Premessa: non credo di essere la persona adatta a parlare di questo libro con una certa obiettività. Le granate (anche quando sono in pace con la loro storia) non possono essere molto obiettive e scovano i piccoli particolari che rendono quella storia diversa ai loro occhi rispetto alle letture altrui. Quindi sono molto curiosa di sapere le impressioni di chi leggerà questo libro, che fondamentalmente racconta una storia d’amore.
Ragazza bellissima coi capelli da folletto disprezza l’autorità e non riesce a evitare di innamorarsi di un ragazzo pur sapendo che le porterà solo dei guai. è la tua autobiografia, per quel che ne so.
Potrebbe essere l’autobiografia di milioni di lettori. Augustus è ironico, travolgente e va pazzo per The Price of Daw (il videogioco, ma anche la sua versione romanzata). Hazel Grace è una solitaria che legge e rilegge lo stesso libro (che peraltro non ha una fine vera e propria), fuori sincrono rispetto ai suoi coetanei e che secondo sua madre si meriterebbe una vita e più amici. Ma Gus e Hazel non sono esattamente come milioni di lettori: si incontrano in un gruppo di supporto il cui numero di membri varia ogni mercoledì. E la variazione è una conseguenza collaterale del morire. Perché tutti i ragazzi che vi si incontrano sono malati di cancro, in forme e a stadi differenti. Hazel è una sorta di miracolata: tenuta in vita da un farmaco sperimentale, gira trascinandosi dietro la bombola dell’ossigeno. Gus ha subito l’amputazione di una gamba per un osteosarcoma. Il loro sguardo sulla vita è divertente, spesso tagliente e spietato come può esserlo quello di chi non ha nulla da perdere e si sente in una posizione diversa rispetto a chi gli sta intorno. La storia d’amore che vivono è forte e assoluta, sospinta dalla certezza di Gus che cerca di spiegare alla ragazza che non è tenendolo lontano che cambierà quello che lui prova per lei. Una storia in cui ridono molto, in cui fanno cose normalissime e cose folli, in cui si giocano un Premio Cancro per inseguire il sogno di raggiungere ad Amsterdam l’assurdo autore della storia senza finale per chiedergliene conto.
La loro storia brilla, eppure continuo a chiedermi quale sia il vero motivo che ha fatto sì che questo libro scalasse delle classifiche ancora prima di essere messo in vendita, semplicemente grazie alle prenotazioni sul blog dell’autore. E mi viene il dubbio che la forza tragica della malattia dei protagonisti abbia il suo peso. Il libro ha passi molto belli (come l’annuncio scritto per regalare un’altalena; come la scena in cui Hazel risponde alle precise domande di una bambina sull’utilità del sondino che porta nel naso e che davvero dà la misura di come è semplice il piacere di dire cose vere) e dice – in semplicità qualcosa di essenziale, affidato alle parole di Hazel nelle ultime righe: a me piacciono le mie scelte.
Però la forza assoluta di Cercando Alaska è un’altra cosa, forse impareggiabile; sicuramente indimenticabile.
Una cosa sola, John Green: ok, è una storia inventata; non cercheremo legami con fatti reali; non faremo supposizioni. Però il fatto che tu senta la necessità di scriverlo e di ripeterlo, ecco, qualche domanda poi la suscita.
Il blog di John Green, dove l’autore risponde a qualche domanda a proposito del libro. Questa è la fondazione nata dalla storia di Esther Earl, a cui il libro è dedicato.
John Green, Colpa delle stelle (trad. di Giorgia Grilli), Rizzoli 2012, 347 p., euro 16.
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