
Le confidenze degli altri vengono a scomodare le nostre; ci dicono di non aver paura, che alla fine tutti quanti abbiamo dei pezzi non perfettamente funzionanti, non perfettamente giusti. Forse a raccontarli diventano più piccoli o capiscono come si devono incastrare negli altri pezzi. Forse a dire i segreti, i segreti si spogliano e fanno mettere in mutande pure i tuoi.
Le parole sono utili e più ne hai prima fai, dice il protagonista.
Hui fa la quinta elementare, vive in Italia da quando ha due anni, ma si sente comunque straniero: nel quartiere è per tutti ‘O Cinese, molti guardando il suo aspetto pensano che lui non capisca l’italiano (invece parla persino napoletano) e si sente decisamente meno cinese di sua madre, anzi – come dice lui – ha amici vari e gli piacciono i prodotti un po’ misti, specie indiani. La lingua che parla perfettamente è quella dei numeri: colleziona abachi di tutti i tipi e ne ha sempre con sé uno di perline, portatile, che gli serve a dare ordine al mondo contando, per sentirsi bene dove sta.
Anche i sui amici si sentono stranieri: Thomas è figlio di un diplomatico inglese troppo occupato che cerca di temprarne il carattere per renderlo simile all’idea che ha di figlio; Caterina a Napoli ci è nata, ma per tutti è selvatica, le compagne la emarginano, la considerano un maschio mancato perché strappa i fili della lenza coi denti, corre veloce e scalza e a lei pare quasi che pure sua madre volesse una figlia di un’altra razza.
La loro amicizia nasce al club nautico che Hu frequenta di straforo, dove Caterina si nasconde dalle lezioni di vela e Thomas piange per gli scherzi dei compagni di scherma e per i fantasmi che popolano le sue notti, quando sente rumori di catene, quando la paura gli mangia il cuore e si insinua nei pensieri per rimanere viva anche di giorno. Né il padre né il custode vogliono dare peso ai timori di Thomas: per il primo gli spiriti non esistono, per il secondo sono vecchie leggende legate alla casa. I ragazzi allora, aiutati da Insalata che è stato a suo tempo contrabbandiere, cercano di scoprire cosa si nasconda dietro i rumori notturni, affrontando i fantasmi della notte e quelli dell’anima, provando a dirsi e a dire agli altri la fatica, le paure, i segreti. Per capire i fatti e se stessi, aiutandosi con una lista di momenti belli, dandosi leggere botte in testa quando le parole sono di troppo. Una storia dove il tema del sentirsi diversi è toccato in maniera non scontata e con grazia leggera nelle sue sfumature differenti: puoi sentirti straniero al Paese in cui vivi ma anche a quello d’origine, all’idea che gli altri hanno di te, ai modi che vorrebbero cucirti addosso.
Una storia che sa di mare, di nodi, di Napoli, che risuona nelle parole sparse qua e là, che scivola sulla gl di guaglio’, inanella rezze spase e ranci speteracchi, puntualizza un a soreta, fa fare uno zompo. E io me le dico ad alta voce, cullando giorni ischitani.
Patrizia Rinaldi – illustrazioni di Federico Appell, Maregiallo, Sinnos 2012, 112 p., euro 11
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