Non so come sarò fra un’ora, un giorno o una settimana, dopo che glielo avrò detto. Ma non mi importa più. Non si fa la cosa giusta perché è facile, ma proprio perché é giusta.
La protagonista di questa storia potrebbe essere una di quelle bambine che sorridono in fotografia sui cartoni del latte, nei lanci di notizie dei telegiornali, su volantini affissi ovunque dalla disperazione di un genitore. Carey ha quattordici anni e vive in una roulotte in un bosco da quando ne ha cinque, occupandosi di Jenessa, la sorellina che ha nove anni in meno di lei, cucinando fagioli, cacciando animali e tenendo in piedi un mondo fatto di durezza e dolcezza, miseria e speranza, dove si maneggia un fucile e ci si nutre di poesia e saggezza di Winnie Puh. La loro madre, bipolare e drogata, racconta da anni a Carey di averla portata via dalla violenza del padre, ma lei stessa abbandona per lunghi periodi le figlie fino al giorno in cui non torna. Arrivano invece – avvertiti dalla stessa madre – un’assistente sociale e il padre di Carey che riportano le due sorelle al mondo, a una casa calda e confortevole e al confronto con la verità.
Questa storia, che conquista e tiene il lettore per mano fino all’ultima pagina, viene raccontata dalla voce di Carey, in cui pesano il segreto della notte in cui la sorellina ha perso la voce, ma anche la responsabilità della cura per Ness e il suo sentirsi inadeguata rispetto a un mondo di cui non ha riferimenti, mancandole persino certe possibilità di capire cosa dicano i nuovi compagni di scuola (Carey non conosce i personaggi della tv, non è mai andata ad una festa, non sa il significato gergale di certe parole). Anche se la voce è quella di Carey, Murdoch costruisce in realtà una storia che cuce tanti punti di vista diversi: la dedizione e la fiducia della sorellina; la difficoltà della figliastra del padre che si trova in casa due sconosciute; l’entusiasmo della ragazza più bassa della scuola che trova un’amica e un’alleata un po’ aliena quanto lei. È la storia del bambino che giocava con Carey e che spera di essere riconosciuto; è la storia di un padre che cerca una figlia per anni e ne trova due e insieme deve spiegare quale è davvero la realtà; è la storia di una donna che accoglie in casa due bambine che vengono da un mondo altro ma che fanno parte del suo perché sono la parte più importante dell’uomo che ha scelto di amare; è la storia di un cane che non ha dubbi nel scegliere la sua nuova piccola amica a cui ridare la voce.
Ed infine è anche una storia sulle cose giuste e sulla meraviglia. Carey cova dentro di sé un segreto; solo riuscire a dirlo ad alta voce può cambiare le cose e permettere “alla ragazza che sarò di raggiungere la ragazza che sono”. Non è semplice, ma è semplicemente giusto, cioè l’unica cosa che si possa fare. Insieme c’è la musica del violino che sua madre le ha insegnato a suonare e che Ryan vorrebbe ascoltare e riascoltare. Carey sa di essere brava, ha fatto tanta pratica, ma la meraviglia degli altri davanti alla sua capacità continua a sorprenderla, come se in qualche modo lo stupore di chi la ascolta nutrisse – in un cerchio di luce – lo stupore di vedere come qualcosa di tuo, che ritieni normale, sia invece tanto prezioso.
Il sito dell’autrice e il suo blog.
Emily Murdoch, Il segreto delle stelle bianche (trad. di Paolo Antonio Livorati), Feltrinelli 2014, 283 p. , euro 14
Libro bellissimo a me è molto piaciuto
Scritto molto bene e fino alla fine è stato molto intrigante