops, no, vi dite subito dopo: “slammed” è Will, il nuovo vicino di casa che a soli ventun anni si sta occupando del fratellino visto che sono rimasti orfani. O forse lo sono entrambi perché si innamorano follemente al primo istante per poi scoprire che Will è un professore e Lake è nella sua classe e quindi è necessario frenare tutto e mettere tra di loro la maggior distanza possibile pur abitando di fronte, pur vedendosi in classe, pur avendo due fratelli inseparabili. O forse “slammed” potrebbe essere Eddie, l’amica che Lake guadagna nella nuova scuola, una che ha diciassette sorelle, dodici fratelli, sei mamme e sette papà: sì, insomma sette famiglie affidatarie in nove anni.

Ma lo slam, in questo libro, è anche il torneo che si svolge ogni giovedì sera in un locale della città, dove ci si sfida a colpi di poesia, dove si sale sul palco e si racconta quel che si sente in forma di versi; la stessa poesia che Will insegna ai suoi alunni; la stessa che lui e Lake usano per comunicare: per gridare la rabbia, il dolore fisico dello stare lontani, la bellezza della vita; la stessa che esce dalla musica degli Avett Brothers che sta a sottofondo di tutto il testo.

Questo libro – per chi mette etichette e cerca temi – è pieno di morti, di malati e di sfighe. Ma è un bellissimo libro sulla vita, su quel che succede, sull’altezza di certi sentimenti, sulla bellezza di certe fatiche. Dice di zucche di Halloween e salti di scuola perché si ha bisogno di silenzio e di un’amica. Dice di come è facile travisare le cose, ma anche mantenere al sicuro quella che si sente essere la cosa più giusta la mondo, quando tutti intorno gridano che è sbagliato. E di come non è detto che le cose che davvero contano debbano escludersi l’un l’altra; di come il primo posto sia abbastanza ampio da mettercele tutte.

Il blog dell’autrice. E il sito degli Avett Brothers 😉

Colleen Hoover, Tutto ciò che sappiamo dell’amore (trad. di Giulia De Biase), Rizzoli 2013, 337 p., euro 16, e-book euro 9,99