Chi conosce e apprezza la scrittura di Kevin Brooks (in italiano sono stati tradotti Una canzone per Candy, Sonda 2010 e L’estete del coniglio nero, Piemme 2014) sa che le sue pagine possono essere insieme limpide e terribili, a tratti quasi feroci perché non nascondono nulla e dicono sovente la durezza della violenza, del perdersi, di come possa essere crudele, assurda, quasi incredibile la vita.
In questo libro, mette in scena una situazione ai limiti dell’immaginabile, costruendo la vicenda intorno al disegno di un pazzo che rapisce sei persone di età e condizione sociale differente e le chiude in un bunker, divertendosi a premiarle o a punirle a seconda dell’andamento delle giornate: arrivano borse piene di cibo oppure viene razionata persino l’acqua, il riscaldamento è troppo alto o troppo basso, i colpi di scena sono inaspettati. La voce narrante appartiene a Linus, sedicenne figlio di un fumettista di fama, che ricorda al lettore il Joe di “Una canzone per Candy”: anche lui infatti scrive per raccontare come ci si sente in quel posto dove nessuno dei suoi lettori è mai stato. Attraverso la sua scrittura, che scorre sulle pagine di un taccuino, conosciamo gli altri cinque protagonisti che arrivano dopo di lui, ad intervalli regolari (una bambina di nove anni, una donna in carriera, un pendolare, un tossico, un fisico ben noto) e seguiamo le loro interazioni, le reazioni, i tentativi di organizzarsi secondo orari regolari, le diverse proposte per tentare la fuga. Su tutto incombe la domanda senza risposta: perché? Qual è davvero il disegno dell’uomo che li ha sedati e rapiti, quale esperimento sta portando avanti o semplicemente sta spingendo al massimo il suo sadismo e la sua pazzia? L’altra domanda silente, il chiedersi se qualcuno mai li troverà aleggia lungo le pagine ed è ancora più terribile per Linus; pochi mesi prima di essere rapito è scappato dal collegio e ha cominciato a vivere per strada, mandando a suo padre un biglietto in cui lo rassicurava dicendo che si sarebbe fatto vivo lui quando sarebbe stato pronto. La ricerca della libertà e la rabbia della ribellione fanno sì che sappia in qualche modo che per lui, a differenza degli altri, non c’è nessuno là fuori a cercarlo.
Il lettore è chiamato in causa direttamente in un ulteriore piano di lettura e coinvolgimento del romanzo: Linus infatti lo interroga direttamente, come sapesse – o sperasse – che qualcuno possa leggere quanto scrive, chiedendosi dove sia la verità, chi esista davvero e chi no. Un libro che si chiude a spirale sul lettore, facendogli dimenticare l’intorno, come se non esistesse nell’altro che il buio e l’aria rarefatta del bunker, spingendolo a non lasciare la storia fino all’ultima inesorabile pagina.
Questo romanzo ha vinto la Canergie Medal nel 2014. Leggi il primo capitolo sul sito dell’editore. A proposito dell’autore.
Kevin Brooks, Bunker Diary (trad. di Paolo Antonio Livorati), Piemme Freeway 2015, 288 p., euro 15 (l’ebook annunciato non è ancora al momento disponibile)
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