Ci aggrappiamo alle favole finché il prezzo da pagare per le nostre illusioni diventa troppo alto, e per me lo diventò un giorno in seconda elementare, quando Robbie Jensen mi tirò giù i pantaloni in mensa davanti a una tavolata di bambine, annunciando che credevo nelle fate. Me l’ero cercata, raccontando ai compagni quelle strane storie. In pochi, umilianti secondi ebbi la certezza che il soprannome «ragazzo delle fate» mi avrebbe perseguitato per anni e, forse ingiustamente, diedi la colpa proprio al nonno.
Jacob ha un nonno, Abe, che si è salvato dai campi di concentramento e dalla guerra rifugiandosi su un’isola, nella casa di Miss Peregrine. Abe racconta al nipote di come fosse fantastica la vita in quella casa dove c’era sempre il sole e la guerra non li toccava, dove era protetto e in compagnia di ragazzi straordinari. Questi bambini “speciali” erano in grado di fare le cose più strane: levitare, generare il fuoco dalle mani, sollevare massi pesantissimi, leggere il pensiero… Jacob crescendo, smette di credere a queste storie, fino a quando trova il nonno morto in strane circostanze e decide di andare a vedere quest’isola, per capire se Abe ha inventato tutto oppure qualcosa di vero c’è.
Ransom Riggs costruisce questo interessante romanzo a partire da una raccolta di foto d’epoca, quasi tutte originali e solo lievemente ritoccate. La storia è molto avvincente ed evoca molti dei classici temi della letteratura per ragazzi (l’isola, il viaggio nel tempo, il passaggio tra realtà diverse, i poteri paranormali, il limen da superare, etc. etc.) e lo fa con una discreta dose di horror e di mistero, al punto che il film che ne verrà tratto, sarà diretto da Tim Burton. Non mi viene in mente un regista migliore per rendere giustizia alle atmosfere del libro (forse solo il Guillermo Del Toro del Labirinto del Fauno).
Ransom Riggs, La casa per bambini speciali di Miss Peregrine (trad. I. Katerinov), Rizzoli, 2011, p. 384, euro 18,50, ebook euro 6,99
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