Mentre tornava a casa, Dorothea pensò alle calamite, che si respingevano facilmente e naturalmente quanto si attraevano.
Credo che per questo libro non ci siano mezze misure: o ti piace proprio oppure per nulla. E anche quando ti piace proprio, anche quando credi di averlo capito fino in fondo, allora ti accorgi che ancora non sai esattamente dove sei. Vincitore della Canergie Medal in Literature nel 2007 e del Costa Children’s book Award, racconta ancora una volta (come nel precedente Come vivo ora, Feltrinelli 2005) di una sopravvivenza nel mondo di oggi. Ma a differenza del precedente romanzo di Meg Rosoff, non ci sono guerre né devastazioni: l’unico in guerra è David Case che rinasce al mondo il giorno in cui salva per un pelo il fratellino di un anno che tenta di affacciarsi dalla finestra e provare a volare come gli uccelli. La consapevolezza che un solo attimo potrebbe cambiare tutto e la convinzione che il fato lo voglia morto innescano in David una sorta di sfida col tempo e col destino: pensa che solo travestendosi e nascondendosi potrà scappare a morte certa. Cambia il suo nome in Justin (JustIn Case, anche titolo originale del romanzo), entra in un negozio di abiti usati dove cambia look e dove incontra Agnes Bee, che lo immortala su una rivista di moda come prototipo della nuova generazione votata all’autodistruzione. Con un lungo cappotto di pelle grigio e un levriero immaginario, Justin lascia casa sua per sfiorare un disastro aereo, accamparsi a casa di Agnes e infine nascondersi in preda alla depressione presso la famiglia di Peter, suo compagno di scuola. Ai limiti della possibilità di vivere, David/Justin scoprirà che basta un attimo, che il destino semina cose inaspettate, che il seguito spesso è inatteso e sorprendente.
E a Justin accaddero moltissime cose. Centinaia di milioni di cose normali, inaspettate e ogni tanto piuttosto sorprendenti. E quello fu il suo destino.
Meg Rosoff, Justin (trad. di Alessia Donin), Fanucci 2010, 230 p., euro 15.
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