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Quattro stagioni – Quatre saisons

10 Gen

20130108-224418.jpgSe un marziano atterrasse e vivesse per un po’ di tempo all’equatore o ai tropici si farebbe una certa idea del mondo e delle stagioni. Se finisse da qualche parte in Europa e avesse bisogno di una lezione in quattro passi, si potrebbe mettergli in mano questo “libro” di Betty Bone. Oppure, ancora meglio, far accomodare il nostro ospite in una stanza dove su ogni parete è appeso uno dei poster delle stagioni. Per essere precisi precisi, l’ideale sarebbe che lui avesse dita lunghissime e la dedizione di un innamorato che strappa i petali da una margherita. Potremmo persino consentirgli di dire “stagione sì, stagione no” al posto di “m’ama non m’ama”.
Il marziano apprezzerebbe di sicuro il lavoro di Betty (di cui in Italia sono usciti per Gribaudo “Becco per aria” e per Fabbri “Le forme”) che ha reso i poster dei brevi libri-film a tinte piatte, brillanti.
“Quatre saisons” si apre come un cofanetto prezioso a quattro ante in cui ricorre un cerchio, simbolo evidente della ciclicità, colorato e contestualizzato diversamente di volta in volta.
Su un lato dei poster il film di ogni stagione è costruito con uno zoom out che permette dal dettaglio di arrivare a un campo lungo, in cui soggetti sono ben replicati e collocati. Una gemma, la corolla di un fiore, l’occhio di un uccello, un solicello invernale. Accoppiando il nero a un’altra tinta (insolita per la stagione).
Sull’altro lato, quello che il nostro amico preferirà, potrà trovare gli stessi animali e personaggi, tutti presi nelle cose della vita: dei palleggi con un pallone da calcio, la partenza per le vacanze, le commissioni in vespa, due passi sotto la neve. Forse il marziano avrebbe bisogno che gli raccontassimo qualcosina sulle nostre abitudini di terrestri, ma si accorgerebbe da sé che Betty si è data un altro vincolo per creare il suo mondo: ha deciso di usare solo dei retini e di giocare con la sovrapposizione delle lastre di ciano, magenta e giallo.
Nelle sue quattro stagioni comunque c’è sempre qualcosa che vola, è per questo che al nostro ospite, senza volerlo, scenderebbe una lacrima di nostalgia.

Il sito di Betty Bone in cui trovate anche video e installazioni presentate in modo insolito e curiosamente “imprevedibile”.
La casa editrice èditions courtes et longues
Un testo che presenta l’illustratrice

Betty Bone, Quatre Saisons, éditions courtes et longues, 4 poster, 12 euro.

Montreuil 2013 / 2 – Da Montreuil con un po’ di furore

5 Dic

A Parigi, alle soglie di dicembre, ogni anno c’è una fiera di libri speciale e gli italiani che riescono ad andare si riempiono gli occhi di colori, novità, varietà, mode e – diciamolo – un po’ d’invidia e un po’ di sogno.
Ci si chiede cosa si può fare nel nostro paese per rendere il libro un varco e un’avventura come già accade per i bambini francesi.
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A Montreuil nel weekend i bambini scorrazzano, fiutano, sbirciano, esprimono preferenze d’acquisto, e durante la settimana sciamano con le maestre tra gli stand, partecipano a laboratori, spettacoli, proiezioni, esperimenti digitali ad hoc. Se la spassano e la città, il governo e gli editori li prendono sul serio.
Allora ecco alcune cose che mi piacerebbe smettere di invidiare e iniziare a immaginare in Italia:

– le “signatures”, o “dédicaces”, le dediche degli autori: generose, pazienti, sorridenti. Forse anche una torturina estenuante per i forzati della condiscendenza a tutti i costi, comunque meravigliose. Un’occasione preziosa per valorizzare l’Autore e riscaldare una relazione mediata dai testi (illustrazioni o storie che siano)… Se offrite una Golia a Kitty Crowther vi chiede ridendo se per caso ha l’alito pesante. Se pensate che a ottant’anni Kveta Pakovska si risparmi e faccia un autografo in quattro e quattr’otto, siete fuori strada.

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– mostre da leccarsi i baffi e sgranare gli occhi in cui convivono felicemente – solo per fare qualche nome – fumetto (Marguerite Abouet, Matthieu Bonhomme), acquerello (Francois Place) e animazione (Mylydy).

– gli editori che si celebrano con un certo understatement e grande orgoglio (Gallimard, 40 anni; Seuil, 20; Sarbacane, 10; Rouergue, 20), vestiti casual e anche un po’ spettinati. Guardate quello scarmigliato dandy di Olivier Dozou. Il suo motto è novità! Sempre e ancora.

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– i libri di testi teatrali con cui gli insegnanti più industriosi potrebbero lanciarsi in laboratori con più di coraggio. In Francia, immagino che quando un editore come Theatrales indica loro un sentiero, possono provarci…

– i giochi e gli oggetti di carta, elegante e supersemiotica la ormai “classica” collana Livre en jeu di MeMo, la ruvida bellezza delle produzioni de La maison es en carton.

– lo humour di alcune case editrici, come L’atelier du Poisson Soluble, Frimousse, e le attestate e Sarbacane e Thierry Magnier

– i ponti costruiti dagli editori che raccontano culture diverse e meticciato, come Rue du Monde o Hong Fei Cultures. Aspettiamo l’edizione delle mappe farcite di curiosità e informazioni di “Cartes” (a sua volta tradotto dal polacco) e una traduzione di “Veux-tu devenir betes?”.

– i libri con le forme in rilievo e scritte in braille realizzati da Circonflexe a colori da Sophie Bureau!

– le curatissime e stilose riviste per bambini come George o Bombek (in bocca al lupo alle nostre giovani Spazio, Gigi e Pupù di “Pubblico”)!

Certo, la cultura del libro non s’inventa con un salone, ma l’entusiasmo dei cugini d’oltralpe può alimentare il sogno. Diamoci dentro!

Il giardino di Abdul Gasazi

30 Set

20120930-171047.jpg Immaginate le matite più pastose di Brian Selznick, aggiungeteci un po’ di gotico, avventura e il senso di selvatica complicità nell’andare a spasso con un cane dispettoso e vi ritroverete nel Giardino di Abdul Gasazi.

Fritz ha già morso per sei volte la zia Eunice, quindi questa volta l’invito al tè per la sua padrona dice a chiare lettere: “Per favore, lascia il cane a casa”.
Alan, un ragazzino mite, viene quindi incaricato di portare Fritz a fare la sua passeggiata pomeridiana. Peccato che il cane, proprio di fronte a una minacciosa insegna, gli strappa il guinzaglio di mano ed entra nel giardino proibito di Abdul Gasazi, mago in pensione.
Quel peperino di Fritz corre corre sotto l’arco di viti americane, lungo le scale e Alan molla il colpo, segue un sentiero e finisce alla villa di Abdul che sembra aspettarlo sulla magnificente soglia della sua villa. Panciuto e altero, indossa una vestaglia arabeggiante e un fez, fuma annoiato e gli mostra il suo odio per i cani facendogli vedere delle papere che un tempo erano mastini. Alan lo supplica di trasformare Fritz nel cane che era, ma il mago spiega che solo il tempo può farlo. E la papera-Fritz vola via rubando il cappello di Alan. Ormai al tramonto, il ragazzino disperato fa ritorno a casa della padrona e le confessa l’accaduto, ma Fritz è già lì, tutto pimpante come se non fosse accaduto nulla. “Abdul deve essersi preso gioco di te perché nessuno può trasformare i cani in papere,” dice la donna.
Sul porch, sotto lo sguardo silenzioso delle stelle, Fritz si diletta a masticare il cappello di Alan. “Briccone, che stai facendo con quello?” gli chiede la padrona.

Un libro classico nell’impaginazione (testo incorniciato sempre sulla pari, illustrazione sulla dispari), un po’ sinistro, senza tempo. Realizzato con dei raffinatissimi chiaroscuri a pastello, questo picture book spalanca la porta tra mistero e realtà, tra la menzogna e la magia, tra il credere e il sentire. E chi di voi non ha mai inseguito disperatamente un cane dispettoso fino a perdere il fiato?
C’è un po’ di Alan e di Abdul in ognuno di noi…

Chris Van Allsburg è l’autore di Jumanji, Polar Express.
The Garden of Abdul Gasazi è stato premiato con la Caldecott Medal nel 1980.

Il libro è stato recentemente segnalato tra i migliori 20 libri per bambini secondo Flavourwire.

The Garden of Abdul Gasazi, Chris Van Allsburg, Houghton Mifflin Company, cartonato con sovraccoperta, Boston 1979.

Palavra que voa

29 Giu

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Vi brucio la sorpresa. Sì, scusate, ma devo proprio. La “palavra que voa” è un pappagallo.
Siamo nel campo della poesia. Della poesia illustrata. Il terreno è spinoso, ma Gémeo Luís non si ferisce i piedi e affila le lame del taglierino. E’ un artista del papercut in chiave minimale e ci porterà a fare una passeggiata e una chiacchierata di filosofia della comunicazione.
In questo volume le illustrazioni sono tutt’altro che decorative, hanno descritto il loro sentiero interpretativo che si intreccia con quello del testo: ci sono due personaggi che hanno a che fare con le parole. Nella poesia, nelle parole, non viene chiaramente enunciata la loro presenza, c’è un “tu”. Ma cosa sono le parole senza le persone? I due personaggi in copertina cavalcano un lama e guardano in alto, nel cielo… le parole che volano. E nelle pagine che seguono possiamo darci il tempo di pensare e vedere tutto ciò che sono le parole:
sono le lettere, il contenitore dei tipi che il tipografo porta via (sono fatte di altro).
Sono quei giochi con il pupazzo che esplode fuori ruotando una maniglia, e serbano un’altra sorpresa (ti stroncano il cuore dallo spavento e hanno un’eco pazzesca)!
Le parole volano in cielo come nuvole, come quando siamo innamorati e c’è bisogno di dire poco (in quel caso sembra che non ci siano, ma forse sono solo taciute).
Le parole sono leggere come un lenzuolo che sventola nel cielo, tanto che a volte scappano via al soffio del vento. Le parole sono origami colorati che contengono i pensieri dei sogni. Bolle di sapone. Ganci vendicatori. Vibranti dittonghi. Aquiloni. Le parole ci portano in alto per poi riscendere fino dentro di noi.
“Palavra que voa” è un libro che ha molto da dare: per il formato quadrato, rassicurante e regolare che bilancia l’andamento imprevedibile e ondulato delle illustrazioni; per l’essenzialità della grafica. Mi è piaciuto per la scelta dell’unico colore oltre al nero: marrone, come la terra, solo apparentemente agli antipodi delle parole, che saranno pure l’inizio dell’astrazione, ma sanno ancora di pelo di lama.
E poi per le illustrazioni. Forse tra di voi c’è qualcuno che proprio non ne può più dell’illustrazione bidimensionale e delle tinte piatte… ma queste silhouette sono quasi simboliche e, se guardi bene, hanno quelle piccole ombre che fanno venire i brividi. Ecco, sono le ombre e tutto il coraggio di quel bianco intorno a a fare delle illustrazioni di questo artista portoghese (in mostra tra le ciliegie della fiera di Bologna quest’anno) un piccolo capolavoro. I suoi riccioli, le sue spire, le sue forme cangianti, tutt’altro che statiche.

Quindi voi…
Siete abbonati a qualche servizio come una poesia al giorno? Consigliatecene uno!
L’imperdibile libro di Chiara Carminati sulla poesia.
Un bellissimo video realizzato con il papercut.
Il sito di Gémeo Luís.

João Pedro Mésseder, Gémeo Luís, Palavra que voa, Caminho, 2005, pp. 28.

Ir e Vir

14 Giu

20120613-222407.jpg“Com as pernas e os pés andamos, corremos… vamos.”
Non bisogna scomodare Marshall McLuhan per parlare dell’accelerazione del nostro tempo. I libri ogni tanto ci accompagnano mentre fuggiamo via, in treno o in aereo. Ma ogni libro ci chiede di stare seduti, o al limite sdraiati, possibilmente isolati. Quale medium migliore per riflettere sul movimento delle persone e delle merci che un libro, un testo a moto fisico ridotto, concluso in sé stesso?
“Ir e Vir” parla di come noi uomini ci muoviamo nel mondo oggi, di come ci siamo abituati ad andare e tornare, e a spostare le cose senza più renderci conto delle conseguenze di questo moto.
E qui, se siete esigenti e un po’ malvagi come me, potreste chiedervi: la solita storiella ecologista-moralista?
Niente di più falso, cari, perché Isabel Minhos Martins ha avuto un’idea narrativa potente: un rapidissimo excursus, una moviola della storia dell’umanità (dai due piedi tonanti ai razzi, passando per le quattro ruote), e poi un violento confronto tra gli umani (e i loro mezzi inquinanti) e la bellezza di altre specie animali nomadi. Verrebbe da dire magicamente nomadi, se non volessimo riconoscere un piccolo tributo al lavorio millenario di quella spietata della selezione naturale, che ci ha regalato le rondini, le farfalle monarca, le balene grigie e gli gnù. Degli artisti della migrazione, perché vanno con le stagioni, seguono le fasi riproduttive, inseguono l’acqua… Rispettano un ciclo: a volte migrano perfino di generazione in generazione! Fermatevi un istante e vedete la rondine che vola sull’acqua, la balena che nuota, lo gnù che galoppa e la farfalla monarca – solo apparentemente più scanzonata – che svolazza. Non sentite già un po’ più di spazio attorno a voi? E non vi elettrizza il selvatico? Ecco, soltanto per queste sensazioni il libro si meriterebbe l’acquisto… ma il patto di lettura non si ferma qui! Perché abbiamo anche le illustrazioni di Carvalho.
Che non stanno ferme neanche su una pagina! Ci tirano in avanti. Fanno sentire lo sfrecciare delle cose, un’ebbrezza della velocità che se la gioca con i futuristi. Ma se questi credevano nell’accelerazione e nella potenza della macchina, Carvalho galoppa con le zebre e nuota coi cetacei. Le illustrazioni non negano la gioia del correre, ma rendono stridente la nostra invasione di campo. Nelle tavole l’inquinamento compromette l’ordine dei colori della natura. I soggetti, apparentemente realizzati dalle sagome e dalle sovrapposizioni di retini (dei simil-acetati), sono così luminosi e brillanti da fare invidia alla retroilluminazione degli schermi. Bravo bravo allo stampatore e grazie ancora una volta all’illustratore.
Quindi, cari lettori, allacciatevi le scarpe, preparatevi a garrire, a dare una pinnata di balena e un colpo d’ala di farfalla, riprendetevi la bellezza e cominciate a correre. Siete così in copertina e ora che lo sapete non sfigurerete neanche un po’.

Isabel Minhos Martins, Bernardo Carvalho, Ir e Vir, Planeta 2012, 48pp, 22×26 cm, euro 12,50

Una mostra (purtroppo brevissima) in corso a Rovereto con opere di Bernardo Carvalho e Madalena Matoso
Il video di Carvalho per il progetto Bologna a testa in su girato nel periodo della neve

High Street

2 Giu

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Che cos’è l’inglesità per noi mediterranei?
Per me è un senso di ordine e di grazia leggiadra, di piacevole ricorsività. Un senso della variazione nella prevedibilità.
Quale gioia leziosa può gareggiare con quella di tornare in un negozio e sapere che i tuoi piccoli desideri e vizi saranno soddisfatti?
Hight Street di Alice Melvin parla di tutto questo in rima baciata con una deliziosa filastrocca che ci fa passeggiare lungo una High Street speciale.
Lo stile della Melvin, equilibrato, pacato, ordinato come un prato all’inglese è molto descrittivo e decorativo. Ricorda la sobria eleganza delle tappezzerie preraffaelite e la bellezza dei musei di arts and crafts.
In compagnia di Sally, una bambina volitiva dotata di una bizzarra lista della spesa, entriamo in tutte le botteghe: un negozio di caramelle, una pasticceria, un negozio di porcellane, un antiquario, un venditore di strumenti musicali, un negozio di animali, di giocattoli, un erbivendolo, un ferramenta (forse il mio preferito da piccola), un fioraio. Cosa c’è di più rassicurante dell’assortimento di un negozio?
Sally entra, compra, esce, si gode l’acquisto e passa al numero successivo. Alla sua azione di spingere la porta corrisponde la nostra di aprire le alette delle pagine che mostrano l’interno del negozio in sezione.
Il libro è un lungo pianosequenza e accanto alle facciate degli edifici color pastello incontriamo anche l’immancabile buca delle lettere della Royal Mail, un lampione novecentesco, un bidone dell’immondizia, un bobby e umanità varia.
E… la sorpresa più grande di High Street verrà dal parco!

Il sito di Alice Melvin

Alice Melvin, The High Street, Tate Publishing 2011, 9,90 sterline

Il mio migliore amico

13 Mag

“Quando ero piccola avevo un libro che parlava di una patata dolce. Mi piaceva e lo guardavo di continuo. Ci ho fantasticato molto sopra. Una volta ho anche disegnato una patata dolce, proprio come il bambino della storia e ho chiesto a mia mamma di cucinarla, per vedere se succedeva la stessa cosa del libro.”
Satoe Tone

20120513-200050.jpgLe storie di Satoe Tone, giovane e talentuosa autrice selezionata quest’anno alla mostra degli illustratori di Bologna, portano subito su una nuvola, in una dimensione fantastica che è radicalmente diversa dai mondi immaginari a cui siamo più o meno abituati.
Sarà perché le vicende si svolgono su infiniti prati di verzure umide e delicate, sarà perché sono popolate da uccellini teneri e ieratici, sarà perché l’autrice è giapponese, o perché i suoi personaggi hanno una devozione così grande da sembrare fiabeschi, fatto sta che i contorni delle sue storie appaiono sfumati e sfuggenti. In senso positivo. Forse anche per un bambino un certo senso di incompletezza e di mistero portano a desiderare di rileggere e rileggere un albo.
Voi non vorreste sapere perché un coniglio abita in una enorme mela? E perché adora mangiarne, con tanto di forchetta e coltello?
In Il mio migliore amico c’è un coniglio, un coniglio molto chic, che indossa dei pantaloni a pois e un papillon, che si imbatte in un uovo abbandonato. Lo porta a casa e lo adotta. Fa con lui ogni cosa, gli regala un cravattino, gli presenta i suoi amici, condivide con lui ogni pasto e vanno insieme anche a fare le passeggiate (il coniglio teme sempre che si rompa). La pacchia però dura appena un lampo perché la mamma riesce a convincere l’uovo che è ora di andare. E lui, un po’ crudele (?), volando via perde anche il papillon. Il coniglio, abbandonato, piange tutte le sue lacrime e cerca di rassegnarsi finché…

A voi che prima o poi sfoglierete le pagine del libro chiedo:
Come è fatta la sedia del coniglio che gli permette di sedersi malgrado la sua enorme coda?
Un amico che torna cambiato è lo stesso amico?
Bisogna sempre accettare un amico che ritorna?
Il coniglio si innamora di un uovo perché è un amico che può diventare qualsiasi cosa?
Il vostro bambino si innamorerebbe anche lui di un uovo un giorno di pioggia?
Sareste mai capaci di disegnare degli occhietti così piccoli ma così espressivi come quelli dei personaggi di Satoe Tone?

Buona lettura!

Il mio migliore amico, Satoe Tone, Kite Padova 2012, cartonato, 22×22 cm, 32 pp., euro 14,50
Della stessa autrice, Questo posso farlo, Kite Padova 2011, cartonato, 22×22 cm, 24 pp., euro 14
recensito qui.

Un’intervista a Satoe Tone di Davide Calì.

Ça devait arriver e Frigo vide

6 Mag

Un giorno qualsiasi la follia può bussare alla tua porta. Anche a quella di tua mamma.
Sei pronto ad aprirle e a lottare?

Nell’album Ça devait arriver di Gåetan Dorémus non ci sono sconti.
Nella prima doppia pagina si apre una vista su una città: sulla sinistra c’è un ospedale, a destra tra le altre, una villetta. La vita scorre. Dentro la casetta una donna, che fino a quel mattino ha vissuto tranquilla con il marito e i figli, si accorge di avere paura, poi caldo: ha bisogno di aria fresca. E la va a cercare fuori. E’ sola, esce sul vialetto e comincia a vedere dei lupi. Li vede rossi (rabbia), in un mondo grigio (confuso) e blu (militare). Corre in casa a prendere un fucile ed esce indossando una divisa: è pronta a proteggersi. Comincia a fare le ronde, aggredisce il postino (un lupo anche lui), poi distrugge un ciliegio nel giardinetto della casa per farne una base di avvistamento, caccia via il lupo-marito, buca il pallone-proiettile di un lupo-bambino, poi si riposa, finché non vengono a prenderla tanti lupi. Deve difendersi! Ma per fortuna il fucile sputa fuori solo del fumo denso. La donna-generale, sola nella sua follia, disfa la base e dopo aver mangiato qualche ciliegia, sente freddo, davvero freddo, troppo freddo. E’ stato un microbo (?). I suoi familiari la portano in salvo e dieci giorni dopo tutto è rientrato nella normalità; i colori della casa sono vivaci. La donna è guarita e i vicini festeggiano con la famiglia. Ultima pagina: Madame parla con una donna. “Credo che i lupi se ne siano andati e non torneranno più.”

Un albo coraggioso, che fa venire i brividi e non risparmia la violenza delle emozioni e la potenza delle visioni di una donna in crisi (depressa, bipolare o solo “deragliata”). I colori comunicano lo stato alterato e rappresentano emozioni che forse i bambini vivono con altrettanta intensità. Feriscono la potenza distruttiva con cui la donna fa a pezzi l’albero, la furia con cui costruisce la capanna con la rete del pollaio, e la linguaccia dispettosa con cui fa il verso ai bambini-lupi che giocavano con il pallone.

In Frigo vide, dello stesso autore, si respira un’atmosfera più distesa e cittadina. Vite parallele in un condominio. Tutti gli abitanti del palazzo sono stati così indaffarati da non aver comprato niente per cena. Un vecchio che suona per la strada e trova rifugio nello scantinato ha solo qualche carota, al primo un ragazzo-ciclista ha delle uova e un po’ di formaggio, al terzo una famiglia, un peperone e dell’erba cipollina, Claire al quarto ha dei pomodori, all’ultimo la vecchietta della farina, latte e burro. Si può fare una torta insieme! E negli altri palazzi sembrano festeggiare allo stesso modo. E poi la grande convivialità tracima nelle strade, nei boulevards e migliaia di torte sono gustate e condivise tra le persone. Sembra un sogno, ma l’indomani… il vecchio suonatore viene davvero invitato a cena dal ciclista!
Nella scia di Jean-Jacques Sempé, Dorémus colora di vita il melting pot, ci trascina da un piano all’altro in un’escalation del possibile rincuorante e utopistica.

Gåetan Dorémus, Ça devait arriver, Editions Belize, 2007, 27×29 cm, 40 pp, 15,90 euro,
Gåetan Dorémus, Frigo vide, Seuil Jeunesse, 2009, 40 pp, 14,50 euro

Una bellissima intervista a Gåetan Dorémus.
Il sito personale dell’illustratore

Anche tu!

26 Apr

Alzi la mano chi pensa che gli svizzeri siano sovversivi.
Quanti là fuori leggono nelle limitazioni uno stimolo anziché una penalizzazione?
Et porquois pas tu? di Madalena Matoso, pubblicato presso le éditions Notari, è un libro svizzero che parla del senso del possibile.
Si tratta di un méli-mélo senza parole, un libro le cui pagine sono tagliate a metà, “rilegate” in una spirale metallica in modo che possano essere sfogliate in combinazioni diverse.
Chi abita le pagine?
Una carrellata di personaggi (stra)ordinari che fanno cose (stra)ordinarie – spesso in compagnia di bambini.
Ci sono 24 soggetti e 24 attività.
A questo punto potreste chiedervi: quali sono le limitazioni? Quelle che guidano lo stile di Madalena Matoso.
Giallo, rosso, rosa, marrone, nero, celeste, blu, verde, nero, bianco. 10 colori. Tinte rigorosamente piatte. Nessun bordo. Eppure c’è così tanta vita nelle sue storie che viene voglia di trasferirsi là dentro e accettare persino la perdita della tavolozza per godersi tutti quei sorrisi e l’atmosfera delle cose in movimento. Delle cose che cambiano, che possono cambiare facilmente.
Qual è il contrario del méli-mélo? Il puzzle. Avete presente le ore e ore passate a ciecarsi per trovare la tessera giusta? Ecco, tra queste pagine non esiste nessuna combinazione giusta ma moltissime perfettamente possibili. Un’analista finanziaria può prendere la tavola da surf sotto il braccio, un nonno può stendere il bucato, un nonno può suonare la chitarra elettrica… Variabili (provenienza, sesso, età per i personaggi; professioni, tempo libro, prendersi cura degli altri per l’ambientazione) tante.
Badate che non mancano le limitazioni anche nelle pagine di questo libro. Per esempio chi medica gli animali sarà sempre solo nell’ultima pagina come chi porta la carrozzina nella prima. Il chitarrista resterà sempre con qualcuno che legge da solo un giornale bevendo caffè e chi stende i panni avrà accanto qualcun altro che medica un bambino con il gomito sbucciato.
Perché potreste restare ore sul divano a sfogliare avanti e indietro questo libro sul divano?
Per la magia dei colori che sono perfettamente equilibrati nelle tavole “provvisorie” delle pagine (sui bordi c’è sempre un elemento colorato di continuità, il colore del vestito e una sagoma dell’ambientazione).
Per l’atmosfera infantile nel migliore senso del termine che possiate immaginare, quel senso di primavera e la vibrazione di ciò che verrà senza volerlo anticipare.
Per le situazioni buffe che potete creare: per esempio si può andare in giro con la tavola da surf con i cavalli che ti stanno a guardare, fare un comizio con uno skater che va imperturbabile sulla rampa alle spalle, guidare un trattore con una collana di perle al collo, guardare nel microscopio all’aperto con una mongolfiera che vola alle tue spalle o sciare sullo snowboard con una palma gialla a bordo pista.
Il gioco è capire che cosa lega i personaggi e come inventare le loro storie.
Se potessi, io vorrei essere nella pagina dove ci si bagna i piedi nel fiume.
Come sarebbe il nostro paese se la didattica fosse un po’ più méli-mélo?

Un post di Anna Castagnoli sul libro

Chi è Madalena Matoso
Dans mon rêve,  l’app méli-mélo che ha vinto il Bologna digital Award

Madalena Matoso, Et pourquoi pas tu?, Notari 2011, euro 12

Fiabla-bla

16 Apr

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Fiabla-bla è un gioco irriverente che spettina le fiabe, arruffa i finali e sferza le aspettative.

Precisazione: Fiabla-bla va non solo letta con lo sguardo analitico e sintetico allo stesso tempo, ma va anche drammatizzata seguendo le indicazioni della grafica (la voce deve rispettare la partitura dei pesi dei corpi e delle direzioni).

Fiabla-bla è un albo che invita a guardare e a leggere le figure di alcune storie bizzarre che vengono in parte da un repertorio “classico”: arrivano dalle fiabe le parole (personaggi, verbi, preposizioni e articoli); e in parte da un set inventato: le forme (12) e i colori (7).

Combinando le parole e le forme, i due autori hanno inventato delle buffe, irriverenti, spassose storie in cui i personaggi baciano, si trasformano, salvano, liberano, si nascondono, diventano ecc.
L’albo è un esercizio della fantasia che deve molto all’OuLiPo (a cui si rende omaggio nella pagina introduttiva) e dà ancora oggi esiti inattesi.
Avreste mai pensato di riconoscere al volo una ballerina senza gamba? O di vedere una nonna che mangia un soldato e con un bacio libera un lupo?
Quasi tutto è possibile in Fiabla-bla: le nonne diventano giovani, un pescatore diventa una moglie, la forma di una bocca diventa un albero.
Se Scarabeo e i giochi linguistici ci hanno “abituati” alla vertigine combinatoria del linguaggio e della sintassi delle storie, raramente ci siamo esercitati con le forme e abbiamo ragionato con loro, stando a vedere dove ci avrebbero portati (da una goccia a…, da una linea a…, da una campitura a…). Ma quando si sceglie una forma la si può ingrandire, rimpicciolire, orientare e anteporla o nasconderla dietro un’altra. Se disegnare insegna a pensare, in queste pagine c’è da ancheggiare tra le idee, da volteggiare tra ipotesi, da fissare i finali pronti a riscriverli.

Ricapitolando… questo libro è:
una palestra per l’immaginazione, esercitata sia nel trovare i soggetti sia nell’inventare nuove combinazioni possibili,
particolarmente indicato per i soggetti alfabetizzati con lo sguardo sclerotizzato,
consigliato per i genitori che vogliono ritrovarsi la casa piena di pezzettini dei collage che arriveranno a breve.

Un libro che dà il meglio con i bambini disegnatori e con i bambini parolieri.

Il booktrailer. Il sito di Olivier Douzou.

Fausta Orecchio – ill. Olivier Douzou, Fiabla-bla, Orecchio acerbo 2012, 54 p., 15 euro

Associazioni di libri con “la caccia del dettaglio”:

Aleksandra Machowiak, Scovalo, Comma22, 16 p., 14 euro.
Fabien Laurent, Didier Levy, Shen Shan. Dov’è finito Litchi?, L’ippocampo, 32 p., 15 euro