Tag Archives: cavalli

Mi chiamo Nako

10 Giu

mi chiamo Nako“I nostri nomi sono tanti: zingari, gitani, romanichels, gypsies, manouches, sinti, rom, nomadi, camminanti”. Così vengono indicati, ma il protagonista di questa storia si presenta con il suo nome – perché un nome è importante – e racconta di come ancora più importanti siano le domande che guidano i passi sulla strda della vita. Lui se ne intende, per ogni volta che già il villaggio su ruote in cui vive si è spostato, per tutte le rotte e i viaggi che ha sentito raccontare nella grande storia del suo popolo. Un popolo che non ha una terra, ma possiede una bandiera e un inno; un popolo che vive all’insegna della libertà, come liberi sono i cavalli a cui Nako si sente affine e vicino. Il bambino racconta del popolo rom, evocandone le tradizioni, l’importanza della musica, le caratteristiche, in un testo ben distante dall’essere moralistico o didascalico (come a volte purtroppo libri a tema tendono ad essere), ma che invece – proprio nella chiave di questa lettura da parte del protagonista – trova il modo di avvicinare a questa cultura in modo immediato, grazie anche alle immagini poetiche di D’Altan.

Le ultime pagine contengono il testo dell’inno rom e alcuni proverbi tipici.

Il testo era uscito in Francia nel 2014 per Le Baron Perché con le illustrazioni di Magali Dulain: bello potergli vedere addosso anche un’altra interpretazione stilistica.

Guia Risari – Paolo D’Altan, Mi chiamo Nako, Paoline 2020, 40 p., euro 14, ebook euro 10

La guerra di Ada

15 Mag

Ada ha dieci anni, ma non lo sa, esattamente come non sa che le stagioni cambiano e colorano diversamente le foglie degli alberi, che ci sono prati pieni di erba, che il mondo è grande. Ada è nata con un piede equino ed è la vergogna della sua mamma, come le ripete costantemente la donna, che non perde occasione per bollara come rifiuto e scarto e per tenerla segregata in casa, sovente addirittura chiusa in uno stipetto per punizione. Quando il fratellino viene fatto partire coi treni speciali che portano in campagna i bambini di Londra per sottrarli ai possibili bombardamenti tedeschi – siamo agli inizi della Seconda Guerra Mondiale – Ada si trascina di nascosto alla stazione e parte con lui verso il Kent. Lo stupore per un mondo sconosciuto fa da bilancia al dolore del camminare (Ada è abituata a strisciare per spostarsi) e …. di non essere scelti da nessuna famiglia del villaggio; saranno affidati a una donna anziana che vive in una grande casa e pare triste. L’ultima cosa che Susan vorrebbe è avere due orfani di cui occuparsi; sta ancora piangendo la perdita della donna con cui ha vissuto e quei due ragazzini sono malmessi, denutriti e così diversi da lei, abituati a essere picchiati e insultati. La donna accetta di prendersene cura e l’addomesticamento reciproco e quello a una vita normale per i ragazzi passano anche attraverso il rapporto tra Ada e un vecchio pony che diventa il suo tramite per aprirsi al mondo.

Kimberly Brubaker Bradley costruisce una storia che non cade mai nel patetico o nello stereotipo, arrivando a ben illustrare sulla pagina i sentimenti dei protagonisti: la tristezza e la risolutezza di Susan, una donna che ha frequentato l’università e ha fatto scelte di vita non gradite alla famiglia d’orgine; la fatica di Ada, che combatte con i fantasmi del passato, che scopre che il suo piede si sarebbe potuto aggiustare da neonata mentre è evidente che sua madre non l’ha mai voluta curare, che non accetta che qualcuno le voglia bene e la consideri per quello che è; la rabbia cieca della madre, che non voleva quei figli e che trasforma il suo risentimento in cattiveria e violenza. Poi c’è la guerra, il razionamento, il campo di aviazione vicino a casa, le bombe, i soldati feriti. Eppure in questo romanzo aleggia una grazia costante, dovuta alle immagini prese dalla natura, alla descrizione dei legami che nascono, al quotidiano. Ada imparerà a farsi valere e a sottolineare come il suo piede malato sia ben lontano dal cervello, a essere imperiosa come Susan quando raddrizza le spalle. Già, “imperiosa”: questa storia è sostenuta da una traduzione che regala parole preziose, che magari il lettore non usa abitualmente e che potranno arricchire il suo lessico.

Kimberly Brubaker Bradley, La guerra di Ada (trad. d Maurizio Bartocci), Piemme 2019, 300 p., euro 14

Ascolta la luna

6 Ott

ascolta la lunaSe qualcuno di voi ha presente il video contenuto nell’app War Horse in cui in teatro Morpurgo racconta la storia che è narrata nell’omonimo libro da cui Spielberg ha tratto un film, allora potete immaginarvelo a narrare anche in questa occasione: perché anche questo romanzo prende una storia che viene dal passato e ne fa una trama che avvolge, che sembra apposta per esser detta ad alta voce, che si fa vicina come a voler rendere il lettore presente. La vicenda storica da cui Morpurgo prende spunto è sicuramente avvincente perché a tutt’oggi esistono ombre e misteri sull’affondamento, nel maggio 1915 da parte di un sottomarino tedesco, del Lusitania, allora la più grande e la più veloce nave al mondo, che stava per portare a termine la traversata da New York a Liverpool. Qualche mese fa i lettori hanno potuto apprezzare un racconto illustrato che prendeva spunto propri dal medesimo viaggio e dalla storia vera di una ragazzina sopravvissuta, Il viaggio straordinario di Avis Dolphin.

Qui l’autore prende spunto dalle voci che dicono che del Lusitania i soccorritori videro galleggiare in mare il pianoforte a coda del salone principale con su distesa una ragazza, poi aggiunge un’altra nota storica: la pericolosità delle acque intorno all’arcipelago delle Scilly, una delle isole adibita a lazzaretto, il salvataggio da parte degli abitanti nel 1875 dei superstiti di un transatlantico tedesco e la dignitosa sepoltura che ai morti venne data. Fa così conoscere al lettore la popolazione che vive pescando e coltivando narcisi, i bambini che vanno a scuola in barca sull’isola principale, i rituali e le convenzioni di una comunità ristretta dove tanta può essere la solidarietà e tanto rapido il voltar faccia. Nel maggio 1915 Alfie e il padre trovano, mentre si fermano durante la pesca sulla disabitata isola di St. Helen’s, una ragazza ferita. L’unica parola pronunciata da lei diventa il suo nome: Lucy. Non parla, non dà segni di comprendere inizialmente quel che ha intorno, a lungo la febbre e l’apatia la tengono prigioniera; solo col tempo, grazie alle cure della famiglia di Alfie e della mamma in particolare, comincia ad aprirsi a quel che la circonda e pare ritrovare la luce negli occhi di fronte alla musica che esce dal grammofono e poi con Peg, il cavallo da lavoro dell’isola, che si lascia per la prima volta cavalcare. Il mutismo della ragazza però alimenta voci e leggende e anche dissapori che sfociano nell’isolamento suo e della famiglia che l’ha accolta: la coperta in cui era avvolta al momento del ritrovamento portava ricamato un nome tedesco; forse Lucy appartiene al popolo nemico, per combattere il quale i ragazzi della comunità stanno morendo sul fronte francese?

Il romanzo diventa racconto di come i sospetti si facciano facilmente solide credenze nel momento in cui si pensa di dover avere un nemico per amor di patria; di come il diverso sia facile prenda di etichette e scherno; di come si possa difendere a ogni costo chi viene schernito e cercare di farlo essere se stesso e stare bene: la madre di Alfie si batte per difendere Lucy, per darle il tempo giusto per riprendersi, per ritrovare voce e memoria; la donna ha vissuto vicende simili quando ha ritrovato il fratello gemello in manicomio ed è riuscita a riportarlo a casa e a far sì che si dedicasse a riparare un veliero, arte di cui era maestro.

Interessante l’intreccio di voci che permettono di conoscere la storia della protagonista: si alternano infatti la narrazione degli avvenimenti sull’isola a quella in prima persona di Lucy che parla della sua vita a New York e della traversata sul transatlantico, ma anche brani del giornale scolastico tenuto dal maestro e del diario personale del medico che descrive i progressi dei pazienti, la comunità in cui vive e i disastri che la guerra sta provocando nei corpi e negli animi; il tutto nella cornice dello scrittore che raccoglie la testimonianza della nonna anziana, ponendo l’accento sul luogo da cui veniamo, sulle storie dei membri della famiglia che fondano anche la nostra storia, su tutti quelli che rimangono in vita quando ricordiamo e raccontiamo. Ancora una narrazione della guerra da un punto di vista che potremo dire “laterale”, non il fronte, ma chi resta a casa, chi vive di lettere, chi accoglie chi ritorna, chi incrocia nuove vite e nuove storie. Ma anche un romanzo che dice della potenza della bellezza e della speranza, per riportare alla vita, per far brillare gli occhi, per rendere saldi i piedi. E forse nessuno meglio di un medico condotto che si prende cura a inizio Novecento di una piccola comunità può descrivere l’umanità che ha intorno, i tempi che sono dati da vivere e il pensiero per quel che verrà.

Il sito dell’autore. L’articolo che Morpurgo ha scritto per il Times a proposito del Lusitania. E le fotografie scattate da lui in cui ritrovate reperti e paesaggi che tornano nella storia di Alfie e di Merry.

Michel Morpurgo, Ascolta la luna (trad. di Francesco Gulizia), Rizzoli 2015, 390 p., euro 16, ebook euro 6,99